Siamo nati disuguali, ma il capitalismo ci ha reso tutti più ricchi

scritto da il 16 Agosto 2017

“La disparità dei redditi e della ricchezza è caratteristica fondamentale dell’economia di mercato. La sua eliminazione distruggerebbe interamente questo tipo di economia. […] Il sistema più dispotico di governo che la storia abbia mai conosciuto, il bolscevismo, si presenta come la vera incarnazione del principio dell’uguaglianza e della libertà di tutti gli uomini. Ma i campioni liberali dell’uguaglianza di fronte alla legge sapevano benissimo che gli uomini sono nati diseguali e che è proprio la loro diseguaglianza a generare la cooperazione sociale e la civiltà”.
(Ludwig von Mises, 1949. L’azione umana: trattato di economia. Parte Sei. Capitolo 35).

Mercoledi 2 agosto, Amazon, la più grande internet company del mondo, ha deciso di assumere 50mila americani in un giorno. Nonostante questa incredibile iniziativa, solo 20mila persone hanno consegnato direttamente il loro curriculum presso i centri predisposti dalla società di Seattle, in alcune delle principali città degli Stati Uniti. L’“Amazon Jobs Day”, fa parte della nuova strategia aziendale che porterà all’assunzione di oltre 100mila nuovi dipendenti nel corso dei prossimi 12 mesi. Tra i tantissimi lavori a disposizione, Amazon punta ad assumere molti ingegneri di software, scienziati di dati e lavoratori del servizio clienti.

Pochi giorni prima, Amazon era finita per l’ennesima volta sotto i riflettori dei media perché Jeff Bezos, fondatore ed amministratore delegato dell’azienda, era diventato per qualche ora l’uomo più ricco del mondo. Grazie al vertiginoso incremento del prezzo delle azioni di Amazon, nel corso della giornata di giovedì 27 luglio, Bezos aveva raggiunto un patrimonio personale netto superiore a 90,6 miliardi di dollari – circa 500 milioni in più rispetto a Bill Gates (co-fondatore di Microsoft). Al momento della stesura di questo pezzo, Bezos si trova al terzo posto di questa speciale classifica, dietro – appunto – a Bill Gates e Amancio Ortega, co-fondatore di Inditex, il più grande gruppo di moda al mondo. Nonostante la temporanea medaglia di bronzo, Bezos può comunque tirare un sospiro di sollievo: secondo quanto twitta Mike Rosenberg, giornalista del “Seattle Times”, il fondatore di Amazon potrebbe comprarsi l’intera città di Seattle (o quasi). Non male.

Tabella 1: Patrimonio personale netto dei 10 uomini più ricchi del mondo. Dati Forbes aggiornati a martedì 8 agosto.

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Stando alle stime più recenti riportate da Oxfam, ad inizio 2017 gli 8 uomini più ricchi del mondo possedevano un patrimonio personale netto pari al 50% della ricchezza della popolazione mondiale. Proprio per questo motivo, il 17 luglio, Oxfam ha pubblicato un nuovo indice che misura le azioni intraprese dai governi per ridurre la disuguaglianza economica. “Senza ridurre il crescente gap tra ricchi e poveri, eliminare la povertà sarà impossibile”, viene scritto.

Al di là degli errori metodologici del report, è interessante notare la stretta relazione tra disuguaglianza economica e povertà: “Se la disuguaglianza tra A e B tende ad aumentare, allora B rimarrà per forza povero (non c’è alcuna via di scampo!)”. Certo, sarebbe fantastico riuscire ad eliminare sia la disuguaglianza economica che la povertà. Nessuno, in linea di principio, è contrario a queste due magnifiche idee.

Ma proviamo a ragionare più a fondo. Perché la disuguaglianza economica non sarebbe “giusta”? Perché dovrebbe essere “sbagliato” o “immorale” che qualcuno possieda un patrimonio personale netto di 100, 200, 500 miliardi di dollari? Come possiamo stabilire quanta ricchezza sia “giusto” possedere? Stiamo forse pensando che le autorità statali debbano intervenire, stabilendo un tetto massimo di ricchezza? Siamo sicuri che riducendo la disuguaglianza economica si aiutino veramente i più poveri? Crediamo per davvero che i guadagni economici siano fissi? Cosa ci sarebbe di tanto “morale” nel voler ridurre a tutti i costi il premio economico a coloro che diventano ricchi grazie ai loro successi imprenditoriali? Non sarebbe forse più “giusto” focalizzarci esclusivamente sulla povertà, cercando di eliminarla per davvero?

