Dentisti e ddl concorrenza, in gioco c’è la credibilità del Governo

scritto da il 26 Gennaio 2016

Pubblichiamo un post di Benedetta Arese Lucini, imprenditrice dell’economia 2.0. Dieci anni di esperienza in giro per il mondo, in 8 paesi e 3 continenti. Da qualche anno prova a portare l’innovazione anche in Italia, prima come country manager di Uber, poi come consulente per diversi fondi venture capital e startup –

SUL DDL CONCORRENZA SI GIOCA LA CREDIBILITA’ DEL GOVERNO RENZI

di Benedetta Arese Lucini

Quando si parla di concorrenza, si sa, in tutte le classifiche l’Italia è spesso bocciata. Giusto perché si è appena concluso il forum internazionale di Davos, usiamo l’indice del World Economic Forum (WEF) per fotografare lo stato dell’arte: nel mondo siamo 43esimi e in Europa siamo classificati solo poco prima di Romania, Bulgaria e Grecia.

Per migliorare questa situazione, non esattamente brillante, nel 2009 (art. 47, legge 23 luglio 2009, n.99) venne istituita la “legge sul mercato e la concorrenza”, che prevedeva un disegno di legge a cadenza annuale, varato dal Governo, e a partire dalla relazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. La prima avrebbe dovuto essere presentata dal governo Berlusconi nel 2010. Invece né l’esecutivo del Cavaliere, né il governo Monti, né quello Letta ne hanno mai presentata una. La prima è stata varata dal governo Renzi, a febbraio 2015.

In questi giorni il nuovo ddl sulla concorrenza è sotto esame al Senato. Sono stati presentati oltre mille emendamenti. Emerge, in un caso specifico, un problema strutturale di questo Paese, che fa fatica a cambiare: 6 senatori, ognuno rappresentante una diversa forza politica, hanno proposto altrettanti emendamenti fotocopia, che recitano:

I soci di società operanti nel settore odontoiatrico, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, devono essere iscritti all’Albo degli odontoiatri.

Non è concessa alcuna autorizzazione per l’esercizio in strutture odontoiatriche intestate a sanitari non in possesso dei titoli abilitanti all’esercizio della professione odontoiatrica di cui alla legge n. 409 del 1985 ovvero a società operanti nel settore odontoiatrico in cui il direttore sanitario o un suo delegato non sia iscritto all’Albo degli odontoiatri“.

Soffermandoci sul primo punto, (perché il secondo è di buon senso e già adottato dal settore) un limite sul capitale delle società odontoiatriche non solo non porta nessun beneficio pubblico, ma al contrario ostacola la liberalizzazione di professioni che, anzi, hanno beneficiato negli anni del diritto di aprirsi a società di capitale grazie a una legge scritta oltre 80 anni fa.

Quelle due righe infatti, nel caso fossero accolte, potrebbero avere conseguenze disastrose per il settore, come l’interruzione immediata dell’attività di decine di imprese che operano da anni legittimamente e nel pieno rispetto delle leggi (alcune sono ormai delle realtà importanti) e quindi la perdita immediata di migliaia di posti di lavoro. Inoltre questa decisione andrebbe a pesare sull’accessibilità alle cure da parte di una fascia di popolazione che prima non se le poteva permettere e oggi sì, grazie a una forte crescita del numero di centri odontoiatrici che ha favorito la riduzione dei prezzi, spesso a livelli proibitivi negli studi dei dentisti tradizionali.

Tutto questo mentre un’altra categoria sta lottando per fermare l’opzione prevista dallo stesso disegno di legge secondo cui anche società di capitali possano essere proprietarie delle farmacie, con l’abolizione del tetto massimo di quattro farmacie di cui un soggetto può essere titolare. Un’operazione che, ancora una volta, creerebbe opportunità di crescita, e di lavoro, oltre che un mercato competitivo su prezzi e servizi.

Allora mi chiedo: possiamo credere nel processo di liberalizzazione che dovrebbe essere frutto di una legge sulla concorrenza? E riusciremo mai a vedere un Governo finalmente nella condizione di mettere fine allo strapotere di categorie organizzate e gruppi di pressione, a tutto vantaggio dei cittadini-consumatori e della crescita del Paese?

Proprio il WEF commenta che, nonostante l’Italia abbia cominciato a migliorare alcuni indici economici, deve continuare sulla strada di riforme atte a migliorare la produttività, che rimane molto bassa rispetto a quella dei vicini europei, specialmente per effetto delle mille difficoltà create dalla burocrazia e dagli ostacoli allo sviluppo del libero mercato.

La protezione degli interessi delle categorie organizzate (e certamente non penso solo ai farmacisti e gli odontoiatri) restituisce l’immagine di un Paese debole, ancora in mano alle caste. Il ddl concorrenza – che rischia di essere svuotato di liberalizzazioni e riempito di vincoli – dovrebbe diventare invece il simbolo del cambiamento, un messaggio chiaro da questo Governo, che ha l’occasione di dire se è davvero deciso, oppure no, a cambiare l’Italia.

Twitter @dettaarese