E se i lavoratori avessero il cartellino come i calciatori?

scritto da il 11 Agosto 2017

Cosa succederebbe nel mercato del lavoro se i lavoratori avessero il cartellino come i calciatori? Se le aziende dovessero “comprarli” da altre aziende? Se le aziende dovessero/potessero scrivere a bilancio il valore della propria squadra? E dovessero aumentarne il valore nel tempo (ad esempio con formazione)?

Partiamo da 3 presupposti:

1- Il capitale umano si presenta nel bilancio delle aziende o come costi (spese di personale) o come debiti (TFR).

2 – A partire dal 1970 circa gli aumenti di produttività non vengono più distribuiti in maniera equa tra lavoratori e capitale, ma vengono largamente tradotti in aumento dei profitti.

3 – Le aziende non investono più in formazione e crescita dei propri dipendenti.

Queste tre affermazioni hanno una radice comune. Le persone, che – insieme al capitale finanziario e alle materie prime – sono i fattori necessari per la crescita dell’economia e che sono certamente il più importante dei tre fattori, non sono considerate un capitale per le aziende. O non lo sono considerate abbastanza.

Ci sono alcune eccezioni.

Ad esempio i calciatori. Le squadre hanno nel loro stato patrimoniale i calciatori secondo il loro valore di mercato. Sono un asset che può essere compra-venduto nel mercato delle squadre di calcio.

bonucci_milan

Se un giovane viene fatto crescere e diventa un calciatore più forte, il suo valore aumenta e la squadra ha quindi guadagnato da quell’investimento. Far giocare un giovane promettente rappresenta quindi un interesse economico diretto per la squadra.

Altro esempio significativo sono gli amministratori delegati delle aziende. Quando vengono assunti o licenziati il valore dell’azienda cresce o diminuisce a seconda della fiducia che i mercati ripongono in quel cambiamento. C’è quindi una variazione di capitale a seguito di una variazione di persone.

Oggi nel mondo dell’high-tech è invalso l’uso di acquistare start-up perché dentro ci sono persone di valore e quindi la cifra pagata è largamente legata alla valutazione che chi compra fa delle persone che ci lavorano

Questi esempi vedono i “lavoratori” pagati molto perché sono considerati tipici mercati “winner take almost all“, ovvero dove piccole differenze di valore sono valutate moltissimo.

La domanda interessante che ci si potrebbe porre è quindi: cosa succederebbe se introducessimo i “cartellini” anche per i lavoratori? Ovvero se oltre a un contratto in cui vengono definite retribuzione ed eventuali bonus, come oggi, esistesse anche un vincolo patrimonializzato tra lavoratore e azienda, che può essere venduto tra aziende?

Il primo aspetto di una tale prospettiva è percepito in modo fastidioso dalla maggior parte delle persone, perché ogni similitudine tra un lavoratore e una proprietà aziendale sa di mercificazione umana e quindi viene rigettata dallo stomaco, ancor prima che dalla testa delle persone. Ma proviamo a giocare fino in fondo con questa idea e vediamo cosa ne viene fuori.

Innanzitutto le aziende potrebbero inserire nel proprio stato patrimoniale il valore dei lavoratori. Il che significa che formandoli e aumentandone il valore l’azienda otterrebbe oltre ai miglioramenti nel conto economico, come già avviene oggi, anche un aumento di valore patrimoniale.

I lavoratori bravi, che migliorano continuamente, a un certo punto, come succede nelle squadre di calcio, sarebbero spinti dalle piccole aziende alle grandi aziende proprio dai loro attuali “proprietari”, perché in quel modo otterrebbero un plusvalore rilevante per la piccola azienda nel suo equilibrio di bilancio. Esisterebbe un certo equilibrio tra valore del cartellino e stipendio e laddove un lavoratore imparasse abilità particolari che creano molto valore per l’azienda, questa sarebbe di fatto “costretta” a riconoscerne una parte consistente al lavoratore.

I disoccupati avrebbero un vantaggio competitivo rispetto a chi lavora, perché il loro cartellino sarebbe gratis, sarebbero dei “free-lance”. In particolare i giovani in entrata nel mercato sarebbero molto appetibili perché verrebbero visti come investimenti dalle prime aziende che li impiegano. Anche i disoccupati 50enni che hanno abilità interessanti avrebbero un vantaggio rispetto ad oggi, perché potrebbero essere assunti dalle aziende gratuitamente laddove loro coetanei che lavorano presso altre aziende richiederebbero investimenti.

Licenziare una persona senza venderla a un’altra azienda equivarrebbe azzerare il suo valore nello stato patrimoniale e quindi aumenterebbe le perdite. Fare licenziamenti di massa produrrebbe una perdita massiccia, a meno che le persone licenziate non fossero già a valore zero nello stato patrimoniale.

Come nel caso del calcio il valore dipenderebbe dall’età. Più ci si avvicina alla pensione e minore sarebbe il valore, perché minori gli anni di produttività davanti. Ma questo produrrebbe per assurdo una maggiore impiegabilità delle persone più avanti con l’età, che potrebbero portare grandi aumenti di produttività con bassi investimenti. Come succede con le squadre di provincia che arruolano per gli ultimi anni di carriera grandi campioni che fanno da guida per i giovani che si stanno formando.

Probabilmente il mercato del lavoro convergerebbe su contratti a tempo determinato, come succede per i calciatori. Prima della scadenza del contratto l’azienda dovrebbe decidere se tenere il lavoratore o azzerarne il suo valore a bilancio e lasciarlo andare. Si instaurerebbe quindi una sottile trattativa continua tra le due parti, che probabilmente sposterebbe l’asticella del potere un po’ più nella direzione dei lavoratori rispetto ad oggi. Le aziende sarebbero costrette a considerare il capitale umano e la sua gestione come un elemento centrale del proprio business. Dovrebbe offrire piani di formazione per attrarre i migliori e dovrebbe offrire una promessa di successo ai lavoratori per far si che decidano di andare a lavorare in quell’azienda, anche come investimento nel proprio valore futuro.

Alla fine il valore di una persona dovrebbe essere calcolabile come il flusso di cassa futuro di valore creato portato al tempo presente, come un asset finanziario. E qui nascono interessanti elementi tecnici che rendono una persona diversa da un capitale finanziario. Il più importante dei quali è che le stesse persone possono produrre valori completamente diversi a seconda dell’azienda in cui lavorano. Il secondo elemento interessante è la previsione di crescita sulle performance che la persona potrà avere. Le aziende che sono delle ottime scuole di formazione avranno quindi un grande vantaggio competitivo perché trasformeranno in media i propri lavoratori da asset a buon mercato a asset di grande valore.

I lavoratori, che oggi si vedono “giudicati” sul piano economico dal loro stipendio, un domani lo sarebbero secondo un secondo parametro: il loro valore di mercato.

Se vogliamo cambiare le tre affermazioni con cui ho aperto questo post dobbiamo cominciare a ragionare in modo diverso sul mondo del lavoro.

E la direzione deve essere quella di mantenere democrazie liberali ma invertendo la rotta tra capitale e lavoro: dobbiamo creare sistemi che ridiano ai lavoratori molto del potere che negli ultimi 50 anni hanno perduto.

Twitter @lforesti