La retorica illusoria del nostro “diritto allo studio” e l’esempio inglese

scritto da il 07 Novembre 2017

«I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». Così recita il terzo comma dell’articolo 34 della Costituzione, mettendo – in via di principio – tutti d’accordo.

Attuare effettivamente però un principio di tale portata non è mai semplice. A livello universitario lo Stato italiano prova a darvi attuazione, principalmente, con un sistema di borse di studio assegnate agli studenti sulla base del reddito familiare e del merito scolastico. Per chi non usufruisce delle borse, i costi di iscrizione alle università pubbliche sono in ogni caso relativamente contenuti, mentre le spese di vitto e alloggio dipendono dall’area geografica in cui ha sede l’università.

In generale, sembrerebbe un sistema in grado di tutelare il diritto allo studio e di favorire una certa mobilità sociale. Ma come abbiamo visto in un precedente post sul sistema scolastico, non sempre la gratuità (o la quasi gratuità) è sufficiente. Solo per citare qualche dato sul sistema italiano, secondo l’OCSE «La percentuale di adulti in possesso di una laurea come livello più alto d’istruzione è la seconda più bassa tra i Paesi dell’OCSE dopo il Messico e il tasso di conseguimento di una prima laurea è del 35%, il quarto tasso più basso dei Paesi dell’OCSE (…)». Riguardo ai costi invece, seppur – come detto sopra – «Il costo contenuto del conseguimento di un titolo di istruzione terziaria, inferiore del 27% rispetto alla media OCSE», il risultato produce «ritorni finanziari netti relativamente contenuti (circa 200 000 dollari statunitensi, ossia il 79% della media OCSE)». La sfiducia sul ritorno dell’investimento si riflette anche in un tasso di abbandono che – secondo il rapporto ANVUR – è pari al 42%, contro una media UE del 31% (e l’ISTAT ci ricorda, a proposito di mobilità sociale, che «(…) gli abbandoni sono fortemente correlati col titolo di studio conseguito dai genitori (…)».

Per meglio attuare l’articolo 34, sono in tanti ad auspicare – con il fine di ridurre le disuguaglianze socio-economiche – un allargamento del perimetro e dell’importo delle borse di studio o comunque un abbassamento dei costi d’iscrizione, fino all’abolizione. Il caso dell’Inghilterra però, sembra suggerirci tutt’altro. Un recente studio a cura di Richard Murphy et al. affronta l’annoso tema del finanziamento dell’alta istruzione (qui una sintesi), esaminando il caso inglese, passato in circa un decennio da un sistema universitario sostanzialmente gratuito ad uno dei più costosi. Nel 1998 venne introdotta la prima tassa d’iscrizione, di mille sterline all’anno, aumentata a 3 mila nel 2006, ma con la possibilità di non pagare nulla in anticipo, grazie a un prestito da ripagare dopo la laurea solo in caso di raggiungimento di redditi annui superiori alle 10 mila sterline. Nel 2012 le tasse sono salite a 9 mila sterline, ripagate in caso di redditi post-laurea superiori a 21 mila sterline (con introduzione dei tassi d’interesse).

Ovviamente quanto appena descritto rappresenta solo una parte delle riforme attuate in Inghilterra, ma i risultati sono comunque interessanti, soprattutto se paragonati all’immaginario collettivo italiano. In termini di qualità, lo studio analizza le risorse spese per studente dal 1961 al 2014. Negli anni ’70 le università erano ben finanziate, con una spesa media di 14 mila sterline per studente. I fondi governativi però non riuscivano a reggere l’aumento degli studenti avvenuto negli anni ’80 e ciò condusse a un crollo delle risorse spese per studente (pari a sole 6 mila sterline nel 1999). Da quel momento però, l’ammontare è tornato a crescere, riportandosi al livello di 10 mila sterline per studente. A livello quantitativo, nonostante l’aumento delle tasse universitarie, il numero di studenti è cresciuto da 1,44 milioni del 1998 a 1,93 milioni nel 2011. Infine, per quanto concerne l’equità, da un aumento delle rette ci si poteva aspettare un danno alle possibilità dei meno abbienti di poter affrontare gli studi universitari. I risultati dimostrano però che le iscrizioni sono cresciute in tutte le fasce economiche. La crescita delle iscrizioni tra i ragazzi provenienti da famiglie meno agiate è stata persino la più rapida, raddoppiata tra il 1997 e il 2015. Si è ridotto, leggermente, anche il gap – a livello d’iscrizioni – tra la classe più agiata e quella meno abbiente.

L’elemento che più colpisce riguarda l’aumento della circolazione di risorse nel sistema universitario. Secondo i dati OCSE summenzionati, la spesa per studente universitario in Italia è inferiore di quasi 4 mila dollari rispetta alla media OCSE. Con riferimento alla stessa media, il Regno Unito (quindi non solo l’Inghilterra) spende 8 mila dollari in più per studente. Ma non è stato sempre così, infatti nel 1995 UK spendeva meno della media OCSE

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mentre nel 2014
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Posto quanto sopra, sarebbe illusorio pensare che l’imitazione tout court del modello inglese in Italia avrebbe successo, l’esterofilia fine a se stessa non è mai una buona idea. Il modello legato agli student loans presenta dei vantaggi, poiché soffre meno le ristrettezze del bilancio centrale e perché mette la giusta pressione ai ragazzi per non finire fuori corso. Ma non è per nulla semplice da implementare, dato che può funzionare solo laddove i laureati riescano effettivamente a trovare un impiego in grado di consentire il rimborso del prestito. E con il nostro mercato del lavoro attuale sembrerebbe un’utopia. Ma prima ancora vi sarebbe l’ostacolo politico da superare: come far digerire l’eventuale aumento delle tasse universitarie?

Il probabile ostruzionismo non può scalfire però alcuni punti fermi del nostro sistema attuale, come l’insufficienza della spesa per studente e la constatazione che l’attuale modello basato unicamente sulle borse di studio continuerà ad aumentare le disuguaglianze sociali e i divari territoriali. Si può continuare su questa strada fallimentare o – in alternativa – si può cercare di riflettere seriamente per un cambio di mentalità e di prospettiva. E cambio di mentalità significa innanzitutto uscire dall’illusione secondo la quale il terzo comma dell’articolo 34 della Costituzione possa essere rispettato e attuato solo tramite un accesso all’istruzione gratuito. Come ricorda l’OCSE, anche in un sistema universitario pubblico di qualità come quello tedesco, con accesso sostanzialmente gratuito, si può rilevare che fra i soggetti figli di non laureati solo il 14% per cento si è laureato, contro una media OCSE pari al 20% (fascia di età 30-44).

Ogni sistema dovrebbe indossare l’abito ad esso più congeniale, ma ciò non può avvenire quando si fa prevalere la mera retorica ideologica all’analisi fattuale.

Twitter @frabruno88