Dove investire nei prossimi anni spiegato passo dopo passo

scritto da il 23 Agosto 2017

A un occhio poco attento il 2017 sembra “un anno buono”, e per molti versi lo è. La prima metà del 2017 (H1-2017) ha registrato una performance positiva. L’economia globale pare in recupero: il commercio è in espansione, la crescita ha accelerato[i] e l’inflazione è aumentata – pur mantenendosi al di sotto degli obiettivi delle banche centrali. L’ordine globale “ha tenuto”: rovesciare decenni di globalizzazione è risultato difficile e politicamente costoso. Nazionalismo e populismo hanno subìto battute d’arresto: in Francia Macron è stato eletto presidente, nel Regno Unito la posizione pro “hard-Brexit” di May è stata sconfitta e sempre più paesi si oppongono alla mancanza di rispetto delle regole dell’amministrazione Trump. Nei mercati finanziari, la maggior parte degli attivi (asset classes) ha registrato risultati positivi, su tutti la performance dei mercati azionari dei paesi emergenti (emerging markets – EMs). Il 25 luglio, la Grecia – che da tre anni aveva perso accesso ai mercati – è tornata a finanziarsi attraverso l’emissione di obbligazioni[ii].  Nella H2-2017 queste tendenze continueranno.

Bisogna dire grazie all’abbondante liquidità immessa dalle banche centrali. La ripresa sopradescritta è ciclica, non strutturale, ed è in gran parte aiutata dalla liquidità. Tra agosto 2016 e agosto 2017 le principali banche centrali[iii] l’hanno aumentata del 13 per cento, acquistando titoli sui mercati per oltre 2 mila miliardi di dollari USA (USD) – una cifra superiore al prodotto interno lordo (Pil) italiano, i.e.: la ricchezza creata in un anno in Italia. Il quantitativo di asset nei loro bilanci è oggi ai massimi storici[iv] e nei prossimi due anni è destinato a crescere al ritmo di 500-700 miliardi[v] di USD all’anno (meno che in passato, ma una cifra pur sempre considerevole – equivalente più o meno al Pil della Svizzera).

Verità scomoda: i fondamentali macro sono deboli … I problemi fondamentali dell’economia mondiale non sono stati risolti. Alti livelli di debito – pubblico e privato – limiteranno gli investimenti e la crescita della produttività. L’invecchiamento della popolazione ridurrà i consumi e aumenterà il risparmio. La disoccupazione manterrà i salari fermi e i redditi reali stagnanti, indebolendo la domanda aggregata. Di conseguenza, nei prossimi anni, la crescita globale sarà moderata. Negli Stati Uniti, Trump farà fatica a rispettare le promesse elettorali, e la politica fiscale non diventerà espansiva. In Europa, il settore bancario resta sofferente. In Italia, l’economia rimarrà in stagnazione, il debito alto, e molte banche diventeranno zombie banks.

… e i rischi rimangono elevati. Le tensioni geopolitiche internazionali innescate da Stati Uniti, Russia, Cina, Corea del Nord e Venezuela sono importanti fattori di rischio. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito la polarizzazione politica è a livelli preoccupanti. Il crescente divario tra i mercati borsistici (Wall Street) e la quotidianità dei cittadini (Main Street)  può ridare fiato al populismo. La politica monetaria continuerà a divergere, con aumenti dei tassi negli Stati Uniti[vi] ed espansione monetaria in Giappone e nella zona euro. Negli EMs si stanno accumulando tensioni[vii], e le svalutazioni competitive saranno ulteriori fattori di rischio. Prima o poi, la riduzione dell’offerta di moneta nel sistema economico creerà volatilità e dislocazioni di mercato, inducendo tensioni al ribasso. In altre parole, quando le banche centrali inizieranno a far diminuire la liquidità, la disconnessione tra i fondamentali macro (fragili) e le valutazioni del mercato (elevate) può provocare una correzione o causare un “bear market” – o addirittura un “market crash[viii].

