Mafie ed economia: perché se ne parla poco in campagna elettorale?

scritto da il 25 Febbraio 2018

In un recente video su Econotube abbiamo provato ad interrogarci sul perché il tema della lotta alle mafie sia quasi assente dal dibattito elettorale, nonostante interessi molto – tra le altre cose – il corretto funzionamento di un’economia di mercato.

L’impressione generale che traspare è abbastanza eloquente, nonostante qualche differenza. Passando in rassegna i programmi delle forze politiche più accreditate (per chi volesse verificare e approfondire, sono tutti disponibili sul sito del Ministero dell’Interno), si può vedere ad esempio che il tema è assente nel programma unito del centrodestra (nonché nel programma esteso della Lega sul suo sito web).

Spostandoci verso sinistra, il Pd ribadisce – nel programma depositato – l’impegno contro tutte le mafie, mentre nella versione estesa esplica la sua strategia per i prossimi anni: «rafforzare le istituzioni, costruire meccanismi sempre più efficaci per prevenire le infiltrazioni e individuare le zone grigie e i “reati spia”», oltre a un mix di repressione e battaglia politico-culturale. Liberi e Uguali punta su tracciabilità dei pagamenti, educazione, carcere duro e tutela dei testimoni e dei collaboratori di giustizia.

Il Movimento 5 Stelle fa solo un accenno nel programma depositato “Modifica 416 ter sul voto di scambio politico mafioso”, mentre nel capitolo giustizia rinvenibile sul web si trova una proposta di tipo processuale (su dove celebrare i processi di competenza delle DDA), nonché un’altra collegata al tema che concerne il rafforzamento delle intercettazioni.

Ovviamente non si può ridurre tutto ai programmi, contano anche le storie personali dei candidati, i filtri alle candidature, il tipo di campagna elettorale che si effettua (soprattutto nel Mezzogiorno). Conteranno soprattutto le azioni che verranno poste in essere dal prossimo Parlamento e dal Governo. Ma appare inconfutabile e trasversale l’assoluta marginalità del tema laddove proporzionata alla sua importanza. Non a caso, quando se ne parla lo si fa per attaccare l’avversario politico piuttosto che per una visione di interesse generale.

 

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VIDEO / Mafie ed economia, perché se ne parla poco in campagna elettorale

È la sottovalutazione dell’argomento che preoccupa. La criminalità organizzata non è solo una piaga che concerne profili di legalità o etico-morali. Le mafie causano effetti devastanti sull’economia. Come ricorda la relazione del primo semestre 2017 della Direzione Investigativa Antimafia – con riguardo ad esempio alla criminalità campana -, la presenza delle mafie «(…) impedisce di attrarre investimenti produttivi di privati, cui si aggiunge l’illecita concorrenza delle imprese di camorra le quali, agendo fuori legalità, alterano pesantemente le regole del mercato. (…) Inoltre, la notevole disponibilità di capitali di provenienza illecita, potrebbe ulteriormente rafforzare la tendenza di imprese, solo apparentemente legittime, ad operare senza i vincoli imposti dalle regole di mercato, contribuendo ad indebolire le aziende legali, strette, così, dalla necessità di ricorrere a prestiti usurari, in un percorso che vede, quale ultimo step, l’acquisizione delle aziende stesse da parte dei clan. (…)». Inoltre, «(…) la migrazione di “imprenditori” mafiosi in altre aree del Paese, comprovata, anche nel semestre, da diverse operazioni, potrebbe generare un’ulteriore contaminazione dell’economia sana».  

Proprio sul tema delle migrazioni mafiose, nella relazione di fine legislatura della Commissione Parlamentare Antimafia, si legge di una “colonizzazione mafiosa del Nord”, ponendo l’attenzione – nel caso della ‘ndrangheta – sui piccoli comuni, che risultano più facilmente attaccabili: «Mentre l’opinione pubblica discute della forza finanziaria della ‘ndrangheta, assolutamente indubbia, il concreto sviluppo della forza dei clan segue la logica dei fortini: da lì si fanno varare piani di governo del territorio per le proprie imprese, si ottengono benevolenze in agenzie bancarie, si trovano professionisti disponibili a operare nella (economia illegale) black economy, si raccolgono voti per condizionare le amministrazioni regionali e scalare gli interessi».

Molto significativo anche il capitolo su “Il condizionamento dell’economia”. Ciò avviene sia attraverso attività illecite (traffico di stupefacenti e di armi, sfruttamento della prostituzione, contrabbando, estorsione, usura etc.), sia attraverso «(…) attività economiche solo apparentemente legali e che nascondono un retroscena di illegalità, sia perché i titolari effettivi sono riconducibili alla criminalità sia perché i capitali impiegati hanno origine delittuosa». Come già evidenziato dalla DIA, esistono casi di «(…) “imprese a partecipazione mafiosa”, cioè quelle che, una volta sorte nella piena legalità, hanno successivamente subìto una compartecipazione mafiosa oppure hanno più semplicemente spalancato le porte all’ingresso di un socio mafioso. L’impresa a partecipazione mafiosa, dunque, non sempre presuppone l’esercizio di un’azione violenta, ma talvolta è il frutto di una reciprocità di scopi, quelli dell’imprenditore senza scrupoli e quelli mafiosi. È un tipo di struttura economica che, apparendo estranea all’ambiente criminale, ben si presta ad essere utilizzata come impresa di servizio degli interessi dell’esponente mafioso di turno, in primo luogo come mezzo per investire in modo pulito i propri capitali». A tutto ciò si aggiunge «(…) il ruolo decisivo che può pericolosamente essere svolto dalle libere professioni come “ponte” tra il circuito legale e quello illegale e, nell’ambito di questo rapporto, tra l’economia lecita e quella mafiosa e viceversa (…)».

schermata-2018-02-25-alle-12-16-22Altro capitolo sensibile riguarda il rapporto tra mafie e appalti, che dovrebbe far riflettere molto le forze politiche, seppur non sembrano essere affatto preoccupate dal rischio di infiltrazioni mafiose e, al contrario, promettono miliardi di investimenti pubblici.

Un silenzio assordante, che fa insorgere il sospetto di una precisa tattica elettorale volta a non disdegnare nessun voto e nessun appoggio imbarazzante, soprattutto nelle aree di paese che potrebbero risultare decisive per il voto del 4 marzo. Ed a proposito di Sud ed elezioni, scriveva Gaetano Salvemini, nel tristemente celebre “Il ministro della malavita”, che «Quando gli elettori sono scarsi, il segreto del voto è una finzione: ogni partito riesce facilmente a comporre l’anagrafe completa ed esatta degli amici sicuri, dei nemici inflessibili e della massa incerta. Basta allora comprare qualche centinaio d’incerti e bastonare qualche centinaio di avversari: e la elezione è fatta. Questo è il caso dell’Italia meridionale (…)». La realtà sarà (forse) meno brutale rispetto al 1910, si corrono maggiori rischi nelle elezioni locali, potremmo fare mille altre distinzioni rispetto alla situazione descritta da Salvemini, ma le sue parole andrebbero tenute a mente. Sempre.

Twitter @frabruno88