All’Italia serve crescita vera. Ergo, dopo Atlante largo a Giasone

scritto da il 15 Giugno 2016

Non è ironico che la parola bancarotta non si applichi più alle banche? L’ultimo a ricordarcelo in ordine cronologico è Atlante. Che sia una operazione sbagliata, o che sia giusta ma sottodimensionata rispetto al problema, o che sia invece un ottimo piano che si dimostrerà benefico per il paese e profittevole per gli investitori non è il tema di questo post e a dir la verità non è nemmeno cruciale.

In ogni caso gli effetti positivi o negativi sull’economia saranno minori del previsto.

Atlante ha come missione di gestire le tossine economiche italiane: NPL e aumenti di capitale (al cardiopalma) delle banche.

Il problema è che Atlante non può affrontare da solo i motivi alla base: così strutturato, il nostro sistema economico continuerà a produrre una montagna di crediti deteriorati e banche più o meno decotte.

Inasprire la regolamentazione, come alcuni propongono, non avrebbe alcun effetto positivo. Bisognerebbe semmai semplificare le regole per avere più trasparenza e più mercato, non più protezionismo economico.

Per evitare di continuare a produrre tossine serve un cambio di passo. Serve la crescita. Ma che crescita? Non tutta la crescita è uguale. Si può crescere facendo spesa pubblica e “scava la buca riempi la buca” (artificialmente) o tramite lo sviluppo del mercato (quella vera).

Delle molte cose da fare per lo sviluppo del mercato una lo è in maniera più urgente delle altre: serve investire tra i 2 e i 10 miliardi di euro l’anno in venture capital (VC).

Parafrasando Cuccia, i soldi non si contano, si pesano. E se ci sono asset class che hanno una capacità di ritorno strutturale maggiore di altri, bisogna puntare su quelle.

Il venture capital è l’asset class in cui qualunque economia avanzata che voglia puntare sulla crescita deve investire.

Il resto è secondario.

Quali prove a supporto?

La Cina è passata da 0 (leggasi zero) del 2008 a 37 miliardi di dollari investiti del 2015. Un balzo nel futuro in sette anni (fonte: Preqin). Ho la fortuna di lavorare in questo settore e di confrontarmi quotidianamente con amici molto più bravi di me che lavorano oltreoceano come investitori in Silicon Valley. Per loro la Cina è l’unico vero competitor a livello globale.

L’Arabia Saudita, tramite il fondo sovrano Public Investment Fund ha investito 3,5 miliardi di dollari in Uber. Per una nazione oil-based come l’Arabia Saudita la transizione a una economia di mercato dei servizi è più complessa che per la Cina e questo investimento è un chiaro segnale della direzione che vuole prendere la nuova classe dirigente saudita.

Questa ricerca di GSB Stanford dimostra l’impatto sull’economia americana, dove il VC è stato inventato.

Il 43% delle aziende quotate negli Stati Uniti nate dopo il 1979 è stata fondata grazie al supporto di venture capital. Insieme fanno il 57% del market cap (figura 1).

Figura 1 – Percentage of Public Companies with VC Backing by Year

E quello che colpisce è che pur essendo meno della metà del totale rappresentano l’82% del totale di spesa in R&D.

Figura 2: R&D Speding by VC-backed Public Companies

La cosa incredibile è che questi numeri sono il risultato di relativamente “pochi” capitali.

In USA si investe appena lo 0,2% del Pil in VC, circa un quarto dell’investito in private equity, molto meno del real estate, ma l’impatto strutturale è molto maggiore.

Tutte le più grandi aziende di tecnologia – Apple, Salesforce, Microsoft, Google, Amazon, Facebook – hanno ricevuto fondi da VC.

Questa ricerca di Deutsche Bank Research invece, rileva la correlazione tra crescita e investimenti in VC. Con lo 0,1% del Pil investito la correlazione con la crescita è di 0,3 pp, che diventa di 0.96 pp se questo 0,1% è investito in early stage (fondi che si occupano delle prime fasi di vita di un’azienda, da 0 a 5 milioni di fundraising).

Investire in VC significa investire in crescita reale.

Non quella tattica, colpi ad effetto modello Olimpiadi, ma crescita duratura, strutturale, fatta di aziende che creano prodotti a valore aggiunto, persone che lavorano, lavori ad altra produttività, ricerca e sviluppo, acquisizioni di altre aziende, che ovviamente hanno una ricaduta positiva su consumi e attività infrastrutturali quali banche, real estate residenziale, bar, ristoranti.