Quando il contesto macroeconomico è fragile, è difficile investire. Nel lungo periodo, i fondamentali economici determineranno il valore delle attività finanziarie. Di conseguenza, la maggior parte degli investimenti avrà “rendimenti attesi” (expected returns) inferiori a quelli del periodo pre-crisi – in quanto: a) la crescita rimarrà al di sotto del potenziale[ix], limitando fatturato e utili societari; e b) le valutazioni odierne sono elevate rispetto agli standard storici. Nello spazio liquido (liquid space), l’abbondante liquidità sosterrà i mercati globali, ma al tempo stesso creerà un’alta correlazione tra i prezzi degli attivi (asset class correlation) – rendendo difficile la diversificazione. Nello spazio illiquido (illiquid space), le allocazioni illiquide (illiquid allocations) attrarranno gli investitori istituzionali, spinti a prendere maggiori rischi dai bassi tassi di interesse[x].

Come strutturare il proprio portafoglio? Nei prossimi anni, portafogli meno convenzionali e meno liquidi avranno con ogni probabilità un rendimento migliore rispetto a portafogli convenzionali, più liquidi ma più volatili. Nei loro portafogli, gli investitori dovrebbero:

1. adottare un profilo di rischio difensivo, scegliendo di:

1a. concentrarsi sulla protezione del capitale (capital preservation);

1b. accettare minori rendimenti attesi in cambio di una minore volatilità (spostando l’attenzione dai rendimenti per se ai rischi necessari per ottenere tali rendimenti, i.e.: focalizzandosi sui risk-adjusted returns);

2. privilegiare un orizzonte pluriennale;

3. nello spazio liquido, accettare un’alta correlazione tra i prezzi degli attivi e una volatiltà maggiore che in passato, riducendo però l’esposizione a azioni e obbligazioni; e

4. nello spazio illiquido, aumentare gli investimenti alternativi (alternative investments), identificando opportunità nel settore immobiliare (real estate – RE) e private equity (PE).

Priorità d’investimento. Solo il 60 per cento degli attivi andrebbe mantenuto liquido, e il 40 per cento dovrebbe essere illiquido. L’allocazione strategica degli asset (strategic asset allocation – SAA) è riportata nel Riquadro 1:

1. nello spazio liquido, il portafoglio dovrebbe privilegiare obbligazioni (25 per cento) e titoli azionari (20 per cento) rispetto a materie prime (commodities, 10 per cento) e contante (cash, 5 per cento).

2. nello spazio illiquido, l’allocazione in investimenti alternativi dovrebbe essere suddivisa in parti uguali tra settore immobiliare (RE, 20 per cento) e società non quotate su mercati regolamentati (private equity – PE, 20 per cento).

Mercato azionario (20 per cento) – Ad oggi, gli investitori sono soddisfatti della perfomance delle azioni, soprattutto se acquistate durante una correzione (“buy on dips”), posto che costanti iniezioni di liquidità hanno permesso ai mercati di recuperare e raggiungere sempre nuovi massimi. In più, agli investitori istituzionali mancano valide alternative e – dati i limiti alla quantità di contante (cash) che possono mantenere in portafoglio – continueranno a comprare titoli azionari. Nei paesi industrializzati (developed markets – DMs), il cash disponibile nelle casse aziendali continuerà a sostenere riacquisti di azioni proprie. Per queste ragioni, l’intera allocazione azionaria dovrebbe andare nei DMs, in società a grande capitalizzazione (large cap) con flussi di cassa positivi. In particolare, sono preferite aziende di grandi dimensioni e con una tradizione consolidata di distribuzione e crescita dei dividendi (blue chip) – meglio se brand multinazionali con esposizione alla domanda di consumo negli EMs. Una riduzione dell’allocazione al mercato azionario degli Stati Uniti a vantaggio del mercato azionario della zona euro è consigliabile. Nei prossimi anni la volatilità rimarrà elevata ed è meglio evitare le imprese a piccola capitalizzazione (small cap), specialmente negli EMs – in cui la crescita degli utili sarà ridotta, mentre crescerà il rischio di cambio.

