Un programma di sei righe e una ministra: il Governo visto da Sud

scritto da il 10 Giugno 2018

Nella prima bozza del contratto di governo (“Contratto”), non esisteva una sezione appositamente dedicata al Mezzogiorno. Nel documento finale, è stato inserito il seguente articolo, rubricato “Sud”:

“Con riferimento alle Regioni del Sud, si è deciso, contrariamente al passato, di non individuare specifiche misure con il marchio “Mezzogiorno”, nella consapevolezza che tutte le scelte politiche previste dal presente contratto (con particolare riferimento a sostegno al reddito, pensioni, investimenti, ambiente e tutela dei livelli occupazionali) sono orientate dalla convinzione verso uno sviluppo economico omogeneo per il Paese, pur tenendo conto delle differenti esigenze territoriali con l’obiettivo di colmare il gap tra Nord e Sud”.

Dimenticanza? Scelta consapevole di rottura con il passato? Peso leghista nell’alleanza? Difficile rispondere. A sorpresa però, nella lista dei ministri ha trovato posto anche il Ministero per il Sud, con a capo la senatrice del Movimento 5 Stelle Barbara Lezzi. Un ministero che non era previsto nella compagine di Governo presentata da Luigi Di Maio prima delle elezioni. La sensazione è che possa essere stata una mossa politica per respingere le critiche emerse a seguito della pubblicazione del Contratto che, come detto, liquida il capitolo Mezzogiorno in poche righe.

Chiaramente in una legislatura sarà difficile mantenersi unicamente nel solco tracciato dal Contratto. Imprevisti, emergenze, sondaggi, sono solo alcuni dei fattori che potrebbero provocare mutamenti alla linea politica dell’Esecutivo. Ma in un’alleanza formatasi dopo il voto, il testo dell’accordo rappresenta comunque una guida e, quindi, proposte aggiuntive di una parte potrebbero facilmente incontrare il veto dell’altra, che sarebbe legittimo da un punto di vista politico.

Si può leggere ed interpretare l’atteggiamento tenuto fino ad oggi dalle forze di maggioranza in due modi. Una prevalenza della spinta leghista, nonostante la svolta nazionale dettata da Matteo Salvini, o la convinzione politica nella bontà delle poche righe dedicate dal Contratto al tema.

La prima interpretazione non ha bisogno di molte analisi. Sarebbe la rappresentazione di note istanze territoriali. La seconda, in linea teorica, è più interessante. Il messaggio politico di fondo sarebbe quello di mettere fine al trattamento speciale del Sud rispetto al resto del Paese. Ma questa specialità esiste tutt’ora o rappresenta ormai un retaggio del secondo Dopoguerra?

Il ministro Lezzi

Il ministro Barbara Lezzi

Esiste per alcuni aspetti, ma non per tutti come si è soliti pensare. Ad esempio, secondo i dati SVIMEZ, la spesa pubblica corrente pro capite è più alta nel Centro-Nord che nel Mezzogiorno. I caratteri di specialità persistenti riguardano principalmente l’afflusso dei fondi europei, che privilegiano le aree sottosviluppate. L’ultima legislatura però, ha visto il rinascere (parziale) del concetto di specialità. I Patti per il Sud, Resto al Sud, le decontribuzioni per le assunzioni, il credito d’imposta, le Zone Economiche Speciali. Anche la clausola del 34% di investimenti pubblici da destinare al Mezzogiorno (fin adesso solo teorica). Insomma, diverse misure, di importi certamente non paragonabili al periodo dell’intervento straordinario, ma che corroborano la tesi del trattamento speciale (si rimanda a qualche altro pezzo per le valutazioni sulle stesse: Resto al Sud, Decreto Mezzogiorno, ZES).

