Furbetti del cartellino, perché licenziare in 48 ore non serve a nulla (e cosa fare)

scritto da il 20 Gennaio 2016

Dalla lotta all’evasione a quella contro i fannulloni della Pubblica Amministrazione, i luoghi comuni (con fondi di verità ovviamente) più usati d’Italia tornano e ritornano nei titoli dei giornali, nell’agenda politica e, a volte, in Parlamento.

“L’imprenditore è un evasore”, “il dipendente pubblico è un fannullone”. A seconda dell’appartenenza politica e della propria esperienza privata, si conferisce poi più peso all’una o all’altra voce.

Dopo le critiche al residente della Repubblica per l’attacco all’evasione durante il discorso di San Silvestro, adesso è la volta di Renzi che tuona contro assenteisti, fannulloni e furbetti del cartellino della PA, da licenziare entro 48 ore.

Cerchiamo un po’ di capire in cosa consisterebbe la svolta che il Governo vorrebbe dettare e se “svolta” sia il termine più appropriato.

Lo status quo 

È abbastanza noto che già attualmente è possibile licenziare dipendenti pubblici per motivi disciplinari. La materia è regolata principalmente dal Decreto Legislativo n. 165/2001, modificato dalla cosiddetta “Riforma Brunetta” (Decreto Legislativo n. 150/2009).

Basta leggere l’articolo 55-quater del Decreto del 2001 per capire che – in teoria – nel nostro ordinamento non c’è scampo alcuno per fannulloni e assenteisti. Meglio trascrivere i pezzi dell’articolo (rubricato “Licenziamento Disciplinare”) che più riguardano assenteisti e fannulloni. Per i primi abbiamo il primo comma-lettere a e b:

Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi:

  1. a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia;
  2. b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’amministrazione;

Per i secondi, ecco il secondo comma:

Il licenziamento in sede disciplinare è disposto, altresì, nel caso di prestazione lavorativa, riferibile ad un arco temporale non inferiore al biennio, per la quale l’amministrazione di appartenenza formula, ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, una valutazione di insufficiente rendimento e questo è dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione stessa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell’amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all’articolo 54.”

Mentre per gli assenteisti sembrerebbe non esserci alcuna chance, per i fannulloni la disciplina è meno lineare.

Tuttavia Renzi si rivolge principalmente ai primi, da licenziare entro due giorni. Attualmente è invece previsto il procedimento disciplinare, regolato dall’articolo 55-bis. Per i casi di licenziamento, il procedimento deve necessariamente concludersi entro 120 giorni.

Sostanzialmente il procedimento disciplinare è solo una garanzia del giusto processo già all’interno della PA. L’importante è che licenziamento sia (se sussistono i presupposti)! Due giorni o centoventi non fanno tanta differenza per l’interesse pubblico da tutelare. Non pare essere un po’ di sano (e costituzionale) garantismo il problema.

Ma, al di là delle esternazioni del presidente del Consiglio, vediamo un po’ meglio cosa potrebbe realmente accadere.

La Riforma Madia      

La Legge delega n. 124/2015 affronta svariati temi, dal patrimonio dello Stato, la burocrazia, le società a partecipazione pubblica e, per quel che ci interessa in questa sede, i rapporti di pubblico impiego.

L’articolo di riferimento è il 17. Il tema della lotta agli assenteisti è affrontato (i) al comma 1 – lettera l), il quale prevede una stretta sulla diffusa prassi dei falsi certificati medici per assentarsi dal lavoro, con lo stanziamento di nuove risorse e l’affidamento di ulteriori poteri in capo all’INPS; (ii) al comma 1 – lettera s), che mira a introdurre “norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare”. Quest’ultimo comma sarebbe la base su cui fondare il licenziamento entro 48 ore.

Per quanto concerne invece la lotta ai fannulloni, il comma 1-lettera r, punta a semplificare il meccanismo di monitoraggio e di valutazione del personale, in modo da renderlo più snello e maggiormente efficace.

Non c’è da stupirsi, una Legge delega non ha necessità di entrare nel dettaglio, ma solo di fissare sommariamente degli obiettivi da raggiungere.

Secondo alcune anticipazioni, la durata del procedimento disciplinare dovrebbe essere ridotta, la volontà del Premier sulle “48 ore” rispettata e potrebbe essere introdotto un obbligo di denuncia per i dirigenti.

Ribaltare la prospettiva: gli insegnamenti della Public Choice

I procedimenti disciplinari di cui sopra sono gestiti all’interno della stessa struttura amministrativa dove lavora il dipendente cha ha commesso l’asserita infrazione. Il potere è nelle mani dei vari responsabili degli uffici per le violazioni meno gravi, mentre per le infrazioni più gravi la competenza è di un apposito ufficio, sempre interno comunque.

È chiaro che il problema delle passate riforme non riguarda tanto la lungaggine dei procedimenti, ma l’attivazione degli stessi.