Mercato obbligazionario (25 per cento) – La pluridecennale fase rialzista dell’obbligazionario non si è ancora conclusa. La liquidità va a caccia di rendimenti, specie se poco rischiosi, e nel 2017, i mercati beneficeranno di quasi 1,8 mila miliardi di ulteriore quantitative easing (QE)[xi]. Ciò nonostante, i prezzi delle obbligazioni sono destinate a ridursi, e i rendimenti (yields) a salire, spinti da: a) un aumento dei deficit fiscali e del debito; e b) i differenziali di crescita (i.e .: l’economia USA crescerà più rapidamente di quella degli altri DMs). Detenuto a scopo di conservazione del capitale, l’investimento obbligazionario dovrebbe seguire una strategia di investimento a lungo termine (“buy to hold“), con incasso dei profitti in caso riduzione dei rendimenti, per esempio durante: i) episodi di avversione al rischio; ii) ulteriori iniezioni di liquidità da parte delle banche centrali; e iii) ulteriori riduzioni dei tassi di interesse a lungo termine. L’allocazione dovrebbe privilegiare le obbligazioni societarie (corporate): 15 per cento nei DMs – dove il contesto regolamentare e istutuzionale è più robusto – e 5 per cento negli EMs, ma solo blue chip di buon rendimento, meglio se brand multinazionali. Le obbligazioni sovrane (sovereign) vanno evitate nei DMs perché ipercomprate (overbought)[xii]. Negli EMs, una volta valutato il rischio paese, 5 per cento va allocato a obbligazioni sovrane denominate in USD (dati i rischi di cambio e un quadro normativo più debole in caso di insolvenza), ad alta affidabilità (investment grade) e con rendimenti al di sopra dell’inflazione (above-inflation yields).

Materie prime (10 per cento) – Una domanda debole, la bassa inflazione globale e scorte abbondanti manterranno i prezzi delle materie prime sottotono. Eventuali aumenti di prezzo dipenderanno solo da shock dell’offerta (supply shocks). L’allocazione dovrebbe includere l’energia (5 per cento) per beneficiare dell’aumento dei prezzi del petrolio. L’aumento dei tassi di interesse diminuirà l’acquisto di beni-rifugio (safe-haven buying), ma i metalli preziosi dovrebbero comunque ricevere una allocazione del 5 per cento, come assicurazione contro: a) una svalutazione della moneta; b) un crollo dei mercati; e c) flussi finanziari repentini dalla periferia al centro (periphery-to-core).

Contante (5 per cento) – Una minima quantità di contante è necessaria come: a) capitale utile a cogliere rapidamente le opportunità; b) assicurazione contro improvvise cadute di mercato; e c) protezione dai tassi d’interesse negativi. L’allocazione del 5 per cento dovrebbe essere mantenuta in strumenti liquidi, quali i fondi di mercato monetario (money market funds), cash ETF e in disponibilità liquide (hard cash). Date le pressioni al deprezzamento sulle valute degli EMs, le monete di riferimento sono l’USD e il franco svizzero (CHF) nei DMs, e il dollaro di Singapore (SGD) negli EMs.

Investimenti alternativi (40 per cento) – L’allocazione deve essere equamente divisa tra investimenti nei mercati immobiliari (real estate, RE, 20 per cento) e in quelli di  private equity (PE, 20 per cento). L’intero 20 per cento investito in RE dovrebbe essere allocato nei DMs, quasi fosse – grazie ai canoni di locazione – un investimento obbligazionario a reddito fisso, e dovrebbe concentrarsi in: a) immobili di pregio (trophy assets) sottovalutati dal mercato; e b) proprietà che devono essere vendute con relativa urgenza (distressed properties) in città in rapida crescita. Negli EMs, un forte incremento di valore dettato dai fondamentali è improbabile. Anche l’intero 20 per cento investito in PE dovrebbe essere allocato solo nei DMs, in aziende sottovalutate con flussi di cassa (cash-flow) positivi, in grado di produrre prodotti non-replicabili o di lusso, molto richiesti negli EMs. Nessuna allocazione dovrebbe andare agli EMs: i rischi (di regolamentazione, normativi e di cambio) sono troppo elevati, nonostante i buoni fondamentali macroeconomici.

