Perché trovare lavoro non è facile come prendere un caffè?

scritto da il 28 Gennaio 2018

L’autore di questo post è Guglielmo Briscese, economista e senior advisor al Behavioural Insights Team

Per gli amanti del buon caffè un bar non vale l’altro, e c’è chi il caffè lo prende solo al solito bar di fiducia. Ma per il proprietario del bar, importa molto meno chi acquista il suo caffè, fin tanto che paghino il giusto prezzo. Questo perché il mercato del caffè, come tanti altri mercati, è regolato da prezzi, che sono il risultato dell’incontro tra la domanda e l’offerta: il barista sceglierà la qualità e il prezzo del caffè in base a quanto sono disposti a pagare i suoi potenziali acquirenti. Ma in molti altri mercati il prezzo da solo non regola domanda e offerta. Questi mercati si definiscono matching markets, dove non è possibile semplicemente scegliere quello che vogliamo, ma dobbiamo anche essere scelti.

Un esempio è il mercato del lavoro. Non possiamo semplicemente scegliere dove vogliamo lavorare, ma dobbiamo anche essere scelti. In questi mercati dove le relazioni umane giocano un ruolo fondamentale, è essenziale capire il comportamento umano per migliorare le politiche pubbliche volte alla diminuzione della disoccupazione. Esempi di come l’economia comportamentale e sperimentale possano aiutare il mercato del lavoro arrivano da Paesi che si sono affrettati ad usare questi approcci innovativi per migliorare i propri servizi.

In uno studio che abbiamo fatto al Behavioural Insights Team (BIT) (la società di ricerca creata dal governo Inglese in collaborazione con il premio Nobel all’Economia di quest’anno, Richard Thaler), abbiamo testato l’impatto di due piccoli cambiamenti negli uffici di collocamento del Regno Unito:

(i) una riduzione dei formulari che i disoccupati dovevano compilare al momento della registrazione dei propri dati (ben sette formulari originariamente, ridotti poi a due), e

(ii) l’introduzione di un piano di ricerca lavoro con obiettivi settimanali specifici, come “mercoledi invierò il mio curriculum alle seguenti tre aziende…”. L’obiettivo dell’intervento era ridurre il tempo che i disoccupati passano a compilare inutili formulari e aumentare quello passato a cercare lavoro. Il risultato è stato una riduzione significativa del numero di disoccupati del 5% in pochi mesi [1].

Un altro modo per trovare occupazione sono le fiere per il lavoro, eventi che mettono in contatto faccia a faccia giovani laureati e datori di lavoro. Nonostante i benefici, molte persone spesso decidono di non partecipare. Al BIT abbiamo testato l’effetto di un SMS inviato il giorno prima di una fiera (vicino Londra) a un gruppo di circa 1.200 disoccupati [3]. Alcune di queste persone ricevettero un messaggio contenente solo informazione sul luogo e ora dell’evento. Di queste persone, solo il 10% si presentò alla fiera. Un altro gruppo ricevette lo stesso SMS, ma personalizzato con il suo nome e due semplici parole finali: “buona fortuna”. Tra i riceventi di questo SMS, il 27% si presentò all’evento. Aggiungere un minimo di tocco umano, a costo zero, ha triplicato il numero di partecipanti alla fiera, aumentando significativamente le probabilità di trovare lavoro.

Infine, un altro esempio arriva dall’Australia, dove il governo aveva stanziato miliardi di dollari in incentivi per le piccole e medie imprese che assumono persone disoccupate da molto tempo. Nonostante una massiccia campagna mediatica, pochissime aziende decisero di utilizzare gli incentivi. Un’analisi del BIT ha dimostrato come le aziende si trovavano in difficoltà con la procedura di attivazione degli incentivi, che richiedeva ai datori di lavoro di scaricare un formulario, stamparlo, firmarlo, scannerizzarlo e rinviarlo all’ufficio di collocamento. In aggiunta, il formulario da compilare aveva un titolo poco invitante, del tipo: “incentivi per l’assunzione di disoccupati a lungo termine”. Un esperimento del BIT ha dimostrato come cambiare il titolo a “bonus di lavoro”, mandando quindi un segnale positivo, e permettere alle aziende di firmare elettronicamente il formulario pre-compilato online, ha portato a più di 1,500 assunzioni con incentivi nell’arco di soli 4 mesi [4]. E questi sono solo alcuni degli innumerevoli esempi a disposizione.

È facile pensare che soluzioni di questo tipo, apparentemente banali, siano basate su del semplice buon senso. Ma è praticamente impossibile prevedere che accorgimenti così minuziosi possano avere un impatto di tale portata. Di conseguenza diversi programmi governativi vengono spesso giudicati inefficaci e abbandonati per la mancanza di questi due elementi fondamentali: l’uso dell’economia comportamentale per migliorarne l’efficacia, e la sperimentazione per dimostrarne l’impatto.

Paesi come il Regno Unito, Australia, e Canada usano da più di un decennio questo approccio su quasi ogni aspetto della spesa pubblica, dalla disoccupazione, alla sanità, al crimine, e l’istruzione per nominarne alcuni. Per quanto siamo in netto ritardo in questo capo, la buona notizia è che l’esperienza offerta da altri governi può servire di lezione all’Italia.

Quello che questi Paesi stanno dimostrando è che la vera innovazione sta nel pensare in piccolo: tanti progetti sperimentali, basati su rigide valutazioni, permettono di capire cosa funziona, cosa non funziona, e perché, prima di investire milioni su scala nazionale. Ma vale sempre il vecchio adagio che fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce, rischiando così di rimanere per sempre prigionieri di promesse di grandi riforme, troppo spesso senza sostanza.

Twitter @GBriscese

NOTE

1 http://www.behaviouralinsights.co.uk/labour-market-and-economic-growth/new-bit-trial-results-helping-people-back-into-work/
2 https://www.bristol.ac.uk/media-library/sites/cmpo/documents/WebVersion.pdf
3 http://www.behaviouralinsights.co.uk/australia/applying-behavioural-insights-to-labour-markets/