E se l’Ilva la comprassimo noi tarantini?

scritto da il 05 Dicembre 2015

Pubblichiamo un post di Doriana Imbimbo, classe ’76, tarantina. Ha studiato Comunicazione di impresa, marketing e pubblicità. Giornalista pubblicista. Ha scritto per Europa e Affari Italiani. Oggi “precaria” della comunicazione politica, ha collaborato alle campagne elettorali di Michele Emiliano candidato sindaco di Bari nel 2009, di Nichi Vendola candidato presidente della Regione Puglia nel 2010, di Matteo Renzi candidato alle primarie del centro sinistra del 2012, del presidente del Consiglio Mario Monti alle politiche del 2013 e di nuovo di Michele Emiliano candidato presidente alla regione Puglia nel 2015 

TARANTINI, E SE L’ILVA LA COMPRASSIMO NOI?

di Doriana Imbimbo

Lavorare nella comunicazione politica permette di comprendere l’essenza di quello che potrebbe sembrare solo un riuscito aforisma di John Fitzgerald Kennedy: “Puoi anche non occuparti di politica, la politica si occuperà comunque di te”.

La politica è un mix di ingredienti fra i quali, indispensabili, ci sono i numeri.

I numeri sono inattaccabili. Sempre. Anche da chi vorrebbe manipolarli. La propaganda talvolta ci prova, ma è un esercizio inutile quanto controproducente. Bisogna arrendersi ai numeri. E chi scrive, da tarantina, è grande esperta di rese.

Oggi Taranto è una piangente città di circa duecentomila abitanti. Ha una superficie di 24.986.000 metri quadrati. Il reddito medio è di 11.000 euro. L’età media è 43,8 anni. Taranto è famosa per essere la città dei due mari, la terra dei delfini. E per l’Italsider, dal 1995, Ilva. Il siderurgico si estende per una superficie complessiva di circa 15.450.000 metri quadrati.

I numeri, dicevamo.

L’ultimo rapporto Svimez, associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, tratteggia “un Paese diviso e diseguale, dove il Sud scivola sempre più nell’arretramento. Nel 2014 per il settimo anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno è ancora negativo (-1,3%); il divario di Pil pro capite è tornato ai livelli di 15 anni fa; negli anni di crisi 2008-2014 i consumi delle famiglie meridionali sono crollati quasi del 13% e gli investimenti nell’industria in senso stretto addirittura del 59%; nel 2014 quasi il 62% dei meridionali guadagna meno di 12mila euro annui, contro il 28,5% del Centro-Nord. Al Sud si registra una condizione giovanile nel mercato del lavoro (e nella formazione) peggiore della Spagna e persino della Grecia”.

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Ma torniamo a Taranto.

Dal rapporto sull’economia presentato dalla Camera di Commercio, in collaborazione con l’istituto Tagliacarne, la provincia di Taranto è risultata la peggiore in Italia per andamento “del valore aggiunto prodotto a prezzi correnti”. Rispetto al 2013 c’è stata una flessione del 3,2% a fronte di una media nazionale che ha fatto registrare un primo segnale di ripresa (+0,2). Circa la metà dei residenti della provincia di Taranto in età lavorativa risulta non attiva, mentre il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è cresciuto di quasi 14 punti in un anno, arrivando al 54,2%. Nel 2014 l’area tarantina ha perso 10.400 posti di lavoro rispetto all’anno precedente (-6,2%).

Ripeto, diecimilaquattrocento persone hanno perso il lavoro.

In questo quadro, si aggiunga la chiusura di giornali storici e la contrazione di redazioni radicate in città. Lapalissiano sottolineare che senza pluralismo dell’informazione una comunità è destinata al silenzio, a non essere ascoltata.

E si aggiunga il disastro ambientale.

Non a caso ho cominciato da queste due piaghe, visto che ci sono anche giornalisti tarantini coinvolti nell’inchiesta Ambiente Svenduto. E si aggiungano le troppo poche attività culturali in un luogo che per tradizione storica, artistica e paesaggistica potrebbe vivere di sola cultura. E un’amministrazione che appare attorcigliata su se stessa e assente.

Non trascurerei la chiusura di circa 200 negozi storici e non nel solo centro città.
E ancora, le infrastrutture: l’Aeroporto di Taranto-Grottaglie che potrebbe essere al servizio dei traffici commerciali, migliorando l’accessibilità alla regione anche in vista di Matera 2019, ma che, incomprensibilmente, non viene valorizzato. Taranto è pressoché isolata dall’assenza di collegamenti ferroviari, stradali e navali che darebbero respiro a quello che dovrebbe essere la punta di diamante dell’economia: il turismo.

Un quadro, passatemi il termine, devastante.

Il tallone d’Achille è fin troppo chiaro: l’assenza di un progetto comune, l’incapacità, o la non volontà, di fare squadra e di elaborare una visione di futuro vincente e realizzabile. Il tutto condito dalle evidenti carenze della politica. La politica, già. Quella che, come da aforisma di Kennedy, dovrebbe occuparsi di noi.

Concludo con due citazioni, una del nostro passato e una del nostro presente politico.

Nichi Vendola (presidente della Regione puglia dal 2005 al 2015) a Settembre 2009:
“Il Sud, in tanta immaginazione mediatica e ormai in tanta parte dell’opinione pubblica nazionale, appare come una minaccia o come un peso. Il Sud come metafora rinsecchita e livida del degrado e del regresso. Verso Sud scorgiamo il mare, il viaggio disperato dei fuggitivi e dei migranti ci scuote e ci interroga. Verso Sud scorgiamo le guerre spesso fomentate dai Nord. Verso Sud vediamo Gerusalemme e la Palestina e le nostre speranze di pace troppe volte sepolte nel sangue. E lì è il nostro sguardo, la nostra storia, la nostra casa, la nostra educazione, il nostro amore per la politica e per la vita. Verso Sud”.

Michele Emiliano (presidente della Regione Puglia in carica) a Novembre 2015: “Renzi è poco interessato al Sud per una questione di cultura e di storia personale. Il Mezzogiorno non è passato dalla sua vita e si è perso una cosa meravigliosa”.

Qualcosa non ha funzionato, mi sa.

“Numeri idee progetti per il futuro” è il claim Econopoly. Nel Mezzogiorno abbiamo i numeri, abbiamo le idee e abbiamo il futuro. Il progetto? Dopo il nono decreto legge varato proprio dal governo che accelera la cessione a terzi dei complessi aziendali del gruppo Ilva, ai tarantini dico: compriamocela noi l’Ilva. Rompiamo il salvadanaio! Abbiamo tempo fino al 30 giugno 2016, dopodiché, dipendenti e cittadini diventino i proprietari delle stabilimento. Chi più dei proprietari ha interesse di aumentare la produzione e mettere in sicurezza tecnica e ambientale la propria fabbrica? Si abbatterebbero anche gli infiniti tavoli di lotte sindacali e le manifestazioni di piazza. Non si manifesta contro sé stessi, giusto? Una provocazione? Chissà…

Forse dobbiamo cominciare a pensare che se governi e amministratori ci hanno dimenticato, solo i tarantini possono, se vogliono, salvarla questa benedetta Taranto.

Twitter @DorianaDori