Il portafoglio indicativo è mostrato qui sotto.

Riquadro 1. Allocazione strategica degli attivi (strategic asset allocation)

riquadro-1-allocazione-strategica-degli-attivi-strategic-asset-allocation

Fonte: Elaborazione dell’autore, 2017.

Nota importante: le informazioni sono riportate a scopo illustrativo e non sono da considerarsi consigli per l’investimento (investment advice).

NOTE

[i] L’economia statunitense e quella europea sono in crescita. In Italia, la fiducia e il mercato del lavoro sono in lento miglioramento.

[ii] Il governo greco ha emesso obbligazioni quinquennali per tre miliardi di euro a un rendimento del 4,625 per cento (inferiore al 4,9 per cento pagato nell’emissione del 2014), acquistate da investitori istituzionali. Per dare un’idea comparativa, le obbligazioni quinquennali del Portogallo hanno un rendimento dell’ 1,15 per cento, quelle dell’Italia del 0,75 per cento, e quelle della la Spagna del 0,30 per cento.

[iii] La US Federal Reserve (Fed), la Banca centrale europea (Bce), la Banca del Giappone (BoJ), la Banca d’Inghilterra (BoE) e la Banca Nazionale Svizzera (SNB).

[iv] Il totale degli attivi negli stati patrimoniali delle 3 banche centrali più importanti – la Fed (4,4 mila miliardi di USD), la Bce (4,9 mila miliardi di USD) e la BoJ (4,5 mila miliardi di USD) – ammonta oggi a 13,8 mila miliardi di USD, quasi 4 volte i 3,6 mila miliardi detenuti nel 2008, prima della crisi finanziaria. Se si considera anche l’apporto della People’s Bank of China, la Banca centrale cinese (USD 5,1 mila miliardi), i bilanci delle banche centrali valgono oltre USD 18,8mila miliardi, cui vanno aggiunti gli asset delle meno rilevanti, ma comunque attive, BoE e SNB.

[v] Nei prossimi 15 mesi, gli acquisti mensili attesi ammonteranno alle seguenti cifre: 1) per la BoJ si stimano circa 60 miliardi di USD (più o meno 7.0 mila miliardi di yen) – Nota: il 21 settembre 2016, la BoJ ha annunciato – senza fissare una data di scadenza – che comprerà la quantità di buoni del tesoro (Japanese government bonds – JGB) necessaria a mantenere il rendimento (yield) dei JGB decennali a zero; in altre parole, non ha fissato un ammontare specifico mensile; e 2) per la Bce si stimano 40 miliardi di euro (44.9 miliardi di USD) sino a gennaio 2018, e da quella data in poi una riduzione (tapering) di 10 miliardi di euro ogni trimestre, così che il programma termini nel primo trimestre del 2019. A queste iniezioni di liquidità va sottratta la riduzione di attivi programmata dalla Fed. La Fed ha titoli in scadenza – il cui controvalore non verrà probabilmente reinvestito – per  194 miliardi di USD nel 2017, 373 miliardi di USD nel 2018, e 329 miliardi di USD nel 2019, per un totale di 896 miliardi di USD nei prossimi tre anni, equivalenti al 4.5 per cento dello stock di debito totale (ammontante a 19,9 mila miliardi di USD).

[vi] La Fed sta riducendo la liquidità, avendo aumentato i tassi a breve termine due volte nel 2017 con la promessa di ulteriori incrementi più tardi. La Fed ha anche in programma di ridurrre lentamente gli attivi (al momento USD 4,4 mila miliardi) a stato patrimoniale, lasciando che le obbligazioni in scadenza non siano sostituite da acquisti nei mercati aperti (open markets) – vedi nota precedente.

