Lombardia controluce: l’economia va, il confronto con l’Europa allarma

scritto da il 06 Luglio 2017

Volti sorridenti, facce abbronzate nell’Auditorium di Via Pantano di Assolombarda, l’associazione degli industriali di Milano, Monza e Brianza. L’economia va, la congiuntura migliora. A certificarlo è il rapporto sull’economia lombarda di Banca d’Italia, che come di consueto fa il punto della situazione a metà anno.

Il neoeletto presidente di Assolombarda Carlo Bonomi fa gli onori di casa sottolineando l’importanza della trasparenza nel rapporto tra banca e impresa. Le ultime vicende delle banche venete evidentemente non possono essere dimenticate. Bonomi, e questo gli fa onore, critica anche l’atteggiamento di ostilità che si è creato negli ultimi anni nei confronti degli istituti di credito. In un sistema bancocentrico dare addosso alle imprese creditizie è assolutamente controproducente.

Il direttore della sede di Milano di Bankitalia Giuseppe Sopranzetti spiega come il moderato ritmo di crescita si stia consolidando. La svolta c’è stata “dopo la più grande crisi economica in tempo di pace” (Ignazio Visco, cit.), ma bisogna coagulare le forze perché si possa proseguire nella giusta direzione.

Nel rapporto si evidenzia il ruolo delle esportazioni delle imprese lombarde. L’esposizione internazionale è sempre stata la forza di Milano. A maggior ragione in questi anni, che hanno visto Milano emergere come unica città veramente cosmopolita. Però il rapporto non fa sconti agli imprenditori: “Negli ultimi quindici anni le esportazioni della Lombardia sono cresciute a un ritmo inferiore a quello nazionale e a quello del commercio mondiale”. E ancora: “Le imprese lombarde hanno dato origine alla gran parte del disavanzo che il Paese ha cumulato nella bilancia tecnologica tra il 2009 e il 2016”.

Paola Rossi della Divisione Analisi e ricerca economica territoriale di Bankitalia commenta l’andamento della produzione spiegando differenze importanti all’interno del dato macro. Sono le imprese sopra i 200 addetti che riescono a presentare risultati più soddisfacenti. Le piccole imprese – quelle che hanno tra i 10 e 49 addetti – soffrono e sono ancora lontane dai livelli produttivi del 2008.

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Ancora una volta emerge il ruolo decisivo giocato dalle medie imprese, vero punto di forza dell’Italia. E smettiamo di parlare di PMI, le piccole non c’entrano nulla con le medie imprese. Secondo una recente analisi compiuta da Fulvio Coltorti – già capo del servizio studi di Mediobanca – pubblicata sulla Nuova Antologia (aprile-giugno 2017) – prestigiosa rivista fondata da Giovanni Spadolini – nel 2016 “le organizzazioni del Quarto capitalismo hanno fruttato un surplus di esportazioni pari a 93 miliardi, a fronte di un deficit di 2,5 miliardi provocato dai beni di grande impresa”. Media impresa in crisi?, si chiede giustamente Coltorti, criticando le interpretazioni univoche del recente rapporto annuale dell’Istat. È viceversa la grande impresa che ha fatto molti passi indietro, dovuti, secondo l’analisi di Coltorti, al “basso impegno dei privati negli investimenti tecnici e nelle spese di ricerca e sviluppo, che sono la premessa per innovare i prodotti e assicurarsi l’espansione sui mercati globali”.

L’ex rettore della Bocconi Andrea Sironi apprezza l’analisi comparata compiuta da Bankitalia, che ha confrontato la Lombardia con le aree più dinamiche d’Europa. Nel rapporto si legge: “Nel 2015 la Lombardia figurava ancora nel gruppo delle aree più sviluppate della UE (PIL pro capite), ma al quarantunesimo posto e con un livello di reddito appena superiore alla soglia minima di appartenenza al gruppo. Nel 2000 era nelle prime venti posizioni e altre nove regioni italiane appartenevano al gruppo”. Emerge come i due punti chiave del gap negativo siano la produttività e la formazione della forza lavoro. Sono ancora troppo pochi i laureati in Lombardia. Rispetto al target fissato in Europa per il 2020 (40% di laureati nella fascia 30-34), siamo solo al 30%.

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Sironi, in qualità di presidente di Borsa italiana, invita le imprese lombarde a non fare affidamento solo sul credito bancario, e insistere sul percorso di quotazione, sulla crescita tramite M&A, che è certamente facilitata dall’essere quotati. Inoltre, la visibilità di una società quotata è notevole.

Come ormai avviene da anni, il credito si riduce nei confronti delle piccole imprese (-2,9%), mentre cresce per le medie e grandi (+1,9%). Positivo l’andamento finanziario nel settore manifatturiero, mentre ancora flette il credito alle aziende delle costruzioni. Meno male. Il settore immobiliare deve accompagnare con mezzi propri lo sviluppo. È troppo comodo farsi finanziare le operazioni di sviluppo con leve assurde dando in garanzia prati verdi (vedi Zamparini con la Banca Popolare di Vicenza) per poi lasciare buchi inenarrabili. Va detto a chiare lettere che molte imprese italiane sono sottocapitalizzate e che non meritano il credito bancario, per insussistenza del patrimonio rispetto al debito. Senza contare l’opacità che spesso caratterizza il rapporto con gli istituti di credito. Fa ben sperare il dato Bankitalia per cui tra il 2011 e il 2015 il valore medio del leverage delle imprese si è ridotto di quasi 6 punti percentuali.

Per le conclusioni prende la parola il vicedirettore generale della Banca d’Italia Luigi F. Signorini che invita a non farsi prendere dagli entusiasmi congiunturali: “La strada è ancora lunga. Il tempo perduto non sarà facile da recuperare. Occorre affrontare il nodo delle riforme strutturali della PA e della giustizia civile. È nei momenti favorevoli che si creano le condizioni per compiere scelte di lungo termine”.

Quando Signorini spiega che non c’è alcun “tesoretto da spendere da parte del settore pubblico”, l’occhio va a pagina 40 del rapporto dove si legge che la spesa corrente primaria in Lombardia costituisce il 90 per cento del totale, a totale detrimento degli investimenti, crollati negli ultimi anni: “Il rapporto tra gli investimenti fissi delle Amministrazioni locali lombarde e il prodotto interno lordo regionale si è progressivamnete ridotto, attestandosi allo 0,5% alla fine del triennio”. Urge ribilanciare il rapporto a favore degli investimenti, fattore chiave dello sviluppo.

Come soleva fare Carlo Azeglio Ciampi, Signorini invoca in chiusura lo “sta in noi”, la massima di Donato Menichella, governatore del “miracolo economico”, che molti imprenditori e banchieri dovrebbero tornare a leggere.

Twitter @beniapiccone