Cosa sta succedendo in Italia? Ad oggi investiamo 100 milioni di euro l’anno. Questa cifra è inchiodata da anni. Siamo agli ultimi posti nel mondo ed anche in Europa.

Fa sorridere pensare che dell’unico momento in cui in Italia si è investito “tanto” in VC – anni 2000 pre bolla dotcom, gli anni di Elserino Piol – venga ricordato solo il boom in Borsa e non il fatto che in quel contesto siano nate aziende come Yoox e Venere.

Oggi è fondamentale avere un piano per moltiplicare questi 100 milioni di almeno venti volte nel giro di tre anni.

Il rischio, non facendolo, non è semplicemente di rimanere indietro (già è così) ma è proprio di non partecipare alla corsa.

Cassa Depositi e Prestiti, presentando qualche mese fa il piano industriale 2016/2020, mi ha fatto ben sperare: il management – proveniente da Goldman Sachs – ha dichiarato di essere conscio dell’importanza di questo strumento, ed ha annunciato un aumento di investimenti per il settore delle imprese private di circa 50 miliardi di euro.

Per un momento ho pensato che finalmente l’Italia avesse trovato un investitore disposto a mettere miliardi di euro su nuove aziende.

Contattando CdP ho chiesto quanti fondi esattamente saranno destinati ad early stage. Mi è stato risposto che l’investimento sarà di 350 milioni in cinque anni, che non verranno destinati ad investimenti diretti di CdP in startup ma bensì a supportare fondi di VC (decisione giustissima).

350 milioni di euro sono una cifra che sicuramente avrà un impatto, ma che non è game-changing.

Se poi consideriamo la dimensione del piano di CdP (160 miliardi in 5 anni), 350 milioni è una cifra piuttosto bassa – circa lo 0,2% del totale.

Per dare un’idea, negli Stati Uniti il CalPERS (l’INPS californiana) ha circa il 7% dei propri asset in venture capital.

Faccio quindi una proposta, che spero sia letta da qualcuno nel Governo: sponsorizzare un’operazione – come fatto con Atlante – in grado di investire 2 miliardi l’anno e sostenere il fundraising di nuovi fondi di venture capital, non solo italiani. Il fondo lo potremmo chiamare “Giasone”, in onore del Giasone della mitologia greca, capo degli Argonauti.

Sia chiaro che quello che penso si debba realmente fare è privatizzare il sistema pensionistico, permettere ai cittadini più giovani di scappare dal baratro dell’INPS, abbassare le tasse immediatamente, liberalizzare e privatizzare il più possibile e lasciar fare al mercato, ma non mi illudo di essere ascoltato su questi temi.

Se invece il mercato si limitasse a moltiplicare di 1,5 le risorse messe a disposizione da Giasone avremmo 3 miliardi all’anno in un settore che oggi ne vede a stento 100 milioni.

Un salto dimensionale di trenta volte che ci metterebbe davanti a Germania, Regno Unito e Francia. Diventeremmo la meta principale per tutte le startup europee.

Si potrebbe investire 1 miliardo di euro il prossimo anno, scalare a 2 miliardi nel 2018 e poi a regime 3 miliardi dal 2019 in poi, per dare al mercato il tempo di assorbire l’impatto (cioè ai fondi di organizzarsi per fare fundraising e iniziare ad investire).

Il Pil non cresce perché non ci sono abbastanza aziende moderne che trascinano l’economia. E le aziende esistenti non sono abbastanza perché ci sono pochi investimenti in aziende private con logica di mercato.

Senza aziende ad elevata produttività gli stipendi stagnano, le aziende e le persone contraggono debiti che poi non sono in grado di ripagare, la mobilità sociale è bassa, l’incentivo per i giovani europei a venire in Italia è nullo e quello per i giovani italiani di andare via è enorme.

Serve una nuova visione dell’economia che  - diciamolo chiaramente  - non può essere figlia della retorica della “local economy”, del “potremmo vivere solo di turismo e bellezza”, del “sole-mare-pizza”.

Pur volendo non possiamo vivere tutti di agricoltura biodinamica, buon vino e libri sullo slow food. Servono grandi aziende che siano il fulcro di un nuovo sistema economico – aziende di tecnologia, di software, di bioingegneria, di VR, di medtech.

Serve voler aiutare i migliori tra di noi a costruire il futuro.

Twitter @tobdea

Ringrazio Raffaele Mauro (Endeavor) e Francesco Venier (Università di Trieste e MIB School of Management) per aver letto il draft di questo post.