[vii] Rispetto al 2013, la percentuale dei paesi che hanno un rating inferiore al livello di investment grade è quasi raddoppiata (e vicina al 50 per cento). Ciò nonostante, grazie all’abbondante liquidità gli spread dei titoli obbligazionari degli EMs sono tornati a comprimersi a livelli del 2013.

[viii]Market correction”: una caduta – in una sola settimana – di più del 10 per cento dal massimo raggiunto nelle ultime 52 settimane. “Bear market”: una caduta – durante un periodo di 300 giorni – di più del 20 per cento dal massimo raggiunto nelle ultime 52 settimane. “Market crash”: una caduta  di più del 10 per cento in un solo giorno, o una caduta  – durante un periodo di 150 giorni – del 40 per cento dal massimo raggiunto nelle ultime 52 settimane.

[ix] Nei prossimi anni, la politica monetaria rimarrà accomodante, la politica fiscale non sarà restrittiva ma neppure espansiva (non creerà crescita).

[x] Alcuni grandi fondi pensione, ad esempio in Canada – hanno dovuto accettare, per mantenere i rendimenti attesi al 7,5 per cento, una triplicazione del rischio (misurata dalla deviazione standard dei rendimenti attesi) attraverso la diversificazione del portafoglio e un aumento delle allocazioni illiquide.

[xi] Equivalente al 2,19 per cento del mercato obbligazionario mondiale (il debito totale in circolazione è stimato a 82,2 mila miliardi di dollari).

[xii] I rendimenti USA aumenteranno, ma rimarranno moderati – sostenuti dalla carenza di attivi sicuri (safe assets), dalla domanda globale, e dalla ricerca di sicurezza finanziaria. Nei mercati obbligazionari, i regolatori – costringendo gli investitori istituzionali ad investire in attività con tripla-A (massimo dell’affidabilità), mentre l’offerta di queste è diminuita del 50 per cento – di fatto stanno spingendo i tassi di interesse reali ancora più in basso. Più del 30 per cento del debito pubblico globale è scambiato a rendimenti nominali negativi.

[xiii] S&P 500 – l’indice comprende 500 aziende leader negli Stati Uniti e copre circa l’80 per cento della capitalizzazione di mercato; S&P 100 – un sottogruppo dell’S&P 500, l’indice comprende le 100 principali società blue chip in vari ragruppamentii industriali; Morgan Stanley Capital International Emerging Markets Global – un indice ponderato in base alla capitalizzazione (capitalization-weighted) che copre azioni in 29 paesi in via di sviluppo; MSCI EM Equity – l’indice copre 23 paesi e rappresenta il 13 per cento della capitalizzazione del mercato mondiale; JP Morgan Sovereign Bond – l’indice segue le obbligazioni sovrane di DMs e EMs; JP Morgan Corp. Bond – l’indice è ampiamente usato come benchmark per le obbligazioni societarie negli EMs; LPX50 Listed PE Companies – un indice azionario globale, segue le 50 principali società quotate di private equity; FTSE EPRA/NAREIT Global Real Estate – l’indice è disegnato per rappresentare le tendenze generali del mercato azionario immobiliare, in tutto il mondo; S&P GSCI Agriculture – un sottoindice del S&P GSCI, fornisce agli investitori un benchmark per la performance degli investimenti nei mercati delle materie prime agricole; S&P GSCI Energy – un sottoindice del S&P GSCI, fornisce agli investitori un benchmark per le performance degli investimenti nei mercati delle materie prime energetiche; S&P GSCI Precious Metals – un sottoindice del S&P GSCI, fornisce agli investitori un benchmark per la performance degli investimenti nei mercati dei metalli preziosi; S&P GSCI Industrial Metals – un sottogruppo del S&P GSCI, fornisce agli investitori un benchmark per la performance degli investimenti nei mercati dei metalli industriali.