Come scrive brillantemente in un suo famoso scritto del 1987 Harry Frankfurt, professore emerito di filosofia presso l’università di Stanford, “di per sé, l’uguaglianza economica non ha alcuna particolare rilevanza morale. Osservando la distribuzione dei beni economici, quello che è importante da un punto di vista morale non è che tutti abbiano gli stessi beni, ma che ognuno di noi ne abbia a sufficienza”.

Pensiamo forse che nella Cina di Mao, nell’Unione Sovietica di Stalin, Kruscev e Breznev, nella Corea del Nord della famiglia Kim, nella Cuba di Castro o nel Venezuela di Chavez e Maduro, i programmi socialisti, la retorica anti-capitalista e l’intervento diretto dello stato in ogni singolo settore ed ambito abbiano creato una società egualitaria, prospera e felice ed abbiano eliminato la povertà? Al contrario, questi esempi dimostrano in modo lampante come tutti i tentativi di pianificare un’economia, di reprimere la voglia di successo e di livellare i premi economici si siano rapidamente trasformati in regimi di terrore, di corruzione, di estrema disuguaglianza e di povertà.

Grafico 2: Prodotto Interno Lordo pro capite dal 1950 al 2016 in termini di Dollari Stati Uniti, PPP. – Mondo vs Cile vs Venezuela. Dati tratti da Human Progress.Org

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Non è un caso che alla base del grandissimo sviluppo cinese, avvenuto a partire dal 1978-1979, ci sia stato il riconoscimento da parte delle autorità di Pechino dell’importanza della ricchezza. Non è un caso che oggi metropoli come Shanghai, Seoul o San Paolo facciano registrare un prodotto interno lordo simile a quello di Londra, New York o Parigi. Non è un caso che in India il reddito reale medio stia raddoppiando ogni dieci anni. Non è un caso che dal 1960 ad oggi la Corea del Sud abbia visto il suo PIL pro capite crescere di un fattore pari a 175 (da meno di 160 dollari all’anno a circa 28mila dollari annui). Non è un caso che le esperienze di crescita più incredibili (pensiamo, per esempio, ad Hong Kong e Singapore) siano avvenute laddove i governi hanno capito che essere ricchi è glorioso, laddove ci si è aperti al libero mercato e laddove si cerca di stimolare sempre l’innovazione e la crescita economica. Non è un caso che anche il prodotto interno lordo complessivo dell’africa sub-sahariana sia aumentato di un fattore pari a 5 nell’arco degli ultimi due decenni (da circa 300 miliardi di dollari nel 1994 a 1,5 trilioni nel 2016). Non è un caso che nei paesi nei quali si sia cercato di promuovere l’uguaglianza attraverso l’instaurazione di un nuovo ordine politico e sociale si sia rapidamente giunti alla rovina economica.

Come ha cercato di insegnarci per molti anni William Easterly, professore di economia presso l’università di New York, il problema della povertà non è legato alla mancanza di “esperti” o di “pianificatori centrali”, ma è innanzitutto legato alla mancanza di libertà economica e di diritti.

Oltre a questo, osservando attentamente l’evoluzione della nostra società, possiamo notare come la disuguaglianza economica sia sempre stata intrinseca all’uomo, fin dai tempi della rivoluzione neolitica. Come scrive Walter Scheidel, professore di storia presso l’università di Stanford, l’affermazione della disuguaglianza economica come la immaginiamo oggi avvenne in modo decisivo dopo l’ultima era glaciale, che si concluse circa 12mila anni fa. La transizione da un’economia di sussistenza, basata principalmente su caccia e raccolta, ad un economia agricola, rivoluzionò drasticamente la storia dell’uomo. La produzione del cibo, la conservazione di parte del raccolto da destinare alla semina futura anziché al mero consumo, la nascita degli insediamenti urbani e la crescita del commercio in zone come l’Egitto, l’Anatolia, l’Iran ed il Levante sono da annoverare tre le principali forze che contribuirono al cambiamento radicale della società, a migliori condizioni di vita e alla crescita esponenziale della disuguaglianza economica.

Grafico 3: Disuguaglianza della ricchezza in Europa nel corso della storia. Grafico tratto dal libro “The Great Leveler” di Walter Scheidel.

