Liste di attesa, ticket, tempi visita e altre amenità: come funziona l’SSN detto semplice

scritto da il 20 Settembre 2016

A meno di chi lavora dentro all’SSN (Sistema Sanitario Nazionale) la grande maggioranza dei cittadini italiani non conosce il suo funzionamento e quindi percepisce solo le cose che non vanno senza coglierne le ragioni. Pur essendo temi molto tecnici proviamo in questo articolo a spiegarne gli elementi fondamentali in modo comprensibile. Innanzitutto bisogna individuare chi paga e chi eroga. Ci sono due possibilità per entrambi: pubblico o privato. Il che significa che ogni prestazione sanitaria di cui abbiamo avuto bisogno nella nostra vita sta in uno di questi quattro quadranti:

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Gli esempi che vedete nei quattro quadranti sono quelli che più comunemente incontriamo.

L’MMG (Medico Generale) e PLS (Pediatra di libera scelta) sono liberi professionisti (quindi dei privati) pagati con soldi pubblici, una quota per ogni paziente a carico. Il massimo dei pazienti che un MMG può avere è 1500: in questo caso vengono chiamati “massimalisti”. Poiché sono pagati a testa e non a prestazione, in media non fanno visite a domicilio, perché non hanno nessun interesse economico (chi ci va, quando necessario, è perché lascia prevalere la deontologia e il voler essere un buon medico). Per la cifra che ricevono sono chiamati ad avere un numero minimo di ore di ambulatorio: il medico che ha fino a 500 assistiti deve essere presente per almeno 1 ora al giorno, per 5 giorni alla settimana; fino a mille assistiti il suo impegno minimo in studio deve essere di 2 ore al giorno, per 5 giorni alla settimana; fino a 1500 pazienti deve assicurare una presenza minima di 3 ore al giorno per 5 giorni settimanali. Questi sono i minimi; ogni medico interpreta poi come crede il tempo necessario e gli orari di apertura utili per i pazienti serviti.

Sia gli ospedali pubblici che i privati convenzionati (per quanto riguarda i servizi erogati in nome e per conto dell’SSN) hanno un budget annuale di spesa massima, ovvero quanto la Regione corrisponderà loro in termini economici. Dentro quel budget devono stare, indipendentemente dal numero di pazienti che dovranno curare. Quello che può cambiare sono il mix delle prestazioni erogate.

Per ogni prestazione la Regione definisce un listino in cui ci sono due numeri: quanto la Regione corrisponde all’erogatore e quanto invece il paziente paga sotto forma di ticket (per chi non è ticket-esente). Questi due numeri sono diversi per due ragioni. La prima è che c’è un limite massimo per il ticket, mentre le prestazioni possono costare molto più di tale limite. In Lombardia, ad esempio, il limite del ticket è di 66 euro. La seconda è che una parte del ticket finisce allo stato come contributo ai conti statali, contributo introdotto in agosto 2011 e da allora rimasto.

Questo listino è uno degli strumenti più importanti con cui la Regione fa la sua politica sanitaria. Molto semplicemente: paga bene ciò che vuole che venga fatto in modo copioso, paga male ciò che vuole limitare. Ad esempio in Italia sono pagate bene: chirurgia, analisi del sangue, diagnostica per immagini, giorno nel letto di ospedale. Sono invece pagate male o malissimo: visite specialistiche (23 euro in Lombardia), odontoiatria, attività legate alla psicologia, fisioterapia. Questo stato di cose fa sì che l’offerta nelle aree pagate male sia scarsa e quindi le liste di attesa mediamente molto lunghe.

L’altro strumento di politica sanitaria è quanto budget viene dato ad ogni area. In molte regioni oggi si sta tagliando la diagnostica per immagini (TAC, risonanza, mammografia). Lo si fa in due modi. Non si investe sull’acquisto di nuovi macchinari e si dà un budget complessivo per quelle prestazioni limitato e comunque inferiore alla domanda in essere. Bisogna sempre dire che in tutti i sistemi sanitari del mondo l’offerta determina la domanda più che il contrario. Aggiungi posti letto e avrai più ospedalizzazioni. Aggiungi macchine per fare risonanze e avrai più risonanze. I tagli hanno due motivazioni: da un lato il risparmio e dall’altro l’appropriatezza clinica (evitare prestazioni inutili e/o dannose).

