Contrattazione decentrata e politica dei minimi: un’idea per il Sud

scritto da il 21 Giugno 2017

Nel nostro ultimo articolo abbiamo parlato dei possibili effetti della contrattazione decentrata sulla competitività delle nostre aziende. Qui completiamo il quadro aggiungendo la dimensione regionale. Da decenni si discute del divario di competitività tra il Sud e il resto del Paese che va allargandosi nel tempo. Come agire? La contrattazione decentrata è uno dei pezzi del puzzle che va assemblato affinché il Mezzogiorno cominci a camminare.

Produttività,  retribuzioni, competititività: perché c’è un problema

La competitività di un’economia, come quella di una azienda, si misura essenzialmente dalla sua capacità di creare valore aggiunto a costi contenuti. Intuitivamente, maggiore è il valore aggiunto, minore è il costo, maggiore è la competitività di un’economia; viceversa, minore è il valore aggiunto, maggiore è il costo, minore è la competitività. Per avere un’idea dell’eterogeneità presente fra le economie delle regioni italiane, è utile guardare alla produttività oraria media (PIL/ora di lavoro) e alla retribuzione oraria media (retribuzione lorda/ora di lavoro) di ognuna di esse.

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Grafico 1. Fonte: Rielaborazione dati Istat

Come mostra il Grafico 1, la Lombardia si attesta come prima regione d’Italia sia per produttività sia per retribuzioni medie, mentre la Calabria è il fanalino di coda.

Le cause di queste disuguaglianze regionali sono molteplici, così come molteplici sono i fattori che storicamente scoraggiano la crescita dell’economia del Sud: infrastrutture scarse e inefficienti causano elevati costi di trasporto, processi civili con durata superiore alla media nazionale aumentano l’incertezza, la corruzione nella pubblica amministrazione aggrava i già notevoli problemi burocratici che un’impresa deve affrontare,  la criminalità organizzata distorce la competizione in alcuni settori causando una selezione avversa delle imprese, una situazione generale di difficoltà del tessuto imprenditoriale aumenta il costo del credito, un sistema di istruzione, in particolare universitario, di bassa qualità costringe la forza lavoro qualificata più dinamica ad emigrare. È chiaro quindi che se un imprenditore deve decidere se situare la propria attività produttiva nella regione A o nella regione B e sa che in A affronterà costi e rischi più alti che in B, avrà forti incentivi a produrre in B. Se, in aggiunta, laddove la produttività è minore, le retribuzioni sono irrigidite da un sistema di contrattazione nazionale, si avrà inevitabilmente un disallineamento tra domanda e offerta di lavoro che causerà maggiore disoccupazione, o, in alternativa, una concentrazione maggiore di lavoro irregolare. Il grafico 2 mostra una relazione evidente fra scarsa competitività e maggiore disoccupazione e/o lavoro irregolare, che colpisce in particolar modo le regioni del Sud.

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Grafico 2. Fonte: Rielaborazione dati 2013 Istat e European Commission Database (http://ec.europa.eu/regional_policy/en/information/maps/regional_competitiveness/)

Contrattazione decentrata: cos’è e che vantaggi comporta

Secondo il Global Competitiveness Index, in Italia il costo del lavoro e la rigidità del mercato del lavoro sono fra i cinque fattori che incidono maggiormente sulla scarsa competitività del Paese. La contrattazione decentrata è uno strumento utile ad affrontare entrambe le problematiche. Per contrattazione decentrata (a livello regionale, o aziendale) si intende un meccanismo di contrattazione del salario e dei livelli di occupazione fra imprese e sindacati che non avviene più, come accade attualmente, a livello nazionale, ma a livello decentrato, con appositi meccanismi di regolamentazione a supporto. A dire il vero, deroghe territoriali ai contratti nazionali (anche in peius) sono già state dichiarate legittime da una sentenza della Corte di Cassazione del gennaio 2016: si tratterebbe dunque di conferire sostanza giuridica e regolamentazione appropriata ad una pratica già eccezionalmente in uso ora.

Ma quali sono i principali vantaggi di questo tipo di contrattazione?

Innanzitutto, il conseguente riallineamento della retribuzione alla produttività potrebbe costituire un incentivo per le imprese di legalizzare i rapporti di lavoro sommersi. Inoltre, esso implicherebbe sì, nel caso del Mezzogiorno, una compressione salariale per chi già un lavoro ce l’ha, ma permetterebbe anche di stimolare l’occupazione, soprattutto grazie a nuovi investimenti provenienti dalla regione stessa, dal resto del Paese e dall’estero. Abbattere tassi di disoccupazione regionali vicini (e a volte superiori) al 20% aiuterebbe inoltre a risollevare la domanda interna, mentre gli investimenti potrebbero innescare a loro volta un circolo virtuoso che porti a maggiore produttività e salari più alti nel medio periodo.