“I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione” recita la nostra Costituzione all’articolo 97. Ma i pubblici uffici sono fatti di uomini, vi è quindi da chiedersi – cercando di evitare accuse di lesa maestà – se abbiano oramai alcun senso tali enunciazioni retoriche.

La teoria della scelta pubblica (Public Choice) si è sviluppata negli Stati Uniti, grazie soprattutto all’opera – tra gli altri – del premio Nobel James Buchanan e si è contraddistinta per un approccio diverso e fortemente provocatorio inerente a tutto ciò che avviene all’interno di una Pubblica Amministrazione.

Una lettura interessante sulla figura dei funzionari pubblici è data da Gordon Tullock (in “I Fallimenti dello Stato – Introduzione alla Public Choice”). Scrive Tullock: “In realtà, i burocrati sono esattamente come le altre persone e, come le persone in generale, sono più interessati al proprio benessere che all’interesse pubblico. Il problema è elaborare un apparato che spinga i burocrati, per loro stesso interesse, a perseguire l’interesse di tutti noi, nello stesso modo in cui il panettiere è spinto dal proprio interesse a rispondere ai bisogni del sarto.”

Un errore comune commesso da chi non lavora nel pubblico impiego sta nel rimproverare i funzionari pubblici per non essere esempi di professionalità, per lavorare poco e con scarso interesse. Un errore, perché chi lavora nel settore privato non si rende conto che la sua maggiore produttività è dovuta il più delle volte al timore di essere licenziato o, nel caso dei lavoratori autonomi-imprenditori, all’interesse economico personale.

Non ci sono persone oneste e laboriose nel settore privato e fannulloni pappastipendio nel settore pubblico. Cambiano solo gli incentivi. Se metti il pubblico funzionario in fabbrica probabilmente diventerà efficientissimo, mentre il dipendente privato assunto nella PA potrebbe darsi all’ozio (si, probabilmente è una generalizzazione ingiusta, ma le deduzioni forse è meglio non farle per eccezioni o modelli virtuosi).

Ecco perché se si vuole affrontare seriamente il problema dei fannulloni-assenteisti nel settore pubblico, l’unica soluzione è agire sugli incentivi, incidere anche pesantemente sul trattamento economico dei funzionari.

Come? Tutt’altro che facile dirlo, ma di certo non ci si illuda che i salari di produttività che poi diventano integrazioni salariali equamente ripartiti possano servire alla causa. “Ogni incarico dirigenziale deve essere assegnato sulla base di obiettivi precisi, misurabili, riferiti ai risultati da ottenere nel servizio alla cittadinanza, ma anche ai tassi di assenze tra i dipendenti, al livello medio della loro prestazione e alla eliminazione delle eccedenze di personale” scriveva Pietro Ichino qualche tempo fa, ma disegnare il meccanismo senza rischiare di creare nuove sovrastrutture burocratiche non è semplice.

Sarebbe utile che il Governo elaborasse il nuovo Testo Unico sul pubblico impiego puntando sulla responsabilizzazione economica dei funzionari e dei dirigenti pubblici. Non contano i giorni che occorrono a licenziare un dipendente infedele o un fannullone. Ciò che conta veramente (e che potrebbe invertire la rotta) è:

a) fornire a un dirigente pubblico incentivi in base ai quali la presenza di fannulloni e assenteisti possa danneggiarlo economicamente;

b) conferirgli maggiori poteri;

c) adottare la stessa strategia per chi è gerarchicamente superiore allo stesso dirigente. Il tempo per riformare bene c’è.

È bello auspicare che tutti i dipendenti pubblici diventino onesti e laboriosi, ma – muovendo dalla premessa ipotetica che non lo siano – nel frattempo sarebbe meglio costruire un meccanismo che li incentivi economicamente a divenire tali.

Aggiornamento del 21 gennaio 2016:

Nel Consiglio dei Ministri svoltosi nella serata del 20 gennaio, è stata approvata la bozza di Decreto Legislativo proposta dal Ministro Maria Anna Madia che andrebbe a modificare l’articolo 55-quater del D.lgs. n. 165/2001 relativo al licenziamento disciplinare. Le modifiche riguardano principalmente la falsa attestazione della presenza in servizio compiuta dal dipendente pubblico e, a tal proposito, il Governo prevede di:

a) sospendere obbligatoriamente dal servizio e dalla retribuzione il dipendente in caso di illecito riscontrato in flagranza; b) far scattare il provvedimento di sospensione  entro 48 ore; c) far concludere il procedimento disciplinare entro 30 giorni; d) introdurre una nuova figura di danno erariale a carico del dipendente (pena minima pari a 6 mensilità) e una pena disciplinare del dirigente che non proceda all’instaurazione del procedimento disciplinare.

Con riferimento al paragrafo “Ribaltare la prospettiva: gli insegnamenti della Public Choice” di cui sopra, non si rilevano novità in merito all’introduzione di incentivi economici per dirigenti e dipendenti pubblici che possano facilitare il rispetto delle norme.   

Twitter @frabruno88