O leggi Paolo Baffi o sei sopraffatto dall’ondata migratoria

scritto da il 13 Settembre 2016

Un Paese come l’Italia, che all’inizio del XX secolo ha esportato manodopera in tutto il mondo, si rivela impreparato da anni a gestire il flusso di immigrati proveniente dall’Africa e dal Medio Oriente. Ancora nel 2016 il politico di turno non si capacita dell’”improvvisa” migrazione senza fine, dei richiedenti asilo in continua crescita (qui l’impatto sul Pil stimato dal FMI). Proprio lunedì sulle colonne del Sole 24 Ore si riportava in tabella che tra primo (282.063) e secondo trimestre 2016 (76.032) sono entrati nell’Unione Europea poco meno di 360mila persone, di cui 123mila sulle coste italiane.

Mentre i mercati finanziari non si possono prevedere (ahinoi), le ondate migratorie sì, purché si leggano i demografi, gli economisti di razza. Cosa purtroppo difficile nel Belpaese dove predomina l’improvvisazione e l’irragionevolezza. Dopo aver letto le solite boiate di Salvini, vi invito a respirare a pieni polmoni l’aria fresca proveniente dalle riflessioni di Paolo Baffi, economista di rango – non a caso chiamato a far parte dell’Accademia dei Lincei, dove conobbe Arturo Carlo Jemolo, con cui intrattenne un mirabile carteggio (Anni del disincanto. Lettere 1967-1981, Aragno, 2014, a cura di B. Piccone).

Sentite un po’ qui la lungimiranza di Baffi, 3 giugno 1989: “Le grosse coorti di nati nel ventennio 1945-1965 toccheranno l’età della pensione nel primo quarto del prossimo secolo. In quel torno di tempo, sia l’indice di vecchiaia (vecchi/giovani) sia l’indice di dipendenza degli anziani (vecchi/adulti) della popolazione europea segneranno purtroppo una nuova impennata. […] Gli equilibri di mercato non soffriranno dunque di un effetto di domanda, bensì di una possibile carenza di offerta del fattore produttivo lavoro. In una condizione siffatta, l’immigrazione si presenterà come un meccanismo riequilibrante, un innesto naturale che sarà attivato dalle chiamate delle imprese produttive (e delle stesse famiglie)”. Senza gli immigrati presenti nelle nostre industrie e senza le badanti filippine per i nostri nonni dove andremmo a piangere?

Arrivati al primo quarto del XXI secolo, vediamo che la previsione di Baffi si verifica appieno, smentendo clamorosamente Ernesto Galli della Loggia, che scrive: “I fenomeni sociali evolvono in modo relativamente prevedibile nel breve-medio periodo ma in modo assolutamente imprevedibile su quello medio-lungo […], il nostro sguardo e il nostro cervello sono, diciamo così, tarati per vedere da vicino o relativamente da vicino, non a distanza di decenni” (La libertà che l’Europa assicura, in «Corriere della Sera», 20 settembre 2015).

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Nel 2015 l’Unione Europea conta 510 milioni di abitanti, contro circa 485 milioni del 1995, e questa crescita di 25 milioni è dovuta per tre quarti all’apporto migratorio. Nel luglio 2015 il Rapporto Svimez ha immaginato uno stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili. Il Sud d’Italia sarà destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi cinquant’anni, a fronte di una crescita di 4,6 milioni nel Centro-Nord, arrivando così a pesare per il 27% del totale nazionale a fronte dell’attuale 34,3%. Il tasso di fecondità al Sud è arrivato a 1,31 figli per donna, ben distanti dai 2,1 necessari a garantire la stabilità demografica, e inferiore comunque all’1,43 del Centro-Nord. La campagna lanciata dal Ministero della Salute è stata disegnata male, ma il problema del decadimento demografico italiano esiste, eccome. Un tempo al Sud si facevano figli, ora senza aumentare le chance dell’occupazione femminile, i bebè languono.

Paolo Baffi, allievo di Giorgio Mortara in Bocconi, non si limitò a prevedere il futuro sulla base delle tavole demografiche ma paventò anche i riflessi culturali della massiccia immigrazione: “Poiché essa proverrà inevitabilmente da paesi di civiltà diversa dalla nostra, il problema della preservazione del nostro sistema di valori ne risulterà aggravato e tanto più meritevole dell’attenzione che per esso chiedono gli assertori delle piccole patrie, del genio europeo della varietà, contro possibili processi di entropia culturale”.

Quando leggiamo di migranti provenienti dal Marocco soffocati dentro una valigia, o delle migliaia che a Calais premono per oltrepassare la Manica, oppure vediamo alla televisione le immagini dei soccorsi ai moribondi nel canale di Sicilia, o quelle del centro di accoglienza di Lampedusa, non possiamo che commuoverci, per poi pensare cosa abbiamo o non abbiamo fatto in tutti questi decenni (le osservazioni di Baffi sono del 1989!) per prepararci a una migrazione epica, di dimensioni colossali, che sembra sorprenderci ogni giorno di più.

Twitter @beniapiccone