Un altro vantaggio considerevole della contrattazione decentrata è che offre la possibilità di adattare le condizioni contrattuali dei lavoratori alla contingenza economica in maniera molto flessibile: questo permette, nel caso di una crisi economica, di assorbire lo shock senza che le conseguenze negative si riversino su pochi, evitando così pessime conseguenze in termini di efficienza redistributiva. Intuitivamente, se una azienda viene colpita da un calo di domanda e ha bisogno di tagliare i costi, deve o tagliare il personale o tagliare i salari. Se il livello dei salari è rigido a causa di una contrattazione nazionale inderogabile, l’azienda non avrà altra scelta se non quella di tagliare il personale. Così, alcuni perdono il lavoro e, con esso, il reddito che sostiene una famiglia, mentre altri vedono le loro condizioni pressoché immutate. Un accordo a livello aziendale permetterebbe invece di mantenere intatti tutti i posti di lavoro e di privilegiare al contrario una compressione salariale da applicare a tutti i lavoratori.

Un caso di studio esemplare per analizzare gli effetti positivi della contrattazione decentrata è la Germania. Al fine di affrontare le disparità di produttività presenti fra Germania Est e Germania Ovest all’indomani dell’unificazione, dagli anni ’90 furono consentite “clausole d’apertura”, ossia deroghe alla concertazione centralizzata su aspetti rilevanti degli accordi nazionali (salario, orari di lavoro, turni, politiche di remunerazione degli straordinari). La percentuale di lavoratori tedeschi coperti da un contratto nazionale scese dal 75% al 56% del totale nel periodo 1995-2008 e il tasso di disoccupazione è sceso costantemente nel corso del tempo (anche durante gli anni della crisi) fino al 4.1% attuale.

Eventuali conseguenze negative e rimedi

L’aumento dell’occupazione e della produttività dipenderebbe in modo cruciale dall’aumento della capacità di favorire nuovi investimenti. Come accennato in precedenza, sono numerosi i fattori che rendono il Sud meno “attraente” e non possono essere ignorati: un intervento focalizzato esclusivamente sul costo del lavoro rischierebbe di scaricare sui lavoratori il peso di inefficienze di cui non sono responsabili.

Rimane inoltre presente l’eventualità che un sistema di contrattazione decentrato porti ad un calo della domanda interna e, di conseguenza, ad un effetto regressivo sull’economia di una regione. Questo potrebbe tuttavia avvenire solo se la compressione dei salari che segue la decentralizzazione avesse un effetto (negativo) sulla domanda aggregata più forte di quello (positivo) dei redditi generati da nuova occupazione. Alternativamente, ciò si verifica se tutte le aziende ricorrono alla deroga al solo fine di tagliare i salari senza creare nuova occupazione, ma è difficile ipotizzare che questo accada con il consenso dei sindacati, se non nel caso eccezionale di qualche azienda dall’enorme potere negoziale (fattore pur presente in alcune realtà del Sud). Inoltre l’effetto regressivo si può innescare in particolare in economie tipicamente poco dipendenti dalla domanda estera e dalla domanda proveniente dalle altre regioni del Paese (che compenserebbero un eventuale effetto regressivo sulla domanda interna) e che producono soprattutto beni di consumo (quelli più comunemente indirizzati alla domanda interna). Il Grafico 3 mostra che le regioni del Sud sono effettivamente meno esposte alla domanda estera rispetto ad altre regioni: questo le rende dunque più sensibili ad eventuali diminuzioni della domanda interna.

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Grafico 3. Fonte: Rielaborazione dati Istat

Per scongiurare questa eventualità, occorre mettere in campo un opportuno sistema di salvaguardia dei redditi. Esso potrebbe prevedere l’istituzione di un salario minimo su base regionale, adeguato alla produttività e al costo della vita ed inevitabilmente di livello inferiore a quello previsto da ciascuno dei contratti nazionali vigenti, che costituisca allo stesso tempo una base di contrattazione per ogni deroga ai contratti nazionali e un “cuscinetto” salariale per eventuali periodi di crisi. Anche in Germania peraltro, dopo che la decentralizzazione ha dato i suoi frutti, è stato istituito un salario minimo legale. Allo stesso tempo, il potenziamento delle misure contro la povertà recentemente approvate in Consiglio dei Ministri (REI-SIA)  potrebbe costituire un valido sostegno alla domanda interna per le regioni più danneggiate da questo processo. Dovrebbe infatti essere sufficiente un utilizzo temporaneo di strumenti di sostegno al reddito per contrastare l’eventuale carenza di domanda e innescare il circolo virtuoso di creazione di nuova occupazione.

Insomma, la decentralizzazione, se accompagnata da una politica dei minimi, potrebbe essere parte di un complesso di interventi di rilancio dell’economia meridionale e contribuire a risolvere problemi annosi come l’incidenza del lavoro nero e la fuga degli investimenti. È sempre più urgente un intervento di riforma ambizioso e coraggioso, che sia utile al Mezzogiorno e al Paese.

Twitter @Tortugaecon