Jobs act e conciliazione, proteggere lavoro e lavoratore va bene. Ma per quale vita?

scritto da il 29 Settembre 2017

Pubblichiamo un post di Silla Cellino, consulente del lavoro e blogger. Scrive su riviste specializzate professionali, sul suo blog e su Pensalibero.it

La riforma del lavoro, il Jobs Act, avanza con un passo un po’ affaticato e non sempre lineare, ma in qualche modo avanza. Ultimamente si è aggiunto un tassello, anche se questo “ultimamente” va usato con giudizio. Infatti l’articolo 25 del d.lgs. 80/2015, uno dei decreti attuativi della riforma del lavoro, prevedeva la destinazione di risorse alla promozione della conciliazione tra vita professionale e vita privata. Detta promozione, molto cautelativamente adottata in via sperimentale, stabiliva per l’arco del triennio 2016/2018, un finanziamento di sgravi contributivi legati ad accordi di conciliazione tra vita professionale e vita privata da raggiungersi attraverso la contrattazione di secondo livello.

Il provvedimento legislativo prevedeva anche l’istituzione di una cabina di regia con il compito di adottare le linee guida e di fissare i modelli contrattuali a livello di contrattazione aziendale. La cabina di regia è operante fin dalla sua costituzione avvenuta con decreto ministeriale del 25 luglio 2016; invece l’altro previsto decreto, quello di attuazione del provvedimento legislativo è giunto solo in questi giorni e precisamente lo scorso 12 settembre, in ritardo quasi di un anno e perciò inutile rispetto alla previsione di finanziamento anche per il 2016, che quindi non sarà operante.

Si è resa necessaria perciò la ristrutturazione del periodo di finanziamento e la rideterminazione in due esercizi delle risorse complessivamente previste per il triennio; ciò che appunto viene ufficializzato nel citato, recente decreto ministeriale. In proposito si parla genericamente di potenziamento del welfare aziendale e di interventi in favore del suo sviluppo, ma non è precisamente così: nell’iniziativa governativa il welfare aziendale in termini propriamente detti è solo una parte della manovra di settore complessiva, che invece ha come oggetto più ampio il tema della conciliazione tra vita professionale e vita privata.

Riprenderemo l’argomento in conclusione, ma la differenza è evidente, anche facendo riferimento al processo più o meno parallelo che si sta sviluppando in tutto il mondo occidentale, soprattutto in quell’Europa di cui facciamo parte, nella quale l’iniziativa è lasciata prevalentemente alle parti contrattuali indipendentemente dalla legge, facendo magari eccezione per la Francia in cui alcuni istituti sono il prodotto combinato di iniziativa legislativa e contrattazione.

Tale prodotto combinato è un po’ anche la caratteristica dell’intervento legislativo e connesso recente decreto, anche se in più c’è uno sforzo per dare alla materia una sistemazione maggiormente organica ed estesa, uscendo dal limite stretto del solo welfare e di interessare altri aspetti, tra cui la qualità della vita personale ed anche l’organizzazione aziendale, sia pure in parte. Infatti, al di là delle complicazione in itinere che abbiamo visto e relative conseguenze, la sostanziale novità è costituita dalla definizione di conciliazione e dai contenuti della stessa per essere ammessa allo sgravio contributivo. Tali contenuti sono indirizzati verso tre grandi aree: la genitorialità, la flessibilità organizzativa, infine il vero e proprio welfare aziendale.

Nell’area della genitorialità si fa riferimento a condizioni soggettive quali il potenziamento e/o l’estensione del congedo parentale, con una particolare aggiunta attenzione a quello di paternità, nonché a condizioni oggettive che riguardano il potenziamento dei servizi di assistenza, asili, nidi d’infanzia, spazi ludico-ricreativi, baby sitting. La flessibilità organizzativa verrà invece definita e valutata in materia di lavoro agile, flessibilità oraria, part-time, banca ore, solidarietà in occasione di cessione dei permessi. Nel welfare aziendale infine, oltre a veder riconfermati contenuti già riconosciuti nella definizione classica, come convenzioni con strutture socio-sanitarie e buoni per l’acquisto di servizi di cura, s’introducono convenzioni per l’erogazione di servizi time saving, con ciò intendendo la possibilità per il personale di poter far fronte ad adempimenti domestici durante l’orario di lavoro utilizzando apposite strutture, interne all’azienda o esterne e convenzionate.

