La fine della persuasione occulta e il grande rebus per la moda: come vendere?

scritto da il 09 Febbraio 2018

C’è una sfida che ogni realtà della moda deve affrontare in questo ultimo decennio: come vendere?

È un dato di fatto, già analizzato in passato su queste pagine, che i retail brick&mortar (i classici negozi, per parlare chiaro) sono in una situazione che ha forti criticità.

Sia che si parli di Millennials, generazione Y o generazione X (non in ordine cronologico) i clienti sono sempre più digitali. Tutto sommato non ci vuole chissà quale scienza a comprendere che, spesso, l’acquisto on line offre molti vantaggi: niente spese per trasporti da e per il punto vendita, informazioni disponibili in rete (sia sul sito sia tramite ricerche) per ogni prodotto, nessun commesso che ti fa pushing (pardon, che ti consiglia), eventuali sconti (black monday, blue friday, rainbow week etc..).

I punti vendita, quindi, si ritrovano ad affrontare un confronto impari che, nel lungo periodo, li vedrà trovare soluzioni ibride di successo (ogni caso fa storia a sé) oppure estinguersi. Andare on line e vendere come se non ci fosse un domani, tuttavia, è tutto fuorché semplice. La domanda retail è diventata “ora e subito” soppiantando, di fatto, la stagionalità della moda. “Sarà ancora di più ora e subito.” Mi conferma Olga Iarussi, ad di Triumph Italia, brand storico della lingerie. “Quello che al momento è retail si velocizzerà senza dimenticare il processo con il consumatore.”

Un approccio che possa fornire maggiori dati, o informazioni sul cliente, potrebbe essere cruciale per l’intera catena del valore di un brand. “La parte difficile non è acquisirli (i dati, ndr),” continua Olga “la parte difficile è gestirli. Il famoso Crm è un po’ obsoleto. È importante comprendere ogni attimo del nostro cliente. Questo implica investimenti costosi, da parte dei brand. Nell’ambito dell’intimo, per esempio, la sfida diventa ancora più manifesta. Noi abbiamo fabbriche di proprietà, strutturate in un certo modo. Sarebbe semplice dire voglio il reggiseno rosso o verde. Nel nostro caso la modellistica ha molte sfacettature. A seconda di quello che è il trend si devono avviare alcune macchine oppure altre. Questo implica know how tecnico degli operatori. Ci stiamo efficientando, abbiamo rivisto la supply chain a livello mondo. È una delle sfide piu grandi che ci aspetta”, mi spiega Iarussi.

Valorizzare le relazioni sulle piattaforme digitali è di fatto una strategia vincente.

“Stiamo dietro a tutti i social. L’utente facebook e quello instagram sono lo stesso ma la loro gestione è differente. Instagram immagine, facebook testo. I consumatori sono molto attivi con noi. Il nostro obbiettivo è l’emotional bond (creare un rapporto affettivo ed emotivo con il proprio target di riferimento, tale per cui si instaura un rapporto di fiducia grazie alla qualità del prodotto o servizio venduto, ndr) che, sul medio-lungo periodo, porta al successo. Questa strategia implica investimenti di risorse, anche in ambito digitale. Il successo è dimostrato dalle interazioni, misurabili, che abbiamo con i nostri consumatori.”

Il retail fisico e quello virtuale devono trovare un equilibrio.

“A mio avviso l’on line favorisce il retail fisico. Il nostro negozio è parte di un processo di shop experience, si viene a creare un circolo virtuoso tra il fisico e il virtuale: noi vendiamo lo spazio del cassetto della donna. Non c’è un limite a quanti reggiseni la donna possa comprare. È un mercato talmente in evoluzione che on line e off line possono indurre un circolo virtuoso. La omnicanalità implica un approccio di ricerca e scelta in negozio e di conseguente acquisto on line”, conclude Olga.

“Il processo produttivo, negli ultimi anni, si è spostato. Il vecchio modello aveva una stagionalità. Oggi l’immediatezza impone una comunicazione tra tutti i settori che necessita una implementazione digitale a tutti i livelli della catena del valore”, mi spiega Silvano Joly, country manager di Centric, il gruppo che fornisce soluzioni per la Sviluppo Prodotto Digitale (Digital Product Development) ad oltre 550 marchi delle case di moda e e-tailer del mondo.

“La dinamica produttiva impone un passaggio senza frizioni dal momento in cui il dato viene acquisito (tramite, per esempio, i social) alla fase di validazione, definizione di un modello, analisi dei tessuti e produzione. Un processo la cui velocità rischia di essere influenzata massicciamente dalla presenza, o meno, di un operatore umano che vive, ancora nel mondo analogico”.

