Cocktail e olive (greche). Ma Atene beva responsabilmente

scritto da il 26 Maggio 2015

La divisa del barman è luccicante, il suo sorriso conquista, la musica del locale è assordante. E il cocktail che viene servito è davvero troppo, troppo alcolico. Nello shacker è stato messo poco ghiaccio (a giudicare da quanto è surriscaldata la sala) e i distillati introdotti portano il nome di dilettantismo, disperazione, populismo e scelleratezza. Non sappiamo bene le dosi di ciascuno, ma al palato è chiaro che siano presenti tutti e quattro.

La Grecia vive da anni in una condizione di non sostenibilità dei propri conti: uno Stato che fa da stipendificio è il datore di lavoro di più di metà degli occupati, i quali possono spesso accedere a vitalizi pensionistici a condizioni più vantaggiose dei cittadini di tutti gli altri paesi europei. Non è il tipo di moneta usata, ma l’aritmetica a determinare che uscite strutturalmente superiori alle entrate impongano in un modo o nell’altro un redde rationem.

Tuttavia quando molte cose sono date per scontate diventa difficile spiegare ai cittadini che vanno fatte delle rinunce, o meglio che le rinunce fatte non sono ancora sufficienti. E questo non per colpa delle eccessive pretese esterne, ma per la profondità del pozzo che essi stessi hanno – più o meno consapevolmente – contribuito a scavare.

Così finisce che la parte più efficace, più compresa dagli elettori sia il ruolo di vittima dei diktat esterni, ci si indigna – a ragione – del fatto che un pool di tecnici disponga ad un governo democraticamente eletto quali passi fare per il riordino e la sostenibilità dei propri conti. Un paese non dovrebbe arrivare a questo, l’indignazione è assolutamente giustificata, sarebbe stato normale attendersi che certi disequilibri venissero affrontati per tempo, senza dover ricorrere a imposizioni esterne come alibi da dare in pasto agli elettori.

Di fronte alle richieste del gruppo di Bruxelles (composto da UE, FMI, BCE e Fondi sovranazionali di salvataggio) che chiedono, per erogare nuovi aiuti, di vedere concretamente riforme che possano riequilibrare il bilancio greco, il governo di Atene risponde con dichiarazioni di costume. Da Bruxelles il “suggerimento” è di alzare le due aliquote IVA al 23% e al 10%, eliminare le pensioni anticipate e mettere fine ai sussidi statali per i fondi pensione. La controproposta di Atene, trapelata, sarebbe quella di avere tre diverse aliquote IVA (23%, 14% e 7%) mentre è meno chiaro quale sia l’intendimento sul lato previdenza. Il punto d’incontro si può trovare, non sembrano inconciliabili le posizioni, a meno di volersi cullare nel ruolo di vittima

E su questa eventualità, ahimé, registriamo preoccupanti segnali: il ministro delle Finanze Varoufakis, nel suo blog personale, anziché profondere energie nella spiegazione delle sue proposte, preferisce difendere se stesso (dando di fatto ragione a chi lo accusa di voler fare la rockstar). Non ci interessano i gossip sulla sua reputazione, vorremmo sapere semmai la sua versione dei fatti, del punto della trattativa. Per capire quanto siamo lontani (o vicini) da una chiusura. Per far sì che le ondate della speculazione (che gode di questo tira-e-molla dialettico) vengano sedate. Anche perché la prima a soffrire degli effetti della speculazione è la stessa Grecia, per la quale diventa sempre più difficile uscire da quel famoso pozzo.

Invece dobbiamo imbatterci nel ripescaggio di fantasiose idee di monete parallele, chiamate FT-coins (Future Tax coins), che lo stesso Varoufakis avrebbe immaginato circa un anno fa: crediti digitali del valore nominale di 1000 euro, spendibili due anni dopo per pagare imposte per 1500 euro. Non troviamo altra definizione che quella di scellerati “calci al barattolo” per spingere più avanti il problema e che non risolvono nulla, anzi.

Non riuscendo a riequilibrare entrate ed uscite correnti ci si spinge a monetizzare (a forte sconto) le entrate fiscali future. Condannando di conseguenza il paese, nel futuro prossimo, ad affrontare buchi ancor più ampi e profondi (come verrà gestita fra due anni la mancata raccolta di tasse pagate restituendo questi certificati digitali?). Trasformando la Grecia in un grande suq, in cui lo scambio tra denaro contante e certificati digitali (o fisici che siano) viaggerebbe senza regole, finendo per regalare strumenti nuovi agli evasori.

Cosa impedirebbe a questo punto alle regioni o ai municipi (non solo greci, s’intende) di emettere certificati di credito fiscale “validi” per i pagamenti di imposte locali? Un Far West di “assegnini” e scambi su mercati neri che destituirebbero la BCE del ruolo di garante e vigilante ed esporrebbero l’Europa, ben più protetta di un tempo dal contagio finanziario, ad un contagio politico impossibile da gestire.

Sono cocktail che danno alla testa, distribuiti in una discoteca chiassosa e, talvolta, mal frequentata. Al governo Tsipras non possiamo che ripetere l’invito che tipicamente si accompagna a questi argomenti: “Bevi responsabilmente”.

Twitter @AndreaBoda