L’Italia di oggi risparmia meno di quella di ieri ma investe ancora meno

scritto da il 06 Luglio 2017

Una tabella molto interessante pubblicata sull’ultima relazione annuale della Banca d’Italia consente di fare alcune osservazioni sull’andamento del risparmio nazionale, e in particolare di quello delle famiglie in relazione al reddito nazionale lordo disponibile (RNLD). Quest’ultimo si ricava sommando al Pil i redditi primari ricevuti dal resto del mondo e sottraendo i flussi corrispondenti versati a quest’ultimo. Rappresenta quindi l’ammontare totale delle risorse che hanno a disposizione gli operatori per i loro impieghi finali, che sono consumo o risparmio. Nel 2016 il risparmio delle famiglie è lievemente aumentato di 0,2 punti dal minimo del 5,5% del RNLD.

Bankitalia osserva che tale tendenza è stata comune al complesso dell’economia, “dopo la battuta d’arresto segnata nel 2015”. Nel 2016, infatti, il risparmio nazionale lordo, ossia la differenza fra i reddito nazionale lordo e i consumi, è arrivato al 19,7% del RNLD, “un valore appena inferiore alla media del primo decennio degli anni duemila”. Prima di guardare al dato storico, vale la pena osservare che l’aumento del risparmio è stato determinato dal settore privato mentre è diminuito il risparmio del settore pubblico. All’interno del settore privato, il risparmio è cresciuto assai più nelle imprese che nelle famiglie. In particolare, fra il 2015 e il 2016,il risparmio risulta essere aumentato dal 17,9% al 19,2% del RNLD, in crescita quindi dell’1,3%, di cui lo 0,2% a favore delle famiglie. Per sottrazione, quindi, si deduce che grosso modo il risparmio delle imprese sia cresciuto dell’1,1%, “a fronte di dividendi distribuiti – spiega Bankitalia – che sono tornati a ridursi”.

L’aumento del risparmio, tuttavia, non ha influito su quello degli investimenti, che, al contrario, si sono contratti dal 17,6% del RNLD del 2015 al 17,2%. Ciò ha contribuito, per il quarto anno consecutivo, al rialzo del saldo di conto corrente con l’estero, arrivato al 2,6% del reddito nazionale. In sostanza, il maggior risparmio è stato tesaurizzato.

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A fronte della situazione di oggi, abbiamo una storia, che risale fino al 1981, che racconta di un’altra Italia. Per tutti gli anni ’80, le amministrazioni pubbliche hanno avuto in media un risparmio negativo – quindi un deficit – del 6,6% del reddito nazionale lordo, a fronte del quale il risparmio del settore privato arrivava al 28,8%. È rimarchevole notare che il risparmio delle famiglie arrivava al 20% del reddito nazionale, quindi le imprese pesavano per il restante 8,8%. La metamorfosi inizia nel decennio 1991-2000, quando l’Italia inizia la sua faticosa correzione degli sbilanci del settore pubblico. La media del deficit, infatti, si dimezza al 3,3%, e il risparmio privato si riduce, portandosi al 24,6% del reddito. Ma il prezzo lo pagano le famiglie, che perdono il 6% di risparmio sul reddito, mentre le imprese vedono crescere la loro quota al 10,6%. Sono gli anni delle privatizzazioni, d’altronde, e quindi quelli in cui si allarga il perimetro dell’impresa privata in Italia e quindi la sua quota di risparmio sul totale.

Il primo decennio del XXI secolo disegna la completa metamorfosi avvenuta. Il settore pubblico diventa eccedentario, con un risparmio medio dello 0,7%, a fronte del quale il settore privato perde ulteriori quote di risparmio, portandosi al 19,4. La quota delle famiglie si contrae ancora di più, arrivando all’8% medio, a fronte dell’11,4% delle imprese, che quindi vedono consolidarsi la loro posizione. Poi arriva il peggio della crisi. Nel 2012 le famiglie risparmiano appena il 4,7% del reddito nazionale, le imprese arrivano al 12,4. È l’anno peggiore. Nel 2013 lo stato rimane eccedentario ma appena per lo 0,1% e questo alimenta i risparmi del settore privato, che arrivano al 18%, di cui 5,9% per le famiglie. Nel 2015 il risparmio del settore torna a diminuire e poi arriviamo all’anno scorso, che abbiamo già visto. Il risparmio delle famiglie ormai quota stabilmente fra il 5 e il 6% del reddito nazionale, ben lontano dal 20% degli anni ’80. Una retromarcia storica consumata in poco più di un trentennio che, di fatto, ha cambiato il volto del paese.

Questo cambiamento si può osservare anche sul versante degli investimenti, che sono una delle note dolenti della nostra economia, visto che sono ancora ben lontani dal periodo pre crisi. Sommando algebricamente il risparmio del settore privato con quello pubblico, abbiamo il risparmio nazionale lordo. Nel caso del decennio degli ’80, avevamo un deficit del 6,6 pubblico e un surplus del 28,8 del settore privato. Quindi il risparmio nazionale lordo era del 22,3 (arrotondato da Bankitalia),a fronte del quale c’erano investimenti lordi per il 23,2. Il paese dunque investiva più di quanto risparmiava e generava un deficit sulla partite correnti con l’estero, che per tutto il decennio è stato dello 0,9% del RNLD. Adesso ci troviamo nella situazione opposta. Abbiamo un attivo corrente a fronte di investimenti inchiodati al 17,2% del reddito nel 2016, che certo non favoriscono una crescita vivace del prodotto né dell’occupazione. L’Italia di oggi risparmia meno di quella di ieri ma investe ancora meno e non si può dire consumi molto di più. Cumula attivi, ma sembra che non abbia ancora deciso come utilizzarli. Forse servirebbe qualche buona idea.

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