Perché non conviene a nessuno fare la guerra a Tabbid, il social dei lavoretti

scritto da il 16 Dicembre 2016

Pubblichiamo un post di Ilaria Orfino, consulente di comunicazione di startup e aziende del settore tecnologico

L’ultimo report del McKinsey Global Institute parla molto chiaramente: la gig economy, che oramai – almeno in USA e Europa – ha raggiunto una quota che oscilla tra il 25% e il 30% della popolazione in età lavorativa, sta cambiando, con prepotenza, il mercato del lavoro. A giovarsi del boom di questo fenomeno, alimentato dalla diffusione capillare di piattaforme digitali che facilitano il match tra domanda e offerta di “lavoretti”, sarebbe proprio la fascia di popolazione attiva ma disoccupata. Per quanto riguarda l’Italia, se si dà uno sguardo ai dati Ocse ed Eurostat, scopriamo che il fenomeno dell’economia on demand ha molto potenziale pronto ad esplodere. Basti pensare che siamo al quartultimo posto dei paesi Ocse per tasso di occupazione, ma siamo quarti al mondo per numero di lavoratori autonomi, gli “imprenditori di sé stessi”, quasi il 25% nel 2015.

Così il dibattito pubblico italiano si trova impreparato a gestire le critiche che gli operatori tradizionali del mercato da anni muovono alla’”uberizzazione” del lavoro. Dopo lo scontro tra i tassisti e Uber, e la guerra di FederAlberghi contro Airbnb, è ora la delegazione lombarda di Confartigianato a voler far sentire la sua voce contro Tabbid, il social network “made in Italy” che conta oltre 16.000 visite giornaliere e mette in contatto chi ha bisogno di piccoli lavoretti quotidiani con chi è disposto ad offrirli.

Epicentro della polemica è la problematica relativa alla sicurezza del lavoratore, alla validità dei sistemi di feedback (in questo caso, Facebook) sottesi alla piattaforma, alla formazione e all’eventuale mancanza di competenze a carico del singolo lavoratore nel gestire le riparazioni casalinghe per cui è chiamato. Competenze, queste, che – pur prive di alcun certificato – vengono sfruttate dalla Rete, ma non migliorate.

Ad esempio, Facebook può essere “garante” (così come previsto proprio da Tabbid) della professionalità di un giovane che, dietro un piccolo compenso (che può avvenire o in contanti o con voucher) aiuta un anziano nella riparazione di un lavandino? Secondo Eugenio Massetti, portavoce delle istanze di Confartigianato Lombardia – la risposta è negativa: la possibilità di arrecare danni, o essere vittima di un infortunio senza essere coperti da una polizza assicurativa, o – addirittura – mettere a rischio la sicurezza di chi – fidandosi solo della Rete – accoglie in casa sconosciuti, è un rischio concreto sottovalutato dalla piattaforma digitale. Avere, invece, come filtro e garante delle proprie capacità professionali un’associazione di categoria è indice di qualità del lavoro che, seppure dietro un minimo compenso, viene svolto.

In questa discussione, che sta alimentando dibattiti anche a livello nazionale, è necessario giungere a una soluzione che – in questa epoca votata alla disintermediazione – sia vincente sia per i vecchi sia per i nuovi operatori del mercato.

Per le aziende innovative, come Tabbid, che stravolgono un segmento di mercato consolidato deve essere un imperativo categorico tener conto della situazione attuale. Non è pensabile pretendere innovazione solo per sé e non lavorare in sinergia con gli incumbent per sgravare anche le aziende tradizionali. Dal canto suo, Confartigianato non deve assolutamente sottovalutare, o addirittura dimenticare, una importante verità dell’era 2.0: un titolare di partita Iva, o – ad esempio – anche la microimpresa che si occupa di riparazioni – non può prescindere dall’avere visibilità in Rete. E piattaforme come Tabbid possono diventare una ottima “vetrina” anche per queste piccole realtà. La guerra tra Confartigianato Lombardia e Tabbid non può – e non deve – diventare un nuovo paradigma della guerra tra innovatori e conservatori. L’unica chiave di volta è la collaborazione tra “nuovo” e“vecchio”, perché l’innovazione – soprattutto se condivisa – diventi pungolo e acceleratore anche delle aziende istituzionali.

Twitter @IlariaOrfino