Il ritardo delle imprese italiane sul web

scritto da il 18 Luglio 2016

Il web fornisce alle imprese un formidabile canale di vendita, in continua ascesa anche e soprattutto durante la recente recessione per la volontà delle famiglie di ricercare occasioni di risparmio. Nonostante ciò solo il 17% delle imprese italiane ha un sito e-commerce.

Lo sviluppo dell’economia digitale sta offrendo alle imprese un fondamentale canale di sbocco per la vendita di prodotti e servizi. Per le aziende essere sul web è oramai una necessità, ma la mera presenza non è sufficiente. Per fare un’analogia con i più tradizionali canali di vendita, a quale imprenditore verrebbe in mente di aprire uno store in mezzo al deserto? La visibilità del punto vendita è fondamentale, ma non basta. Se il cliente deve aspettare ore prima di essere servito dall’unico addetto alle vendite presente nel locale è molto probabile che deciderà di recarsi altrove. Pur risolto il problema della velocità di esecuzione degli ordini, l’impresa non riuscirà a stare sul mercato se le informazioni fornite sui suoi prodotti sono lacunose, se bisogna passare da venditore a venditore svariate volte prima di riuscire a comprare la merce desiderata per poi scoprire che l’unica modalità di pagamento prevista sono i gettoni d’oro. Anche dopo aver curato tutti questi aspetti l’impresa di successo sarà soltanto quella che disporrà di un brand facilmente riconoscibile dalla clientela, al quale assoceranno prodotti/servizi di una certa qualità. Tutte queste considerazioni valgono anche per le imprese impegnate nel mondo virtuale dove, per altro, la competizione è più elevata. Ma le imprese italiane che rapporto hanno con il web?

Una misura di performance online

Una possibile risposta può essere ricavata da un indice di performance delle aziende che operano sul web con siti internet in lingua italiana calcolato da BEM Research. Tale indice combina cinque fondamentali fattori: 1) i brand maggiormente cercati su Google, il motore di ricerca più utilizzato in Italia, per singolo settore economico; 2) la visibilità dei siti web su parole chiave ad alto traffico relative al settore di riferimento (ad esempio, “scarpe” per l’abbigliamento); 3) la velocità di caricamento delle pagine web, sia dai tradizionali pc sia dai dispositivi mobili (smartphone e tablet); 4) l’usabilità dei siti web, cioè la facilità con la quale un utente riesce a trovare, all’interno del sito web, le informazioni desiderate; 5) il grado di competizione online nel settore in cui l’azienda opera.

Grafico 1. Marchi italiani con le migliori prestazioni su Internet
Incidenza % rispetto ai migliori brand operanti sul web in lingua italiana – dati relativi a inizio luglio 2016

migliori-brand-italiani-online-bem-research

Fonte: elaborazioni su dati BEM Research.

Sulla base dei dati più recenti, che prendono in considerazione oltre 200 tra i migliori siti web di aziende operanti in 10 diversi settori economici, tra le imprese che risultano fare meglio sull’online in lingua italiana solo il 62% sono italiane (grafico 1). Considerando i primi 50 marchi si restringono ulteriormente al 52%.

I punti deboli delle imprese italiane

Diversi sono i fattori che spiegano le difficoltà delle aziende italiane ad affermarsi sul web. Condizione necessaria è quella di ridurre il gap tecnologico. Al riguardo, il recente accordo siglato tra Governo e l’Enel per portare la banda larga in tutto il paese e quella ultra larga al 50 per cento del territorio entro il 2020 va nella giusta direzione (si veda al riguardo Carmine Fotina). Purtroppo non è sufficiente investire in opere pubbliche per risolvere il problema del divario digitale delle imprese italiane rispetto agli altri paesi avanzati. Esiste infatti anche una rilevante questione culturale: secondo i dati Eurostat ben il 34% degli italiani con un’età compresa tra i 16 e i 29 anni dichiara di non avere competenze digitali sufficienti da permettergli di cercare o cambiare lavoro, contro il 16% della media europea (fa peggio di noi solo la Romania – grafico 2). Le imprese devono quindi fare i conti con una forza lavoro, anche di nuovissima generazione, scarsamente formata da scuola e università su questo fronte. Anche gli stessi imprenditori hanno una grande difficoltà nell’interagire con il mondo digitale. Dall’ultima indagine dell’Istat sull’utilizzo dell’ICT nelle imprese italiane emerge che solo il 17% di queste dispone di un sito e-commerce.

Grafico 2. Individui che giudicano le proprie competenze digitali non sufficienti per cercare o cambiare lavoro nell’anno di riferimento
% di individui con età compresa tra i 16 e i 29 anni – dati relativi al 2011

competenze-digitaliFonte: Eurostat.

Che fare?

Una prima modalità di interventi deve avere caratteristiche strutturali, richiedendo più investimenti in tecnologia e maggiore attenzione nell’ambito dell’istruzione pubblica alle discipline connesse con il digitale. Tra le azioni di politica economica con riflessi più immediati, invece, si dovrebbe affiancare agli strumenti di incentivazione degli investimenti Amazon, Alibaba– di cui tra l’altro bisognerebbe verificare, dati alla mano, la loro efficacia – interventi più strategici sul lato della tassazione delle imprese. Al riguardo, defiscalizzare parte dei ricavi prodotti dalle vendite online avrebbe il duplice vantaggio, da un lato, di incentivare le aziende a riconvertirsi verso il digitale e, dall’altro, di compensare le imprese domestiche dalla concorrenza dei colossi globali, come Amazon o Alibaba, che sono soggetti a una pressione fiscale ben più bassa di quella italiana.

Twitter @MilaniC