Management, carriera, aziende: i quattro salti che servono a crescere

scritto da il 06 Maggio 2017

Si cresce professionalmente in modo continuo o attraverso salti. Ci sono salti ben definiti verso un livello professionale più alto (maggiore responsabilità, maggior budget gestito, maggiore remunerazione percepita, maggior valore creato).

Ecco le fasi lungo le quali si compiono i salti:

Fase operativa: si crea valore facendo con le proprie mani e la propria mente, in modo diretto. Si è operativi, si impara un mestiere, un linguaggio tecnico. Si collabora con gli altri per portare a casa il nostro lavoro.

Fase manageriale: si crea valore attraverso gli altri. Ci si focalizza sugli obiettivi da raggiungere e si organizzano le persone, con un livello di delega adattato al raggiungimento del risultato. Si comincia a perdere il controllo sull’output del proprio lavoro perché largamente fatto da altri e di solito si fa fatica a non fare micromanagement (che in pratica significa decidere su aspetti in cui la persona gestita dovrebbe avere la delega decisionale).

Fase orientata alla leadership: si sposta l’attenzione dall’oggetto del lavoro alle persone. Il vero “prodotto” del proprio lavoro sono le persone e la qualità del loro lavoro, la loro soddisfazione, la loro crescita. L’oggetto di creazione di valore è una palestra di allenamento per la crescita delle persone. Il tempo lo si spende ascoltando e facendo coaching. Dalle affermazioni della fase manageriale si passa alle domande. I conflitti e le emozioni diventano gli strumenti principali di lavoro. I valori diventano l’argomento di discussione principale. La fiducia deve essere creata e mantenuta nel tempo, azione dopo azione. Parola dopo parola. Le proprie azioni e le proprie parole sono molto più importanti in quanto diventano esempi per gli altri e quindi hanno due ruoli: uno locale e uno di lungo periodo. Si viene a generare la propria reputazione di leader.

Fase culturale: l’obiettivo principale è quello di aiutare lo sviluppo di leadership diffusa nella propria istituzione e definire (co-costruedoli con gli altri) in modo chiaro i valori a cui tutti si devono ispirare. Si parla con le persone per aiutarle a sviluppare la loro fase della leadership. Si pensa e agisce su elementi simbolici e strutturali. Si guarda dall’alto quello che sta accadendo e ci si focalizza sui cambiamenti difficili, che sono appunto quelli culturali. Si fanno scelte dolorose se necessarie, pensando agli effetti nei successivi anni più che a quelli immediati. Ci si occupa sempre di persone ma con uno stile diverso rispetto a quello della fase della leadership: più astratto, più inaspettato, più orientato a mettere dubbi e pensieri fondamentali.

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Il salto da una fase all’altra è sempre estremamente difficile e solo poche persone riescono a farlo. Solitamente accade che non si è preparati e si cerca di replicare le modalità della fase precedente e che gli altri non riconoscono il nostro nuovo comportamento perché abituati al precedente. Essendo una crescita professionale gli elementi di competizione crescono e con essi quelli di frustrazione.

A volte le persone arrivano alla conclusione che il gioco non vale la candela e quindi preferiscono stare nella fase attuale. O addirittura tendono a tornare indietro (purtroppo le norme sul lavoro oggi non permettono di farlo e questo produce il principio di Peter: “In una gerarchia, ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza”).

Le istituzioni che vogliano lasciare un segno nel mondo devono dotarsi di strumenti per far saltare quante più persone possibili attraverso queste quattro fasi. Bisogna uscire dal modello dell’eroe predestinato, nato tale, ed entrare nel modello della crescita professionale diffusa. È molto più complicato rispetto al mondo del lavoro di 50 anni fa. Ma è fondamentale.

Twitter @lforesti