Quanto (e perché) ce ne frega della Spending Review?

scritto da il 22 Giugno 2017

Sul blog dell’economista Riccardo Puglisi possiamo trovare un abbozzo di analisi dell’interesse degli italiani verso la Spending Review, verificando quanto tale espressione ricorra nelle ricerche su Google. L’interesse sembra episodico: concentrato nei pochi momenti topici del dibattito istituzionale e per il resto piuttosto scarso. Utile è il confronto con l’interesse rivolto al termine “deficit”, essenzialmente costante nel tempo e ben superiore a quello, calante, verso “spending review”. Tutto questo è preso come sintomo della scarsa sensibilità al tema. Qui si ferma la breve nota di Puglisi.

Ammettendo che la rozza ricerca di Puglisi abbia almeno qualitativamente significato, si può provare a cercare una ragione del suo risultato. Gli strumenti di interpretazione possono essere molti, e così le conclusioni. Io voglio richiamare un modello creato dal prof. Colombatto su cui ho avuto il privilegio di lavorare (qui la versione definitiva, e qui una versione precedente per visualizzarlo), che introduco brevemente.

In questo modello il sentimento verso la redistribuzione del reddito (“populismo”) condiviso in una società chiama un certo livello di imposizione fiscale, così da sostenere le conseguenti politiche redistributive (dirette o in forma di spesa pubblica); l’imposizione fiscale incide da una parte negativamente sulla crescita dell’economia, e dall’altra implica la richiesta di una crescente qualità della spesa pubblica; nel mentre, il politico in carica decide il mix di performance economica e interessi personali (rent-seeking) da perseguire, stante che il rent-seeking va a scapito della qualità della spesa. Dato il livello di imposizione fiscale (e di populismo) e la scelta del politico, la crescita economica deludente o l’insufficiente qualità della spesa pubblica comportano turbolenze tra gli elettori/contribuenti fino ad arrivare, tra gli altri esiti, alla sostituzione del politico (nuove elezioni).

Tra le possibili risposte del politico al rischio di sostituzione abbiamo la Spending Review, intesa in senso restrittivo (riduzione netta della spesa pubblica), distinta dalla Quality Review (un diverso mix di spesa pubblica a parità di totale) e dalla Quality Deception (illusione – temporanea – di un miglioramento della qualità della spesa). Il nostro spaccare il capello in quattro (anzi, in tre) è funzionale ad evidenziare un punto importante: la Spending Review in senso restrittivo implica necessariamente la riduzione dell’imposizione fiscale (minori spese da finanziare), il che nel nostro modello è concepibile solo con un fondamentale cambiamento nelle preferenze della società, cioè con una riduzione del “populismo”. Senza questo “shock culturale”, cioè a parità di desiderio redistributivo, la spesa complessiva non può diminuire (e con essa nemmeno la pressione fiscale), restando possibili solo Quality Review e Quality Deception.

Questo modello offre quindi la seguente lettura del dato evidenziato da Puglisi: il “populismo” come definito nel modello è un parametro culturale imprescindibile, che rende gli elettori/contribuenti da una parte refrattari alla riduzione degli interventi redistributivi e di spesa, e dall’altra più interessati al tema del deficit cioè alla possibilità di operare spesa/redistribuzione anche oltre a quanto permesso dal livello di imposizione fiscale. L’interesse verso il deficit sarà quindi costante, mentre quello verso la Spending Review dovrà rivelarsi episodico (come per un fenomeno di cronaca), e normalmente inferiore al primo nonché calante con il tempo. Questo è coerente con quanto ritrovato da Puglisi.

Se il dato di Google è davvero significativo, e accettando la sua coerenza con il modello richiamato, possiamo concludere che agli italiani in genere non frega nulla di ridurre la spesa pubblica; al più esiste un interesse alla sua ricomposizione (cioè si ha interesse ad intestarsene una fetta maggiore), ma soprattutto al suo allargamento a spese altrui (il deficit è una delle modalità). Questo può essere un motivo alla base della scarsa crescita economica del Belpaese, e una ragione per non vedere cambiamenti di rilievo a breve termine salvo… un asteroide.

Twitter @LBaggiani