La proposta di legge sulla sharing economy spiegata da chi l’ha scritta

scritto da il 09 Marzo 2016

Pubblichiamo un post di Veronica Tentori, deputata del Partito Democratico Commissione Attività produttive, commercio e turismo e prima firmataria della proposta di legge “Disciplina delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e disposizioni per la promozione dell’economia della condivisione”, messa a punto dall’Intergruppo parlamentare Innovazione

È passata una settimana dalla presentazione della proposta di legge per la sharing economy e siamo felici che si stia sviluppando un dibattito pubblico sul tema. È positivo e ci aiuta ad aprire riflessioni sulle questioni più complesse riguardo un testo che non può essere esaustivo: è la prima volta che si cerca di mettere nero su bianco un articolato con un approccio di sistema su un fenomeno ancora in evoluzione, l’economia della condivisione.

Crediamo anche che questa sia un’occasione per l’Italia, il primo Paese ad aprire un vero dibattito pubblico, anticipando la discussione in sede comunitaria: come raramente accade, avremo l’opportunità di partecipare in maniera pro-attiva e propositiva e contribuire ad orientare le politiche europee, senza attendere passivamente soluzioni proposte da altri. Nell’affrontare la questione non crediamo si possa avere la presunzione di poter dare una definizione universale di questa nuova forma di consumo (così ampia da poter includere potenzialmente infinite realtà: dal car sharing passando per la banca del tempo fino ad arrivare alle note aziende mondiali che tutti conosciamo), né riteniamo corretto e tantomeno possibile andare a regolamentare settore per settore, con una legge o un emendamento “ad piattaforma”, ingessando ogni nuova idea che potrebbe arrivare sul mercato. Quindi abbiamo dovuto compiere delle scelte.

La prima: cominciare a dare un perimetro ai soggetti da coinvolgere in questa fase, partendo da ciò che oggi già c’è e dagli studi in materia. Secondo noi la parte più interessante e contestualmente bisognosa di chiarezza è quella che coinvolge coloro che, attraverso le piattaforme digitali, svolgono un’attività occasionale, in genere per integrare il proprio reddito. Va da sé che si escludono attività di mera intermediazione tra professionisti (che già sono regolamentate) e i casi in cui i beni non siano di proprietà degli utenti (come il car sharing o il bike sharing). Abbiamo poi escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra gestore della piattaforma e utenti operatori. Al fine di abbattere notevolmente il rischio di tale ambiguità abbiamo previsto alcune condizioni che vanno specificate nel documento di policy: divieto di fissazione di tariffe obbligatorie, divieto di controllo dell’esecuzione della prestazione, l’esclusione o la penalizzazione per motivazioni non gravi e oggettive, etc.

In poche parole, il gestore della piattaforma può decidere dove collocarsi in base a quanto prevede nel proprio documento di policy.

Seconda scelta: identificare una procedura flessibile e semplice, trasversale ai diversi settori professionali, che ci permettesse di affrontare in maniera sistematica la sfida di promuovere la sharing economy e contestualmente aumentare chiarezza e tutele per tutti i soggetti coinvolti, togliendoli dall’incertezza in cui oggi si trovano. Abbiamo individuato nell’Antitrust, che in Italia vigila e garantisce la leale concorrenza e la tutela del consumatore, il soggetto con il quale le piattaforme si interfacciano.

La procedura, proprio per riconoscere la flessibilità necessaria a non soffocare la creatività alla base dell’innovazione, prevede che si possa innescare un dialogo propositivo: le piattaforme propongono la policy, costruita in base alle proprie esigenze, e la perfezionano attraverso una sorta di “consulenza preventiva” che le metta al riparo da eventuali infrazioni. Dall’altra parte l’Autorità analizza e riscontra gli ostacoli regolatori e valuta eventuali necessità di modifica della normativa di settore da riportare al Parlamento. L’inserimento nel Registro è un vantaggio per piattaforme ed utenti operatori in quanto certifica a terzi che non vi sono rischi e ambiguità legate alla normativa del settore in cui gli utenti operano. Chiarezza e fiducia avranno un impatto positivo anche sugli investitori, mitigando il rischio regolatorio.

Ultima riflessione, sull’aspetto fiscale. Con una procedura piuttosto semplice a carico del gestore della piattaforma, il sostituto d’imposta, gli utenti operatori potranno stare tranquilli: troveranno i redditi percepiti dalla loro attività direttamente nel 730 precompilato, non dovranno ricordarsi di denunciarli l’anno successivo né di tenersi da parte le imposte dovute e in più avranno, fino ad una soglia di 10.000 euro, un’aliquota agevolata del 10%. Ad oggi tutte queste incombenze sono a carico degli utenti che operano occasionalmente.

Burocrazia, incertezza e rischi derivanti scoraggiano gli utenti, e cosa sarebbero le piattaforme senza i propri utenti?

Siamo consapevoli che un fenomeno come la sharing economy è estremamente ampio e richiederebbe interventi strutturali in molti settori, per altro non definibili con precisione in quanto in continua evoluzione. Proprio per questo abbiamo deciso di concentrarci su poche regole semplici, generali, che inizino a dare maggiori certezze, a vantaggio degli attori del sistema. È un primo passo.

Twitter @VeronicaTentori