Sì o no al referendum? Un piccolo aiuto dai Nobel per l’economia

scritto da il 13 Ottobre 2016

Quanto siamo preparati per valutare le proposte sul tavolo del Referendum costituzionale? Perché non farci aiutare dai due nuovi premi Nobel per l’economia Oliver Hart e Bengt Holmström? In effetti la novità sta proprio nell’applicazione dei modelli economici anche ad altre sfere, come quella del diritto. Questo è stato il principale apporto dei due studiosi della “teoria dei contratti”. Proviamo dunque ad utilizzare questo approccio economico per analizzare la Costituzione ed il dibattito sulle proposte di modifica.

Situazione attuale

Partiamo dalla situazione attuale. La tentazione di molte parti, soprattutto quelle rappresentate dai detrattori, è quella di ricondurre tutte le modifiche costituzionali proposte ad un normale dibattito politico. In tale situazione, poi, parte di responsabilità è stata proprio del presidente del Consiglio che ha dapprima “personificato” il prossimo referendum, poi cambiando posizione, ha dato il dovuto ruolo alla scelta referendaria. In effetti l’errore di Renzi, da lui stesso ammesso, è stato quello di chiedere a tutti i cittadini cieca fiducia, o in altri termini delega piena a modificare la Costituzione. Tale impostazione però è in contrasto con la teoria dei contratti, come vedremo più in dettaglio.

Mentre la delega (da parte dei cittadini) ad essere rappresentati dai parlamentari fa parte del “gioco”, la definizione delle regole del gioco stesso impone necessariamente un coinvolgimento più ampio.

La Costituzione, difatti, rappresenta l’insieme delle “regole del gioco”, ove sicuramente ricoprono un ruolo fondamentale i valori democratici ampiamente condivisi, che devono assicurare la giustizia sociale.

I fondamenti della teoria contrattualistica

I concetti di libertà, uguaglianza e giustizia hanno sempre suscitato notevoli interessi sia da parte di filosofi politici sia di economisti, dando il via in letteratura ad una fiorente produzione di teorie che trattavano il concetto di giustizia distributiva in maniera differente l’una dalle altre. Volendo schematizzare potremmo distinguere tra teorie affini all’utilitarismo[1] e teorie contrattualistiche[2]. Seguendo quest’ultima teoria, come sostenuta dai due neo premi Nobel, ecco che possiamo pensare alla Costituzione come se fosse un contratto tra tutti i cittadini.

Indipendentemente però dalle proprie convinzioni politiche, si può facilmente convenire che la Costituzione debba garantire la giustizia sociale. Quest’ultima sfera assume un’importanza rilevante perché rappresenta l’obiettivo finale e la motivazione per gli individui a trovare un accordo o in altri termini a “siglare” un contratto chiamato Costituzione.

La società è bene intenderla come un’impresa per il reciproco vantaggio, dove sono presenti sia conflitti sia identità di interessi.

Il punto di partenza delle teorie contrattualistiche è il convincimento che le istituzioni societarie siano il prodotto dell’accordo di individui dotati di diritti originari, e che la società si poggi su un contratto sociale pattuito all’unanimità tra i membri della collettività.

Lo status quo iniziale

L’idea fondamentale insita in queste teorie può essere esemplificata ricorrendo al concetto dello status quo del contrattualismo, in termini della teoria dei giochi, costituito da una situazione iniziale in cui gli individui perseguendo individualmente e in maniera disinteressata rispetto agli altri i propri fini personali, pervengono a esiti subottimali dal punto di vista dell’efficienza[3]. Si configurerebbero situazioni tipo dilemma del prigioniero, subottimali, appunto, rispetto agli esiti raggiungibili tramite strategie di tipo cooperativo.

Equilibrio finale

Risulta così conveniente per tutti gli individui partecipare alla contrattazione con gli altri, cooperando al fine di definire le regole del gioco, fondamentali per il funzionamento della società e a tale contratto sociale corrisponde la soluzione di tale gioco, ossia, l’equilibrio.