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Se da un lato Scheidel giunge ad una conclusione tanto razionale quanto drammatica (nel corso della storia la disuguaglianza economica è diminuita solo a causa di guerre mondiali, rivoluzioni socio-politiche, crolli di stati, epidemie ed altre catastrofi); dall’altro, il suo libro pone luce su qualcosa che spesso si finge di reputare “falso” causa mancanza di dati.

Misurare la ricchezza di figure storiche come l’imperatore Augusto, Gengis Khan, l’imperatore del Mali Mansa Musa, il banchiere tedesco Jacob Fugger, Caterina la Grande di Russia o Cleopatra risulta essere molto complicato. Nonostante le difficoltà, questo esercizio ci permette però di comprendere meglio l’andamento storico della disuguaglianza economica. Ad esempio, secondo quanto riportano gli storici, nel corso della sua strepitosa carriera politica e militare, Marco Licinio Crasso raggiunse un patrimonio personale netto equivalente a 169,8 miliardi di dollari odierni. Secondo altri, i suoi 200 milioni di sesterzi ed i suoi 7,4 milioni di once d’oro (come scrive Plutarco) varrebbero molto meno. Rimane il fatto che Crasso viene considerato da tutti gli storici come l’uomo più ricco del suo tempo, con un patrimonio personale netto pari a quello dell’ “Aerarium” romano. L’imperatrice Wu, a capo dell’impero cinese tra il 690 ed il 705, è considerata invece la donna più ricca di tutti i tempi, con un patrimonio personale netto pari al 22,7% dell’intero PIL mondiale.

Detto questo, come viene riportato in un interessante studio del 2007 condotto da Branko Milanovic, Peter Lindert e Jeffrey Williamson, le società pre-industriali erano tanto diseguali quanto la nostra, se non di più. Per fare degli esempi, l’Inghilterra del 1688, la città di Bisanzio ai tempi dell’imperatore Basilio II e la Toscana ai tempi di Cosimo de’ Medici erano società molto disuguali con un coefficiente di Gini pari rispettivamente a 0.45, 0.41 e 0.46. Secondo gli storici, il patrimonio personale netto di Cosimo de’ Medici era pari a 129 miliardi di dollari odierni – più o meno circa 40 miliardi in più di quelli posseduti oggi da Jeff Bezos e Bill Gates. Oltre ad essere società economicamente disuguali, i livelli di povertà erano molto più elevati di quelli odierni.

Come riporta il progetto “Our World In Data”, promosso da economisti dell’Università di Oxford, nel 1820, il 90% della popolazione mondiale viveva sotto la soglia di 1 dollaro e 90 al giorno. Nel 1970, 6 persone su 10 vivevano ancora sotto questo livello di sussistenza minimo. Oggi il numero di persone che sopravvive sotto questa drammatica soglia è solo il 10% della popolazione mondiale. Nel 1820 il mondo superava di poco il miliardo di persone. Oggi invece siamo 7miliardi e mezzo.

Grafico 4: Declino della povertà assoluta tra il 1820 ed il 2015 in termini assoluti ed in termini relativi. Grafico originariamente pubblicato da “Our World In Data”.

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Tutto questo ci porta ad un’ovvia riflessione finale. Pensare che la riduzione della disuguaglianza sia il grande obiettivo politico a cui tutti i governi debbano ambire è assolutamente sbagliato. Come la storia ci dimostra, da un punto di vista economico gli uomini sono nati disuguali e solo la crescita e lo sviluppo ci hanno reso più ricchi, più prosperi, più uguali e soprattutto meno poveri. È solo grazie all’industrializzazione, al progresso tecnologico ed al libero mercato se siamo riusciti a garantire un livello di benessere così alto alla maggioranza della popolazione mondiale in un periodo di tempo estremamente breve. Ovviamente, la strada per eliminare definitivamente la povertà è ancora tortuosa. Ma il cammino è tracciato: voltare le spalle al libero mercato ci renderebbe tutti più poveri.

Come scrive Deirdre McCloskey, docente di Economia, Storia, Inglese e Comunicazione presso l’Università dell’Illinois di Chicago, in un recente articolo apparso sul New York Times: “prendendo in prestito le parole dei miei eroi dell’infanzia, Marx ed Engels: “proletari di tutti i paesi, unitevi!”. L’unica cosa di cui dovete preoccuparvi è la stagnazione economica. Chiedete [alla vostra classe dirigente] un cambiamento radicale, guidato dall’innovazione, all’interno di una società liberale. Qualcuno di noi osa chiamarlo capitalismo”.

Twitter @cac_giovanni