Starbucks opportunità o minaccia per il mercato italiano?

scritto da il 09 Aprile 2018

L’autore di questo post, Raffaele Perfetto, ha acquisito esperienza decennale in ambito Oil & Gas con una major oil company. Ha conseguito un MBA in Oil & Gas Management nel 2016. Scrive preferibilmente di energia e geopolitica –

Ci siamo quasi. Entro pochi mesi, in Piazza Cordusio a Milano, Starbucks aprirà il suo primo punto vendita in Italia, e sarà la prima apertura in Europa di un megastore Reserve Roastery. Una notizia Agi nel 2017 poneva il caffè al secondo posto come prodotto più commerciato al mondo, dietro solo al petrolio. L’articolo tuttavia non specificava se il ranking era avvenuto considerando il valore di mercato, il numero di contratti futures o i volumi: anche se chiunque immagina bene che non è facile confrontare i barili di petrolio con i sacchi di caffè. Sì, perché il caffè green (cioè grezzo, così come prodotto dai coltivatori) viene commerciato in sacchi da 60 Kg l’uno.

L’International Coffee Organization, fondata nel 1963 a Londra, riporta nel suo ultimo bollettino del 2017 una stima di circa 159 milioni di sacchi di caffè prodotti su scala mondiale. Negli ultimi 4 anni si è assistito ad una CAGR (crescita annua composta) dell’1,5% della produzione e di circa l’1% della domanda. L’Europa consuma quasi un terzo di tutto il caffè prodotto al mondo.

Diamo qualche altro numero interessante
Abbiamo detto un consumo di quasi 160 milioni di sacchi, pari a poco meno di 10 miliardi di Kg per anno e cioè circa 26 milioni di Kg al giorno. Ipotizzando che la resa del grezzo è del 100% e che per una tazzina di caffè espresso siano necessari circa 7 grammi e supponendo infine che tutto il caffè prodotto venga usato per preparare espresso, avremmo quasi 4 miliardi di tazzine al giorno.

Ogni tazzina richiede circa 33 ml di acqua, cioè circa 900 mila barili di caffè espresso bevuti nel mondo ogni giorno. Insomma se tutto il caffè prodotto nel mondo fosse valorizzato come caffè espresso italiano, assumendo un prezzo minimo di 50 centesimi a tazzina (al bar) avremmo circa 2 miliardi al giorno di fatturato.

Facciamo qualche altro conto sulla filiera in modo semplificativo cercando di non sbagliare troppo. Girando tra i supermercati di Milano, tenendo d’occhio i brand di qualità medio/alta, notiamo che mentre il prezzo del caffè grezzo oscilla intorno ai 120 centesimi di dollaro a libbra (cioè circa 0,2 centesimi di euro per grammo), il caffè macinato è venduto tra i 2 e i 5 euro in confezioni da 250 grammi (in media ad 1,5 centesimi a grammo). Quindi da grezzo a macinato sullo scaffale del supermercato, il valore si è moltiplicato di 7 volte. Se invece il caffè grezzo prende la strada del bar si arriva a 10 centesimi a grammo, cioè un moltiplicatore di circa 30 volte rispetto al caffè grezzo. E di circa 5 volte rispetto al macinato nel vostro supermercato di fiducia a Milano.

Cosa fa il prezzo?
Oltre ovviamente alla domanda, il prezzo grezzo è influenzato da una serie di fattori. Primo il clima, soprattutto nelle regioni in cui si concentra la maggiore produzione, poi abbiamo gli stoccaggi sia nei paesi produttori che in quelli dei consumatori, l’ingresso di nuovi produttori nel mercato e ovviamente la speculazione finanziaria. Un articolo del Financial Times indicava a tal proposito i possibili effetti sul prezzo, dell’ingresso di nuovi produttori come Uganda o della crescita di produzione dell’Honduras, ma soprattutto la differenza tra posizione lunga e posizione corta dei traders (ricordiamo che per posizione si intende la visione ribassista o rialzista riguardo all’ oggetto di scambio: la posizione lunga è associata ad una prospettiva rialzista, quella corta ad una ribassista).

Ma anche gli aspetti monetari possono giocare un ruolo molto importante. È il caso del paese arabo più popoloso, l’Egitto, Il quale a seguito della svalutazione monetaria del 2016, ha visto aumentare i prezzi di tutte le merci importate tra cui il caffè (importato al 100%). Sostanzialmente per il caffè c’erano due strade: o aumentare il prezzo o “tagliarlo” con altri ingredienti e molti hanno preferito la seconda strada.

ll Dipartimento dell’Agricoltura americano riportava nella sua ultima nota periodica il Brasile con una produzione pari circa al 25% di quella globale, seguito a quasi lo stesso livello del 20% dal Vietnam e dal Centroamerica (cioè Honduras, Guatemala, Costa Rica, Nicaragua, Messico, El Salvador), poi abbiamo Colombia a circa 8%, Indonesia a circa il 6% ed Etiopia a circa il 3%.