Stando alla lettera del Contratto, questo genere di politiche dovrebbero essere interrotte o quantomeno non rinnovate, per far spazio a politiche nazionali in grado di far bene dalle Alpi alla Sicilia, «pur tenendo conto delle differenti esigenze territoriali». Le politiche che dovrebbero portare ad “uno sviluppo economico omogeneo” sarebbero, in particolare, sostegno al reddito, pensioni, investimenti, ambiente e tutela dei livelli occupazionali”Ovviamente si tratta perlopiù di mere intenzioni al momento, ma appare lecito nutrire qualche dubbio sull’efficacia di tali propositi per lo sviluppo del meridione o per la riduzione del gap. Con riferimento alle misure di sostegno al reddito e, in particolare, al reddito di cittadinanza, Gianfranco Viesti -sul Messaggero del 18 maggio- ha giustamente scritto che «(…) se non ci si pone nemmeno il tema dello sviluppo, il reddito di cittadinanza diviene una misura meramente compensativa. Una preoccupazione caritatevole, assistenziale, per chi non ce la fa e non ce la farà. Uno strumento di acquisizione e mantenimento del consenso (…)» (enfasi aggiunta). Anche la “tutela dei livelli occupazionali” non appare una misura votata allo sviluppo. Oltre all’ambiente, resta la voce degli investimenti, senza però alcun accenno all’eventuale finalità degli stessi per ridurre i divari regionali, né – come segnalato anche da Viesti – alla clausola del 34%.

In realtà, misure di sostegno al reddito -non accompagnate da politiche dedicate allo sviluppo economico- potrebbero generare quegli effetti perversi di cui scriveva già qualche decennio fa Carlo Trigilia [1]: «La spesa pubblica ha certo contribuito a innalzare sensibilmente il livello del reddito nel Mezzogiorno (…) L’incremento del reddito in termini reali non si è però accompagnato a una corrispondente crescita della capacità di produzione. L’intervento pubblico non è riuscito a innescare – se non in misura ridotta e limitata a alcune aree – uno sviluppo autonomo, o quanto meno fenomeni di dinamismo industriale (…) Ma importante al fine di valutare questa situazione è il fatto che la spesa è nettamente più orientata al sostegno del reddito piuttosto che allo sviluppo delle strutture produttive (…)» (enfasi aggiunta).

Sarebbe ingeneroso insistere oltremodo sulle possibili azioni che l’Esecutivo potrebbe implementare, ma ad oggi l’atteggiamento manifestato pare essere quello del non-programma, per precisa scelta politica o per assenza di idee sul tema. Molta più decisione si intravede invece sul capitolo delle autonomie, che sarà affidato alla ministra leghista Erika Stefani. Come già analizzato su questi pixel, potrebbe essere un tema molto caldo della legislatura.

Il ministro Erika Stefani

Il ministro Erika Stefani

La ricetta “meno specialità e più autonomia” non è sbagliata di per sé, ma lascia molti interrogativi ed incertezze. Dal punto di vista di chi scrive, vi sono  due preoccupazioni principali sulla capacità di crescita autonoma del Sud, nonostante questa sia di gran lunga astrattamente preferibile per la sostenibilità nel lungo termine.

La prima è dovuta a tutte le problematiche che rendono più difficile l’esercizio di attività imprenditoriali nelle regioni meridionali, riassunte in questo pezzoLa seconda riguarda le opportunità di partenza per i giovani. Se le differenze familiari continueranno ad avere –inevitabilmente- un peso rilevante per la crescita dei figli, le mancanze di opportunità derivanti dal contesto socio-economico non possono essere tollerate. Soprattutto non possono essere tollerati i gap educativi, necessari per forgiare quel capitale umano imprescindibile anche per lo sviluppo economico (si consiglia la lettura di questo pezzo di Tortuga sul tema). Come ricorda una recente pubblicazione [2] a cura di SRM (“Studi e Ricerche sul Mezzogiorno”), «La povertà educativa è in stretta correlazione con la povertà economica perché viene intesa come la difficoltà di accedere a risorse educative adeguate in termini di livelli di copertura di servizi per l’infanzia, di scuole a tempo pieno, di mense, con effetti sulle capacità cognitive dei bambini». E, non a caso, sulla base di alcuni indicatori individuati dall’Unicef: «I dati relativi ai primi quattro indicatori evidenziano un divario netto tra il Sud ed il Nord Italia: sono le regioni del Mezzogiorno d’Italia a riscontrare i valori più penalizzanti con un distacco tra la prima regione la Lombardia e l’ultima la Puglia di oltre 30 punti percentuali» (enfasi aggiunta).

Un circolo vizioso che si autoalimenta e che stimola l’emigrazione. Come spezzarlo è il grande interrogativo irrisolto, ma l’assenza di una visione strategica andrebbe colmata in fretta.

Twitter @frabruno88

[1] Trigilia C., “Sviluppo senza autonomia. Effetti perversi delle politiche nel Mezzogiorno”, Il Mulino 1992, pp. 70-72.

[2] La pubblicazione è rinvenibile al seguente link . Il testo citato si trova nelle pagine 106 e 107.