Sul tale equilibrio è poi interessante chiedersi se possa essere stabile e quali siano le procedure che ci permettono di trovarne uno. Tale equilibrio, nella teoria contrattualistica, dipenderebbe dal confronto tra il livello di benessere raggiungibile senza cooperazione, nello status quo, e dal tipo di diritti pattuiti scritti nella Costituzione.

                Il contratto sociale: la Costituzione

L’ invito è quello di collocarci in una situazione originaria in cui ciascuno non può sapere che posizione occuperà nella società reale[4], tale posizione sotto il velo dell’ignoranza (così detta) è l’essenza della versione di J. Rawls[5] della teoria contrattualistica. Qui nasce appunto la necessità un contratto sociale che sia esprimibile come l’accordo tra individui, che spogliandosi della propria identità[6], in modo che nessuno possa essere avvantaggiato o svantaggiato già in partenza, modellano le istituzioni fondamentali della società.

                Le modifiche (successive) alla Costituzione

L’equilibrio al quale si perviene non è necessariamente stabile, può essere ribaltato da un successivo esame delle condizioni che si impongono nella situazione contrattuale, e da ciò che può spingerci a rivedere i nostri giudizi. Come pare accadere con il Referendum del prossimo dicembre.

Il punto fondamentale è che gli individui sono dotati, ex-post, di perfetta informazione, dunque non avrebbero alcun incentivo a rispettare la decisione di massimizzare l’utilità di chi sta peggio. In questo ambito ad esempio risulta peculiare l’accostamento delle tematiche relative alla legge elettorale accostate a quelle di modifica della carta costituzionale.

Conclusioni

Modificare la Costituzione non è di per sé un esercizio illegittimo, difatti anche un contratto perfetto può non essere stabile e richiedere modifiche. Ma queste ultime devono necessariamente essere effettuate riportandoci ad una situazione di “velo di ignoranza” come nello status quo iniziale: per far questo è necessario studiare ed essere preparati per valutare le proposte e non reagire di pancia.

È necessario che la situazione attuale, prima descritta, cambi profondamente. Il raggiungimento di un equilibrio stabile presuppone uno status quo iniziale che sia credibile e pertanto dobbiamo risolvere prima qualsiasi questione che sia afferente più al dibattito politico che al contratto sociale. Ad esempio sarebbe opportuno trovare una soluzione sulla modifica della attuale legge elettorale. Infatti l’accostamento del dibattito sulla legge elettorale al dibattito sulle modifiche costituzionali fa venire meno il “velo di ignoranza” in quanto risulterebbe più forte il calcolo (da parte dei partiti) del proprio output elettorale atteso.

Infine, l’equilibrio, una volta raggiunto, per essere stabile richiede un overlapping consensus ottenuto dal confronto delle diverse idee e forze che convivono in una società democratica. Quello che manca oggi è un serio dibattito che possa far discutere sulle differenti “regole del gioco”, invece che vivere in un clima da campagna elettorale.

Certamente la politica è sintesi, ma è anche vero che “il meglio è nemico del bene”.

Twitter @pasqualemerella

Note:

[1] dove lo Stato massimizza il benessere sociale.

[2] in cui lo Stato nasce da un accordo consensuale degli individui per garantire il rispetto di determinati diritti e doveri.

[3] Si intende efficienza in senso paretiano, ossia, in altri termini, la massimizzazione delle utilità personali. I modelli di economia politica – semplificando la realtà – si basano sulla massimizzazione della utilità individuale che porta al raggiungimento dell’ottimo paretiano. Quest’ultima è una condizione che descrive un’allocazione delle risorse tale per cui non è possibile apportare miglioramenti al sistema, cioè non si può migliorare la condizione di un soggetto senza peggiorare la condizione di un altro.

[4] siamo in presenza di una situazione di equi-probabilità.

[5] Rawls, J. (1982), Una teoria della giustizia, Feltrinelli ed.

[6] sempre sotto il velo dell’ignoranza