Università, se neppure la borsa di studio basta a incentivare le immatricolazioni

scritto da il 06 Marzo 2018

L’autrice di questo post è Mariachiara Bo, studentessa al terzo anno della laurea in Matematica per la Finanza e l’Assicurazione all’Università degli Studi di Torino e Junior Allieva presso il Collegio Carlo Alberto; è membro del direttivo di Neos Magazine; attualmente frequenta un programma di formazione presso la Scuola di Alta Formazione al Management; nel 2014 ha partecipato al Parlamento Europeo degli Studenti

Politica valutata: Grant 5B: Programma di assegnazione di borse di studio, secondo criteri di merito e reddito, a studenti residenti nella Provincia autonoma di Trento che intraprendono gli studi universitari in un qualsiasi ateneo italiano.


Obiettivo: aumentare il numero di iscrizioni all’università e ridurre le disuguaglianze sociali.

Effetto: da un lato nessun aumento significativo sul numero totale di immatricolati; dall’altro maggiore flessibilità finanziaria per gli studenti vincitori della borsa di studio con conseguente spostamento verso atenei fuori provincia.

Quello delle tasse universitarie è un argomento molto discusso. In Italia queste sono spesso più alte che nel resto d’Europa e ammontano in media a circa 2.000 euro; basti pensare che nei paesi scandinavi l’istruzione è invece gratuita. Stando ai dati OCSE, il nostro paese è inoltre tra quelli dell’Unione Europea con il minor numero di laureati, mentre tra i primi quindici in tale classifica compaiono proprio Norvegia, Svezia e Danimarca. Tra il 2004 e il 2014, la percentuale di studenti che dopo la scuola superiore si è iscritta all’università è diminuita di ben 24 punti e tale fenomeno ha ovviamente comportando anche un decremento del numero di laureati.

Come può dunque l’Italia invertire il trend negativo del numero di immatricolazioni? Una politica di borse di studio potrebbe essere efficace per arginare il problema?

Due sono i presupposti, di efficienza e di equità, che potrebbero giustificare la copertura statale di parte (o totale) delle tasse universitarie, che infatti già oggi rappresentano solamente una porzione del costo del servizio di cui usufruiscono gli studenti. Il primo, di efficienza, ha a che fare con l’obiettivo di incrementare il numero di iscritti, che può essere giustificato in quanto sarà la società, intesa in senso lato, a beneficiare di cittadini più istruiti. Il secondo, di equità, è dovuto al fatto che politiche di questo tipo, fornendo aiuti economici a famiglie con bassi redditi affinché queste investano nell’educazione dei propri figli, hanno anche uno scopo inclusivo, volto a ridurre le disuguaglianze sociali.

È necessaria un’accurata analisi per stimare gli effetti di una politica di borse di studio, cosicché il denaro venga investito in modo opportuno.

Esempio di una rigorosa valutazione di impatto sul tema è il paper “How does aid matter? The effect of financial aid on university enrolment decisions” di Loris Vergolini e Nadir Zanini (IRVAPP).

Avvalendosi di strumenti matematico-statistici, i due ricercatori hanno analizzato l’effetto del programma Grant 5B, introdotto nel 2009 nella Provincia Autonoma di Trento con il duplice obiettivo di aumentare il numero di iscritti all’università e di ridurre le disuguaglianze sociali di partenza. Tale programma prevedeva l’assegnazione di borse di studio, secondo criteri di merito e reddito, a studenti residenti nella provincia di Trento da almeno tre anni che decidevano di intraprendere gli studi universitari in uno qualsiasi degli atenei italiani. L’entità del contributo cambiava a seconda della fascia di reddito e della localizzazione geografica dell’università in cui lo studente sceglieva di iscriversi (per gli studenti fuori regione era tra i 1.800 e i 6.000 euro annui mentre per gli altri tra i 1.200 e i 4.800 euro annui). Nello specifico, i requisiti per ottenere la borsa di studio erano: aver superato l’esame di maturità con un voto uguale o superiore a 93/100 e provenire da famiglie con un reddito inferiore ai 30.000 euro annui.

Qual è stato l’effetto di questo programma?

Sorprendentemente, tale politica di incentivi non ha avuto alcun effetto significativo sull’incremento del numero di studenti iscritti all’università di Trento: è infatti emerso che coloro che desideravano proseguire gli studi si sarebbero infatti immatricolati ugualmente, anche in assenza della borsa di studio.

L’effetto di Grant 5B è stato invece incisivo per quanto concerne il numero di studenti che hanno deciso di intraprendere gli studi universitari fuori provincia (nella maggior parte dei casi per frequentare corsi non offerti dall’Università di Trento, come ad esempio Medicina e Veterinaria).

Complessivamente, sebbene quest’ultimo non fosse tra gli obiettivi della politica, Grant 5B ha favorito un aumento della mobilità studentesca: attribuendo maggiore flessibilità finanziaria a studenti che si sarebbero iscritti in ogni caso all’università, il programma ha infatti offerto loro la possibilità di scegliere un ateneo diverso da quello della provincia di residenza, Trento. L’effetto è stato invece ininfluente per quanto concerne il numero aggregato di immatricolazioni.

Il fallimento di questa politica nel raggiungere gli obiettivi iniziali può essere imputato al fatto che non ha colpito il target obiettivo: i requisiti di merito erano infatti troppo alti e pertanto le famiglie sarebbero state inclini ad investire in qualsiasi caso nell’istruzione di un figlio con così promettenti risultati scolastici, identificando nell’università un’opportunità per la sua carriera futura. Risulta inoltre ragionevole argomentare che la soglia di reddito di 30.000 euro l’anno fosse troppo elevata.

Al fine di migliorare l’efficacia della politica, i requisiti di Grant 5B andrebbero pertanto rivisti: si potrebbe ad esempio considerare un abbassamento del voto minimo di maturità, che non costituisce un indicatore così rappresentativo dei futuri risultati accademici, cosicché più studenti siano incentivati a intraprendere gli studi universitari; oltre ad una diminuzione della soglia di reddito famigliare, in modo tale che ricevano il contributo economico solo le famiglie che in assenza di questo non avrebbero potuto pagare gli studi ai propri figli.

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