Gli algoritmi indiscreti e la nostra privacy fuori controllo

scritto da il 08 Agosto 2017

Pubblichiamo un post di Stefano Capaccioli, dottore commercialista e presidente Assob.it –

“Chi non ha nulla da nascondere non ha nulla da temere.”

Quante volte abbiamo sentito o dovuto ascoltare questa frase, dai toni rassicuranti, ma che cela, dietro la sua innocenza, un pericoloso lato oscuro: se non sei trasparente in tutte le tue azioni, allora vuoi nasconderci qualche cosa, non sei ‘onesto’ e quindi da sospettare.

Ora, molte persone di buona cultura ed educazione pronunciano detta frase, indicando come valore la trasparenza, ma dubito che sappiano che tale frase è di Adolf Hitler in relazione al controllo di massa che il partito nazista poneva in essere.

Tale pensiero, pur criticabile in assoluto, deve essere visto anche nel contesto della società dell’informazione.

Nulla da nascondere: ma quali dati e informazioni possiamo nascondere se sul web non ne abbiamo il controllo?

La questione inquieta: siamo esposti alla profilazione pubblica e privata sulla base dei nostri dati, delle nostre abitudini, senza saperlo. Gli algoritmi rendono trasparente ciò che di noi possiedono. E predicono le nostre future azioni. Senza saperlo.

La ‘black box society’ non perdona, accumula dati, informazioni, tendenze e profili generando risultati, giudizi, classifiche e ulteriori dati.

A questo punto si pone l’interrogativo: quali sono le conseguenze di condizione di alcuni dati? O meglio, l’esprimere un giudizio (anche nella forma di un like su Facebook o un re-tweet), quale conseguenze sulla mia profilazione / reputazione comporta?

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Gli algoritmi non graziano né assolvono, non hanno alcun cuore né discrezionalità: elaborano dati, li connettono tra di loro, secondo le istruzioni che il programmatore ha scritto, e che portano il modo di ragionare dell’essere umano che le ha prodotte, con tutte le fallacie logiche e con il sistema di valori.

Non solo, gli algoritmi usano i dati che ritengono rilevanti, e quindi non tutti quelli a disposizione e senza alcuna verifica sulla bontà e validità degli stessi. Infatti, siamo sicuri che l’algoritmo non abbia preferenze di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali?

L’alternativa è la possibilità che deve essere data all’individuo di essere anonimo, di potersi muovere senza che sia ricollegabile a una identità fisica.

Quindi lasciare dati (nulla da nascondere in un impeto di trasparenza) genera conseguenze per l’individuo che nessuno è in grado di controllare.

Una fonte inesauribile di dati è costituita dalle movimentazioni finanziarie della cashless society, dati che sono impossibili da proteggere, date le numerosi parti coinvolte. Solo il contante permette l’assoluta libertà transazionale senza lasciare dati sensibili ed il suo necessario superamento richiede l’implementazione di protocolli innovativi, quali quelli delle criptovalute.

Allora occorre ripensare con più attenzione all’affermazione iniziale e scegliere la risposta con consapevolezza alla seguente domanda:

Vogliamo vivere con un’auto della polizia al seguito, con una telecamera che riprenda tutte le nostre azioni al pc e con lo smartphone sotto controllo?

Sì, tanto non abbiamo nulla da nascondere.

No, perché la privacy sarebbe azzerata e il nostro comportamento sarebbe limitato e comunque cambierebbe. Senza la nostra volontà.

Twitter @s_capaccioli