Banche centrali, tassi bassi e tanta liquidità: vigilanza macroprudenziale de che?

scritto da il 03 Settembre 2017

Ho ricevuto una nota di Commerzbank (Economic Insight – “Supervisors can’t cope” di Krämer) che si riallaccia a due miei articoli del 2016 qui e qui su Econopoly. Le due pagine di riflessioni vanno lette assieme all’ivi richiamato “Macroprudential frameworks: (too) great expectations? di Borio; l’insieme dei lavori espone alcuni fatti:

1 – Ha preso corpo una supervisione bancaria il cui scopo si è evoluto dalla verifica delle condizioni di operatività bancaria “in sicurezza” rispetto ai rischi tipici, alla predisposizione di strumenti per propriamente indirizzare e vincolare l’attività bancaria al fine di gestire il ciclo economico.

2 – Le banche centrali (in specie la BCE) perseguono la propria politica monetaria senza riguardo agli impatti di stabilità finanziaria, di cui dovranno occuparsi altri enti (Financial Stability Board, EBA e altri enti nazionali) con proprie politiche “macroprudenziali”.

3 – L’attivazione di politiche macroprudenziali appare più efficace e tempestiva se guidata da una banca centrale e non da enti governativi (v. anche “The use and effectiveness of macroprudential policies: New evidence di Cerutti et al.): per questi ultimi possono contare ragioni politiche (ad es. evitare una discriminazione tra richiedenti prestito) che possono bloccare l’applicazione di uno strumento (nel caso: un rapporto minimo tra garanzia e importo del finanziamento – Loan to Value) a danno dell’obiettivo di stabilità (nel caso: frenare il credito per evitare una nascente bolla finanziaria – è quanto accaduto di recente in Germania).

Come già detto altrove, la vigente normativa di Basilea mette in campo un ampio ventaglio di misure che da una parte selezionano la clientela (indici Loan to Value e Debt to Income) e dall’altra selezionano la banca (indici patrimoniali e di liquidità, che per costruzione forniscono incentivi e disincentivi tra segmenti del mercato, come Titoli di Stato e immobiliare) o direttamente ambiscono a una gestione macro del ciclo (buffer anticiclici). L’osservazione che finalmente emerge è che si tratta di misure che in realtà non gestiscono alcun ciclo finanziario o economico, bensì cercano di ridurre l’impatto del ciclo sugli istituti, contando che questo a sua volta permetta di smorzare il ciclo stesso; si dovrebbe invece guardare alle banche centrali, se si intendesse davvero gestire il ciclo economico.

Sono le banche centrali che agendo su offerta di moneta e tassi di interesse pongono in essere le condizioni sì per spinte economiche sul piano “reale”, ma anche per il formarsi di bolle e squilibri controproducenti in ambito finanziario. I lavori citati sono concentrati sugli aspetti più tecnici delle politiche macroprudenziali e non calcano la mano contro le banche centrali, ma il messaggio è facilmente recuperabile quando sottolineano che in un ambiente ad altissima liquidità e tassi azzerati un qualsiasi limite al rapporto tra reddito del richiedente prestito e servizio del debito è nei fatti inconsistente, o quando avvertono che in fase di bolla immobiliare (di cui la politica monetaria è un driver importante) la stringenza di un limite al Loan to Value va a perdersi.

Detto in modo esplicito: le banche centrali sono rilevante causa di squilibri ciclici, ne forniscono condizioni (tassi bassi) e materia prima (liquidità), e in buona parte se ne lavano le mani demandando a altri enti la gestione delle conseguenze o annacquando la loro responsabilità in organismi a rilevante presenza politica. La vigilanza macroprudenziale sembrerebbe diretta a prevenire gli squilibri, ma è solo retorica: in realtà si tratta di “tenere botta” rispetto a ciclicità ritenute scontate… perché in qualche modo volute centralmente; non è un caso che l’ultimo argomento caldo in Europa sia la gestione delle banche in crisi (quindi a casini già esplosi). La questione è resa sconfortante dal fatto che solo quel certo grado di indipendenza delle banche centrali (in particolare della BCE, visto il particolare contesto giuridico-politico) può garantire l’attivazione di certi strumenti senza freni o distorsioni “politiche”.

Il nodo fondamentale del sistema finanziario, di cui avevo già avvertito, mi pare sia evidente.

Che altro si potrebbe fare, allora? Krämer e Borio secondo me sono già abbastanza chiari, ma aggiungono alcune esplicite riflessioni che meritano un commento. Il primo: “In order to rein in the financial cycle, the Bank ought to ease off on the interest-rate front”. Il secondo: “The legacy of the boom is too much debt [.] People want to pay back what they borrowed on the basis of overly optimistic expectations [.] To expect credit to grow strongly during the burst is both unrealistic and counterproductive”. In altri termini, le banche centrali devono lasciar correre i tassi di interesse, lasciare che salgano così da smontare “dall’interno” le nascenti bolle (se manipolati, i tassi non esprimono più alcun riferimento alla rischiosità degli asset, e le bolle tendono ad attirare risorse da altri settori causando allocazione inefficiente dei capitali), e non preoccuparsi troppo del calo del credito post-bolla in quanto si tratta di una naturale “pulizia” e “riequilibrio” del mercato e dei bilanci dei singoli operatori. Non arrivassero da Commerbank e BIS, sembrerebbero riflessioni di qualche libertario di Auburn…

È evidente quanto le banche centrali tutte siano lontane da questo suggerito modus operandi, e come in realtà stiano continuando a operare in deciso contrasto con le esigenze di un qualsiasi obiettivo di vigilanza macroprudenziale.

Quanto sopra lascia il grave dubbio che le banche centrali stesse siano attualmente troppo “politiche” e poco “tecniche” rispetto a quanto sarebbe desiderabile. E questa sensazione sicuramente permarrà almeno finché non verrà tolta la foglia di fico del target di inflazione. Nel frattempo possiamo non dormire sogni tranquilli & stabili.

Twitter @LBaggiani