Pronti per la prossima recessione?

scritto da il 10 Giugno 2018

L’autore di questo post è il professor Enrico Colombatto, docente di Economia all’università di Torino, autore di L’Economia Che Serve. Il post è stato pubblicato su GIS Reports  – 

Quando l’economia mondiale va ragionevolmente bene (il tasso di crescita a livello mondiale attualmente supera il 3,5 per cento), gli economisti tendono a concentrarsi sulle cattive notizie e si affannano a pronosticare il momento in cui arriverà la prossima recessione. La prima metà del 2018 non ha fatto eccezione: a maggio, circa l’80 per cento degli economisti intervistati dal Wall Street Journal ha predetto che l’economia mondiale andrà incontro a difficoltà nel 2020 o 2021. La prossima crisi nascerà probabilmente dall’aumento dei tassi di interesse, dall’orientamento ribassista degli investitori azionari e magari dalle guerre commerciali, dicono i pessimisti. Dobbiamo correre a cercare riparo prima della prossima flessione dell’economia?

Andiamo a guardare alcuni dati di fondo. Gli Stati Uniti, la Cina e l’Unione Europea sono le locomotive principali dell’economia mondiale. Ciascuna delle tre evidenzia uno schema di crescita differente: in America la crescita economica corre più rapidamente della produttività, ma resta parecchio più lenta di quello che i progressi della tecnologia consentirebbero.

La Cina sta crescendo al tasso che ci si aspetterebbe, considerando il suo potenziale, i suoi sforzi incessanti per promuovere avanzamenti tecnologici e il suo impegno per istruire milioni di giovani ambiziosi e operosi: ma la sua incapacità di introdurre una concorrenza reale nelle industrie nazionali e le sistematiche interferenze politiche potrebbero condurre la sua success story economica a un brusco arresto.

I Grandi al G7 in Canada

I Grandi al G7 in Canada

L’Europa nel complesso sta andando ragionevolmente bene (il tasso di crescita annuale attualmente è intorno al 2,5 per cento): come gli Stati Uniti, però, non riesce a mettere a frutto il suo vantaggio tecnologico ed è zavorrata da una serie di problemi politici autoinflitti (di genere diverso da quelli della Cina).

FATTORI DI RISCHIO
Per il medio termine si possono trarre alcune conclusioni preliminari. L’America è su una traiettoria di crescita solida: la sua performance aggregata può stabilizzare la crescita annua su una percentuale compresa fra il 3 e il 4 per cento se la produttività accelera, o il 2 per cento se non accelera. A meno di uno scossone drammatico (magari una guerra commerciale), difficilmente potranno essere gli Stati Uniti l’epicentro di una recessione globale. L’aumento dei tassi di interesse non farà differenza: è una mossa da tempo preventivata e, anche se la stretta monetaria negli ultimi tempi ha cominciato ad accelerare, investitori e consumatori in gran parte l’hanno già messa in conto e non pare che stia generando tensioni.

La Cina e l’Europa sono un altro paio di maniche, perché la politica lì giocherà un ruolo significativo nel determinare il contesto competitivo, e le loro economie ne beneficeranno o ne soffriranno di conseguenza. In Cina, il problema si riduce a capire se il partito al potere riuscirà a liberalizzare il settore bancario senza produrre un’ondata di fallimenti, specie fra le grandi aziende controllare dallo Stato. Se questa delicata operazione dovesse fallire, l’élite politica perderebbe legittimità e un’opportunità di rafforzare l’economia finirebbe nel caos.
Il problema politico dell’Europa è differente: negli ultimi anni le autorità europee hanno premuto per espandere il loro potere e accrescere la propria credibilità attraverso una regolamentazione spinta. Queste politiche hanno soffocato la concorrenza, scoraggiato uno spirito imprenditoriale produttivo e incentivato la spesa pubblica.

Non è chiaro che cosa succederà adesso: la crescita economica sicuramente rallenterà se Bruxelles insisterà con la sua spinta normativa, che include un approccio vessatorio alle fusioni e acquisizioni, tentativi in corso di sviluppare uno Stato sociale federale (attraverso la fissazione di criteri minimi per lavoro e sanità) e un’incrollabile determinazione a gestire le politiche economiche e i debiti pubblici nazionali da una sala di controllo centralizzata.

La crescita, al contrario, avrà un’impennata se le autorità comunitarie torneranno al loro ruolo di guardiani della sussidiarietà e della concorrenza internazionale, invece di provare a essere gli architetti di un’economia mista, che prevede una pianificazione morbida e un’insana alleanza tra le grandi imprese e una tecnocrazia centralizzata. In quest’ottica, la posizione dura assunta dai 4 Paesi del Gruppo di Visegrád e la sfida, abbastanza confusa, lanciata dall’Italia al predominio di Bruxelles e Francoforte potrebbero essere dei salutari segnali d’allarme.