“Consideriamo ad esempio il caso YNAP (Yoox Net-A-Porter, ndr) che ha recentemente dichiarato l’esigenza di una visione globale della produzione, per gestire l’intero ciclo di vita di un prodotto, dal prototipo alla produzione, controllando il divario tra il budget iniziale a disposizione per ogni marchio e il costo reale delle merci ordinate, tracciando il costo dei campioni e comunicando con i fornitori tramite formato e piattaforma standardizzati. Queste sono le scommesse ‘a monte’ del cliente, quando si deve capire se e quanto si guadagnerà, prima ancora di produrre. Una collezione va infatti pensata in base alle inspiration del cliente ma anche in base al margine che potrà produrre. Vendere per fatturare può portare al fallimento: troppe aziende per inefficienze di processo si ritrovano con fatturati in crescita e margini negativi. come si dice: Revenue is vanity. Profit is sanity“, conclude Joly.

Se il caso singolo è chiaro cerchiamo di concludere con una visione di insieme da parte di Enrico Fantaguzzi, co-fondatore di EBAS, associazione che riunisce gli e-commerce e digital manager di molte aziende di moda Italiane.

“I temi della digitalizzazione e dei nuovi processi di vendita omni-canale, stanno impattando significativamente il settore della moda e del lusso.

Tuttavia il brand gioca ancora un ruolo fondamentale. Non solo in termini di status, ma in termini di valori che il marchio porta con sé. Ed è proprio in termini di valori che un marchio incarna che esso rappresenta un fattore determinante nella scelta d’acquisto.

Ciò che fa la differenza oggi è l’accresciuta consapevolezza del consumatore: siamo passati dalla persuasione occulta alla simmetria informativa. I consumatori sono liberi di scegliere il brand che più gli somiglia sempre in termini valoriali”.

Oggi il consumatore ha tutte le informazioni per fare la sua scelta con consapevolezza, sostiene Fantaguzzi.

“Che ruolo giocano l’e-commerce e l’innovazione in tutto questo? Parliamo – mi dice il cofondatore di EBAS – di customer experience o per entrare nello specifico di uno dei temi chiave dell’e-commerce della user experience o UX. Il cliente oggi si aspetta di trovare tutte le informazioni sui prodotti in rete sul sito dell’azienda venditrice, si aspetta di poter comprare online i prodotti ricercati e si aspetta che l’esperienza di acquisto online sia di pari livello o anche superiore a quella in negozio. Con modelli di vendita innovativi e negozi sempre più digitalizzati e integrati con l’e-commerce. La possibilità di acquistare qualsiasi prodotto comodamente da casa ha fatto sì che le aspettative verso i negozi fisici e la motivazione al rapporto con il negozio fisico siano cambiate”.

“Oggi i clienti si aspettano di trovare funzionalità digitali anche nei negozi fisici e sarà sempre di più così. I negozi che non hanno integrato almeno in parte queste soluzioni oggi si potrebbero definire un po’ obsoleti o addirittura anacronistici”.

“Uno dei modelli di business più interessanti da questo punto di vista si chiama showrooming. Ovvero utilizzare il negozio come uno showroom per far vedere e provare tutti i prodotti della collezione in tutte le taglie ma poi fare il fulfillment dal magazzino e-commerce. In questo modo il negozio ha sempre tutta la collezione disponibile”.

“Il problema di questo modello è che richiede alle divisioni e-commerce e retail di lavorare insieme in maniera sinergica, per lo stesso obiettivo, quello di sostenere le vendite dell’azienda, anziché di lavorare separatamente per raggiungere degli obiettivi di funzione”.

Questo a sua volta si ripercuote sul resto dell’organizzazione aziendale e sulla direzione generale, perché tutti insieme dovranno lavorare su nuovi flussi dati per gestire ordini, pagamenti e spedizioni, nuove modalità di gestire l’attribuzione dei bonus sulle vendite in parte all’e-commerce e in parte al retail fisico, nuovi processi di vendita e quindi formazione per il personale dei negozi. Questi comportamenti di acquisto cross-canale stanno diventando sempre più comuni tra i consumatori e rappresentano una sfida che i consumatori lanciano alle aziende”, conclude Fantaguzzi.

Preso atto della situazione con questa panoramica, ottenuta grazie ai contributi di differenti attori che operano su vari segmenti della catena del valore, sino alla vendita finale, resta da comprendere come le aziende della moda possano, o vogliano, valorizzare a pieno l’esperienza “internet” ed “e-commerce” per ottimizzare sia le vendite che i margini. Ma di questo torneremo a parlare.

Twitter @EnricoVerga