Starbucks deve farci paura?
Fondata nel 1985 Starbucks opera oggi in 75 Paesi, contava nel 2016 quasi 13mila punti vendita nel mondo direttamente operati che producevano circa l’80% del fatturato. Di questi circa il 60% negli Stati Uniti, il 20% circa in Asia Pacifico (in Cina più di un migliaio) e sotto il 5% nella regione Europa e Medioriente; fatturato (solo dagli stores operati) di quasi 17 miliardi di dollari (2017). Un articolo del Sole 24Ore riportava sempre nel 2016 un valore della filiera del caffè in Italia di circa 5 miliardi di euro, includendo anche il segmento delle macchine per il caffè (da bar e domestiche) in cui competiamo con i prodotti tedeschi.

Dobbiamo avere paura? Dipende. Quello che sta facendo Starbucks in Asia Pacifico è qualcosa di cui tutta la nostra filiera potrebbe approfittare. La World Bank indica che il numero di persone sotto la soglia di povertà (per i non addetti ai lavori tutti quelli che vivono con meno 1.9 dollari al giorno) nell’Asia dell’Est e del Pacifico è passato da 966 milioni nel 1990 a 71 milioni nel 2013. In sostanza sta emergendo un nuovo mercato da intercettare. E di questo gli americani di Starbucks sono ben consapevoli. I salari in Asia Pacifico crescono ogni anno, solo in Cina i dati della International Labour Organization riportano una crescita negli ultimi 15 anni tra 5 e 15%, di anno in anno. Praticamente sta nascendo una nuova classe media e con essa nuovi potenziali consumatori di caffè. Starbucks ha nella sua strategia la crescita in nuovi mercati come quello cinese e asiatico.

Cosa dovrebbero fare le aziende italiane?
La strategia è doppia a seconda del mercato perché abbiamo una penetrazione di Starbucks in un mercato italiano maturo: lo dimostrerebbe il fatto che le vendite di quasi tutti i prodotti legati al caffè ed indotto sono ormai piatte (se non in declino). E dobbiamo anche considerare il potenziale di espansione appunto in tutta la regione dell’Asia Pacifico. Il fatto di arrivare dopo Starbucks in Asia Pacifico può essere anche una fonte di vantaggio perché in un certo senso non si deve “pagare” lo sdoganamento del prodotto, cosa che invece ha già fatto il colosso che, come una testa d’ariete sta sfondando sul mercato asiatico proponendo la nuova bevanda, i suoi usi e costumi.

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Fig. 1: Quando entrare in un mercato e approccio strategico

Nei corsi di business administration si insegna che: se sei in fase di crescita devi concentrarti su ricerca e sviluppo, sul prezzo e sulla competizione. Ma se sei in fase di declino devi concentrarti sui costi e sulla competizione. Nel caso di competizione sul mercato domestico è “suggeribile” non competere con un colosso come Starbucks sul prezzo, altrimenti si potrebbe finire annientati. La strategia giusta potrebbe essere: differenziarsi o fare un redesign del prodotto, introdurre un nuovo prodotto, oppure consolidarsi (comprando qualcuno e ottimizzando i costi). Ulteriori possibilità potrebbero essere le seguenti: alzare barriere dove possibile, come ad esempio fidelizzando i clienti o i fornitori oppure, se esiste qualcosa di nuovo portato sul mercato, copiare semplicemente il nuovo (come ad esempio il caffè in capsule).

Se voglio penetrare nel nuovo mercato è importante valutare se ho già dei canali di vendita, se devo crearli; forse un’acquisizione nel mercato di destinazione potrebbe aiutare, oppure una joint venture con un partner locale. Anche se le joint venture non sono semplici per motivi di compatibilità di stili manageriali, la perdita di controllo e anche non dimentichiamoci che il volume vendite deve essere il doppio, perché alla fine si divide.

In un terreno aperto non ti accampare. In una zona di confine stringi alleanze. In una zona crocevia non restare. In un terreno chiuso elabora strategie. In un terreno di morte combatti (Sun Tzu)

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Fig. 2: Come far crescere il proprio business, la matrice di Ansoff 

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