Il budget che viene dato ad un erogatore non tiene quindi conto del numero di pazienti che vorrebbero andare da quell’erogatore. Il che si traduce immediatamente in liste di attesa lunghe per quegli erogatori che hanno squilibrio tra domanda e offerta, che sono percepiti come di valore e che hanno agende disponibili insufficienti per la domanda. La lista di attesa quindi si allunga fino a che il valore percepito (e la tariffa pagata, ovvero il ticket) per quel servizio non è controbilanciato da un tempo di attesa inaccettabile. A quel punto il cittadino o va su un altro erogatore pubblico percepito come di minor valore o va nel privato.

Oggi le istituzioni private (ma non necessariamente i singoli medici) non hanno quasi nessuna lista di attesa. La ragione è molto semplice: le risorse vengono fatte variare a seconda della domanda, in modo da avere sempre liste di attesa di pochi giorni. Ovviamente il costo dei privati è nel migliore dei casi vicino al ticket, molto più spesso un multiplo del ticket. Non è infrequente avere visite specialistiche a tariffe superiori ai 150 euro. A volte l’erogatore privato convenzionato finisce il budget prima di dicembre e quindi accade che negli ultimi mesi dell’anno non vengono più prenotate prestazioni rimandando a gennaio. In questo caso non manca quindi la capacità produttiva, ma il finanziamento.

Un altro strumento con il quale si limita l’erogazione di servizi sono i limiti imposti ai medici di base su ciò che prescrivono. I medici vengono quindi messi sotto pressione se prescrivono più di quanto ci si aspetta da loro, data la platea di pazienti che hanno. Ad esempio il famoso “decreto appropriatezza” utilizzava molto questo strumento, imponendo percorsi diagnostici lunghi e complicati prima di permettere la prescrizione di un esame diagnostico più complesso.

Da molti anni i medici dipendenti pubblici che lavorano negli ospedali possono erogare prestazioni private dentro all’ospedale (Intramoenia) o fuori dall’ospedale (Extramoenia). Questa possibilità produce la classica offerta: “Se vuole può vedermi nell’SSN con tempi di attesa lunghi oppure domani privatamente”. Le tariffe dell’Intramoenia sono decise dal medico e quindi per la stessa prestazione si potrebbero avere tariffe molto diverse nello stesso ospedale. Di solito le tariffe dell’Intramoenia sono alte.

A monte di tutto vi sono poi i LEA (Livelli essenziali di assistenza), ovvero la lista di prestazioni che il ministero ogni anno dichiara essere dentro al perimetro del diritto costituzionale alla salute.

Questa lista deve essere quella minima erogata dai sistemi sanitari regionali (che possono aggiungere ulteriori prestazioni se lo desiderano).

Quando la domanda supera molto l’offerta un modo per riuscire a stare dentro ai vincoli che le regioni danno sui tempi di attesa è quello di abbassare i tempi visita. Ovvero, se hai un medico per 5 ore e gli fai fare una visita ogni 20 minuti visiterà 30 pazienti. Se porti il tempo a 10 minuti i pazienti diventano 60 e magicamente hai raddoppiato la tua capacità produttiva a parità di risorse. Ovviamente c’è un piccolo problema: la qualità della prestazione dipende grandemente dal tempo dedicato al paziente, all’ascolto e alla spiegazione del che fare.

Anche i pronto soccorso vivono la stessa situazione. Budget definito implica risorse limitate e se i pazienti che si presentano sono molto di più rispetto al previsto si formano code che a volte portano le persone ad attendere un numero di ore improponibile per attività che possono essere svolte in pochi minuti. C’è anche da dire che oggi i pronto soccorso sono intasati da codici bianchi e verdi (casi non urgenti) che non dovrebbero essere lì.

Ci sono alcune regioni migliori di altre nella gestione di tali problemi. In particolare l’Emilia Romagna, la Toscana e il Veneto sono certamente più capaci di mitigare questi problemi, anche se anche in queste questa struttura impedisce di eliminare i problemi.

Questo quindi sono le ragioni del funzionamento e dei problemi che l’SSN ha oggi e di cui spesso si dibatte sui media e che sono maggiormente percepiti dai pazienti.

Rimando a un articolo futuro le possibili soluzioni e miglioramenti.

Twitter @lforesti