Più dati per tutti e le barriere del monopolio pubblico da abbattere

scritto da il 01 Giugno 2017

Pubblichiamo un post di Carlo Amenta, ricercatore in economia e gestione delle imprese presso l’Università di Palermo e honorary fellow dell’Istituto Bruno Leoni –

Nel 2013 un semplice studente della University of Massachusetts ha rilevato degli errori nel database utilizzato da Carmen Reinhardt e Kenneth Rogoff per il loro lavoro scientifico sulla relazione tra crescita e debito pubblico (Reinhardt, Carmen M. And Kenneth S. Rogoff. 2009. This Time Is Different: Eight Centuries of Financial Folly, Princeton University Press). Ne seguì una rilevante polemica accademica ma anche politica (dato il forte impatto di policy di questo lavoro) che ha consentito di approfondire diversi aspetti della ricerca e di cui hanno beneficiato gli stessi autori. Tutto ciò è stato possibile grazie alla disponibilità del database che i due autori hanno prima inviato allo studente e, successivamente, anche pubblicato sul proprio sito.

Questa tendenza alla trasparenza e alla disponibilità dei dati, per consentire controlli su risultati ed ipotesi, è cresciuta nel tempo e molte riviste scientifiche oggi richiedono espressamente agli autori la disponibilità dei database degli articoli proposti per la pubblicazione. Nella ricerca della verità, i dati sono fondamentali: “Without data you’re just another person with an opinion” diceva, non a caso, il grande William E. Deming, che aggiungeva, provocatoriamente: “In God we trust. All others must bring data”.

I dati consentono di testare ipotesi, di verificare le nostre convinzioni sulla realtà e anche di sottoporre ad un processo serio di fact checking chi ci governa ed esercita il potere politico (“Eternal vigilance is the price of liberty”, ci ricorda Jefferson). Non si può quindi che concordare con Sherlock Holmes quando grida: “Dati, dati, dati! Non posso creare i mattoni senza l’argilla!” e chiederne sempre di più.

Qualche giorno fa su questo blog Beniamino Piccone ha dato notizia di un interessante studio sulla mobilità intergenerazionale in Italia: gli autori, uno dei quali è dipendente del Ministero dell’Economia e delle Finanze, nell’abstract vantano (giustamente) l’utilizzo di un dataset unico relativi alle dichiarazioni dei redditi dei cittadini italiani. Sono dati sicuramente eccezionali, un sogno per chi si occupa di ricerca in campo economico, appannaggio finora di pochi che hanno provato a rispondere a domande rilevanti; una chimera vista l’impossibilità di poterli ottenere per chi, come me, è un semplice ricercatore di un’università pubblica, figuriamoci per il prossimo Steve Jobs, John Nash o Mark Zuckerberg di casa nostra, che è lì fuori, in attesa di utilizzarli per dare il suo contributo realizzandoci anche un buon profitto.

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Eppure si tratta di dati raccolti e catalogati utilizzando soldi pubblici, di proprietà dello Stato solo in ragione della sua funzione di servizio ai cittadini. Sono diversi i paesi occidentali in cui i dati in possesso dei soggetti pubblici sono messi a disposizione dei ricercatori e anche in Italia si comincia a vedere qualche risultato in più. In questo senso proprio il Ministero dell’Economia e Finanze può essere citato come esempio virtuoso in quanto ha messo a disposizione un efficiente database sulle operazioni degli enti pubblici, SIOPE. Sui dati fiscali individuali però, nonostante l’annuncio della prossima disponibilità di un “tax file” Irpef di oltre un anno fa, continua a pesare una ingiustificabile cortina di ferro degna della Russia comunista.

Sarebbe ora di abbattere questo monopolio pubblico, del tutto ingiustificato alla luce degli innegabili progressi in termini di efficienza nella raccolta e conservazione dei dati. Più dati per tutti insomma, per consentire a chiunque sia interessato di conoscere la realtà che ci circonda senza filtri imposti e nella massima trasparenza. Qualche anno fa un famoso professore di econometria di cui seguivo un corso, alla mia domanda su come fare per ottenere i dati della Banca d’Italia su cui lui ci mostrava mirabolanti regressioni, mi rispose: “Si faccia amico qualche funzionario della Banca e si scriva con lui”. Sono passati molti anni da quella frase ma la situazione non mi sembra cambiata. È ora di farla finita: date i dati al popolo!

Twitter @CarloAmenta1