L’UNICO DETONATORE POSSIBILE
Questo quadro generale fa pensare che non ci sarà nessuna deriva recessiva. Gli scenari futuri saranno determinati da eventi politici ed economici cruciali (o dalla loro assenza). La lista degli shock politici potenzialmente devastanti è breve: una guerra commerciale e una crisi politica di vasta portata in Cina.

schermata-2018-06-10-alle-11-11-54

Quanto alle guerre commerciali, politici miopi potrebbero cedere alla tentazione di politiche mercantilistiche per compiacere fette del loro elettorato e gruppi di interesse influenti. Non succederà in Cina, perché le autorità di Pechino sono consapevoli che la loro economia fa forte affidamento sulle esportazioni e fanno i salti mortali per creare aspettative di condizioni commerciali favorevoli con l’Europa e molti Paesi meno sviluppati, specialmente in Asia. Probabilmente non succederà nemmeno in Europa, visto che i commerci, per tradizione, sono gestiti in gran parte dalle autorità comunitarie, che non hanno necessità di ricorrere al populismo per conservare il loro posto o vincere le elezioni.

Anche in questo caso, gli Stati Uniti sono un altro discorso, perché il presidente Donald Trump è effettivamente un populista e la sua propensione a lanciare minacce sproporzionate potrebbe essere pericolosa: ma la nostra ipotesi è che non succederà nulla di drammatico se la Cina e l’Europa resteranno coerenti con le loro posizioni e manterranno i nervi saldi.

Per contro, il rischio di una crisi politica in Cina, anche se non figura al primo posto nelle riflessioni della maggior parte degli analisti economici, probabilmente rappresenta l’unico fattore in grado di scatenare una recessione importante. Naturalmente nessuno è in grado di prevedere se e quando una nuova leadership rimpiazzerà il presidente Xi Jinping, che ha consolidato il suo predominio. Ma qualunque transizione repentina seminerebbe l’incertezza, ed eventuali spargimenti di sangue farebbero venire i brividi al resto del mondo, sconvolgendo gli investimenti e i flussi commerciali. Scosse del genere potrebbero facilmente degenerare in una crisi mondiale.

SPAURACCHI ALLA MODA
È il caso di soffermarci anche su alcuni spauracchi economici che hanno avuto grande visibilità recentemente, in particolare l’aumento dei tassi di interesse, il rischio di insolvenza sul debito pubblico in Europa occidentale e un possibile collasso del sistema bancario cinese.

Come accennato prima, è improbabile che i tassi di interesse possano seminare il caos sui mercati finanziari: la risalita è preventivata e rimuoverà una grave fonte di distorsioni (una politica monetaria eccessivamente generosa). Ma se è vero che la stretta monetaria non basterà, di per sé, a scatenare una recessione, è vero anche che penalizzerà due categorie di operatori: i Paesi, le aziende e le famiglie che hanno tratto vantaggio dai tassi di interesse bassissimi e devono rifinanziare i loro prestiti si troveranno in difficoltà, e lo stesso succederà a quelle istituzioni finanziarie che non hanno allineato la struttura temporale dei loro attivi e passivi; quest’ultima cosa vale in particolare per gli operatori che in passato hanno finanziato mutui a tassi ridicolmente bassi, senza raccogliere fondi con scadenze corrispondenti.

schermata-2018-06-10-alle-11-14-53

Allo stesso modo, siamo del parere che i timori sulla vulnerabilità del debito pubblico dei Paesi dell’Europa occidentale all’aumento dei tassi di interesse siano eccessivi. Tranne la Grecia e l’Italia, tutti i Paesi dell’Unione Europea sono in grado di tenere sotto controllo i loro deficit e di coprire un servizio del debito leggermente più alto. Un default parziale della Grecia o dell’Italia basterebbe a scatenare una crisi mondiale? Uno scenario del genere potrebbe rafforzare chi sostiene la necessità di realizzare riforme istituzionali nell’Eurozona, e di sicuro danneggerebbe quelli che hanno in portafoglio titoli greci e italiani: ma probabilmente una dichiarazione di insolvenza da parte di Atene o Roma rimarrebbe un problema locale.

Resta in campo, quindi, soltanto il rischio di una crisi bancaria in Cina: grandi quantità di prestiti in sofferenza erogati ad aziende inefficienti. Un repulisti su larga scala nel sistema bancario cinese è qualcosa che sarebbe dovuto avvenire già da tempo. Avrà effetti sistemici? Anche se la transizione a un settore bancario più sano non sarà indolore e potrebbe determinare un significativo rallentamento della crescita per alcuni anni, una minaccia per l’economia mondiale emergerebbe solo se la crisi bancaria dovesse tramutarsi in crisi politica.

Insomma, i timori degli economisti di una recessione mondiale sembrano esagerati, a meno che non succeda qualcosa di drammatico in Cina.

Questo non significa che le maggiori economie siano in buona salute: Cina e Stati Uniti potrebbero avere una crescita rapida o lenta a seconda di come risolveranno i loro squilibri interni (il settore bancario e la bassa crescita della produttività, rispettivamente), ma l’Europa potrebbe essere avviata verso la stagnazione. Una crescita fiacca (meno del 2 per cento) non è una recessione, ma può comunque rappresentare una zavorra per l’economia mondiale. Un andamento scadente dell’economia non è un destino ineluttabile per l’Europa, ma per evitarlo dovrà rinunciare alla centralizzazione e al mito dello Stato benevolo e regolatore.

Twitter @Colombatto

(Traduzione di Fabio Galimberti)