Titoli di Stato Usa, questa volta può essere diverso (e di quale QE parliamo?)

scritto da il 06 Marzo 2016

Pubblichiamo un post di Carmen Reinhart, docente di sistemi finanziari internazionali presso la Kennedy School of Government, Università di Harvard

E COMUNQUE, DI CHI È STATO IL QE?

di Carmen Reinhart

Tra il 1913, anno della creazione della Federal Reserve americana, e la fine degli anni Ottanta, si può dire che la Fed fu l’unica realtà protagonista nelle operazioni di acquisto di titoli di stato statunitensi da parte delle banche centrali. Durante tale periodo, la Fed deteneva tra il 12% e il 30% dei titoli negoziabili del Tesoro americano (si veda il grafico), e a breve avrebbe raggiunto l’apice post-bellico nel tentativo di sostenere l’economia Usa in difficoltà dopo la prima impennata dei prezzi del petrolio nel 1973.

Ormai non viviamo più in un mondo Usa-centrico come quello di allora, dove la Fed era l’unica possibilità e qualunque variazione nella sua politica monetaria aveva il potere di influenzare significativamente le condizioni di liquidità sia interne che, in larga misura, globali. Alcuni anni prima della crisi finanziaria globale – e prima che il termine QE (quantitative easing, o allentamento quantitativo) diventasse un ospite fisso nel lessico finanziario – la quota di titoli di stato americani detenuta dalle banche centrali estere iniziò ad avvicinarsi a quella della Fed, finendo per superarla.

L’acquisto di titoli di stato americani da parte delle banche centrali estere prese il via nel 2003, qualche anno prima che fosse lanciato il primo round di quantitative easing nel 2008, denominato “QE1”. A guidare la carica delle banche centrali estere, detta “QE0”, fu la Banca Popolare Cinese. Nel 2006, anno in cui la bolla immobiliare statunitense raggiunse il suo apice, alcuni istituti esteri detenevano un terzo dei titoli di stato americani, circa due volte la quantità posseduta dalla Fed. Alla vigilia del lancio del QE1, tale quota si aggirava intorno al 40%.

Durante il decennio 2003-2013, il QE0 rappresentò l’incremento più sostenuto di acquisti di titoli di stato americani da parte di banche centrali straniere mai registrato. È difficile determinare la misura in cui, durante la crisi, il QE1 dovette il suo successo nel ribassare i tassi di interesse all’azione simultanea delle banche centrali di tutto il mondo, soprattutto quelle asiatiche. È istruttivo, tuttavia, che le due fasi successive di questa politica, il QE2 e il QE3, non furono accompagnate da massicce acquisizioni straniere e, a quanto pare, ebbero effetti soltanto modesti sui mercati finanziari.

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Durante il decennio 2003-2013, il QE0 rappresentò l’incremento più sostenuto di acquisti di titoli di stato americani da parte di banche centrali straniere mai registrato. È difficile determinare la misura in cui, durante la crisi, il QE1 dovette il suo successo nel ribassare i tassi di interesse all’azione simultanea delle banche centrali di tutto il mondo, soprattutto quelle asiatiche. È istruttivo, tuttavia, che le due fasi successive di questa politica, il QE2 e il QE3, non furono accompagnate da massicce acquisizioni straniere e, a quanto pare, ebbero effetti soltanto modesti sui mercati finanziari.

Dopo che i tumulti provocati dalla crisi del 2008 si furono placati, una serie di indici di condizioni finanziarie registrò livelli di volatilità relativamente bassi (secondo gli standard tradizionali) per tutta la primavera del 2013. Ma quella primaverile esplosione di stabilità svanì presto. La combinazione tra prezzi del petrolio e delle materie prime in calo, un ciclo economico troppo maturo e l’annuncio della Fed di voler procedere alla graduale riduzione degli acquisti di titoli determinò la fine del boom decennale che si era registrato su molti mercati emergenti. Da allora, la crescita di queste economie ha registrato un notevole rallentamento, i loro mercati azionari sono crollati, i deflussi di capitale sono aumentati e molte delle loro valute hanno perso valore.

In concomitanza con questi risvolti scoraggianti, numerose banche centrali dei mercati emergenti invertirono la rotta e iniziarono a vendere i titoli di stato americani. Le informazioni su queste vendite, tuttavia, non sarebbero più arrivate dai rapporti trimestrali della Fed sui conti finanziari: all’epoca in cui ebbero inizio le vendite ufficiali, infatti, la Fed smise di riportare i titoli americani detenuti dagli istituti esteri (una serie di dati che era disponibile dal 1945). Ora il rapporto mostra soltanto il dato aggregato, che combina le riserve delle banche centrali con quelle del settore privato.

Per fortuna, il Tesoro americano continuò a pubblicare queste informazioni. Alla fine del 2015, la quota di titoli di stato americani detenuta dalle banche centrali estere superava di una volta e mezza quella della Fed. Questo dato, tuttavia, si è notevolmente ridimensionato rispetto al suo picco precedente e, dal momento che i deflussi di capitale dalla Cina e da altri paesi non sembrano diminuire, mostra una tendenza al ribasso.

Il ritiro irregolare e caotico del QE0 sta probabilmente oscurando l’effetto delle rassicurazioni dei funzionari della Fed sul mantenimento di un bilancio solido. Di fatto, condizioni di liquidità più severe e una maggiore volatilità sui mercati finanziari sono il sottoprodotto dell’inversione di rotta nel lungo ciclo delle acquisizioni estere.

Tale ritiro non implica necessariamente un calo dell’appetito del resto del mondo per i titoli di stato americani. In periodi di turbolenza finanziaria, questi titoli hanno sempre rappresentato un rifugio sicuro per i capitali privati in fuga. Ma l’attuale trasferimento di proprietà avrà delle conseguenze sulla stabilità finanziaria. Il passaggio dalle stabili e spesso prevedibili acquisizioni delle banche centrali estere dell’era 2003-2013 alle mani meno prevedibili degli investitori privati, certamente più sensibili alle variazioni dei tassi di rendimento, è destinato a rappresentare il segno distintivo di questa fase del ciclo globale.

© Project Syndicate 1995–2016

(Traduzione di Federica Frasca)