La definizione di queste aree è funzionale ai fini dell’ottenimento del beneficio: infatti è necessario che i contratti collettivi aziendali prevedano la compresenza di almeno due di queste aree e che comunque una debba essere individuata nell’area delle genitorialità oppure in quella della flessibilità organizzativa.

Come corrispettivo degli accordi in materia di genitorialità, di flessibilità organizzativa e di servizi assistenziali il datore di lavoro incassa un beneficio contributivo le cui modalità e misura sono fissate in base a criteri numerici che sono il frutto di una ponderazione tra una base fissa e l’occupazione nel corso dell’anno civile precedente. Occorre però che preventivamente le parti, datore e rappresentanze sindacali, abbiano sottoscritto e depositato un contratto collettivo aziendale, anche in recepimento di contratti collettivi territoriali, che vada in direzione di un avanzamento rispetto a quanto già previsto in materia dai contratti collettivi nazionali o anche che sia estensivo, integrativo e quindi migliorativo rispetto ad eventuali accordi sindacali aziendali preesistenti. Ulteriori condizioni sono di carattere numerico e temporale: il contratto collettivo aziendale, per produrre il beneficio, deve essere rappresentativo almeno del settanta percento della media lavorativa dell’anno precedente e deve essere stato sottoscritto e depositato tra il 1° gennaio 2017 e il 31 agosto 2018. Ad ogni modo sarà decisiva la quantificazione fatta dall’Inps sulla base dei dati desunti dalle dichiarazioni contributive.

Un sistema ancora molto complesso come si può vedere, che avrà bisogno di accurate verifiche sul funzionamento: non a caso la misura è pensata come sperimentale ed è a termine, limitata originariamente al triennio 2016/2018, ora biennio 2017/2018. Ma al di là delle verifiche di carattere tecnico occorrerà valutare se saranno misure realmente efficaci e tali da incidere sulle aspettative più avanzate per la conciliazione vita/lavoro professionale, di cui la conciliazione lavoro/famiglia costituisce solo una parte, sia pure importante, considerando inoltre i progressi che anche l’elaborazione teorica ha compiuto in questi anni.

Perciò, ma solo di sfuggita e per concludere queste note, vorrei far cenno di alcuni argomenti che in occasioni più recenti hanno fatto progredire la qualità del dibattito su questi temi. Se ci facciamo caso, quasi tutte le iniziative, legislative o sociali, in Italia ma anche in Europa, intraprese riguardo all’argomento sono partite dall’esigenza di risolvere un rapporto prevalentemente e talvolta anche necessariamente visto come conflittuale tra vita e lavoro. Invece il dibattito in corso in materia di sociologia del lavoro arriva a conclusioni diverse e cioè che:

1 – la relazione vita/lavoro non debba essere considerata più in termini esclusivamente conflittuali, ma che invece si debba arricchire di scambi vicendevoli, partendo dal presupposto che il lavoro è un aspetto importante della vita, ma che va messo sullo stesso piano degli altri aspetti: non solo la famiglia, ma anche la cultura, il divertimento, l’arricchimento della personalità.

2 – E che all’interno di questa equazione vada trovato non solo il giusto equilibrio, ma anche le modalità per rendere i due aspetti compatibili e possibilmente anche produttivi l’uno per l’altro.

Ovvio che non possiamo aspettarci risposte univoche per tutti gli aspetti di questa problematica, ci saranno divaricazioni o sovrapposizioni, come nel caso di questa timida e limitata riforma nella quale solo la flessibilità organizzativa risponde in qualche modo a questa esigenza.

Ma, visto che si parla di processi e provvedimenti e che accanto a processi e provvedimenti ci sono benefici di carattere economico a favore dei datori di lavoro, è il caso di chiedersi: tali benefici, che peraltro per ora sono a termine, restano limitati e fini a se stessi oppure costituiscono una premessa per una conciliazione vita lavoro che, contemplando ambedue le soggettività, quella del datore di lavoro e quella del lavoratore, consenta al lavoratore stesso di vivere entrambi i tempi, quello di vita e quello di lavoro?

Perché non vorremmo che l’obiettivo e anche il risultato finale, se e quando conseguiti, fossero solo di razionalizzare mantenendo, ma non di cambiare.

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