Siamo sicuri che sia tutta colpa dei Benetton?

scritto da il 22 Agosto 2018

Forse il caso della tragedia di Genova può prestarsi ad alcune considerazioni, sicuramente meno rilevanti rispetto a quelle sulla (doverosa) ricerca delle responsabilità del crollo, ma riteniamo comunque utili a comprendere alcune dinamiche della “lettura” della realtà da parte di social e media che non cambiano mai, pur cambiando la realtà che ci circonda.

A parte infatti la disamina delle effettive responsabilità fra il concessionari Autostrade per l’Italia (ASPI) ed il concedente ANAS (ossia lo Stato italiano, ed in particolare il Ministero Infrastrutture e Trasporti – MIT), la polemica si è levata molto forte verso la famiglia Benetton che è azionista di riferimento di ASPI nel modo che descriveremo a breve.

Questo è un classico del dibattito economico finanziario italiano: si tende sempre a far coincidere una famiglia imprenditoriale con l’azienda, il suo management, le sue sorti: FIAT è sempre stata Agnelli, ILVA significa(va) Riva, Benetton significa tante cose, fra cui certamente Autostrade; sono state parecchie le conseguenze di questo atteggiamento a livello di discussione, ovviamente ad uso e consumo del dibattito politico, principalmente: c’è stato chi ha sollevato dubbi sui favoritismi all’epoca della firma della prima concessione (e pare proprio che la Lega non sia estranea a ciò), chi ha radiografato i versamenti dei Benetton per le campagne elettorali di questo o quel partito, chi addirittura ha instaurato un sillogismo arditissimo fra il denaro che “i Benetton” avrebbero risparmiato per le manutenzioni e quello che deriva dall’applicazione di multe tramite il “tutor”; o quello che, sempre la famiglia Benetton, destinerebbe a pubblicità molto progressiste firmate Oliviero Toscani (quindi favorendo l’immigrazione ed una certa parte politica); talvolta è andata anche peggio, con collegamenti fra misteriose “lobby ebraiche”, Soros e l’immigrazione medesima.

Ma si può davvero affermare che le eventuali responsabilità di ASPI siano ascrivibili ai Benetton? E, ammettendolo per un attimo, sarebbe davvero solo questo il punto da indagare? O non sarebbero altri? Non facciamo queste domande per un tentativo di difendere questa famiglia imprenditoriale – che certo non ne ha bisogno – ma per capire se possiamo dire qualcosa, con l’occasione, sullo stato di maturazione del capitalismo italiano, e di chi lo osserva e commenta; ad esempio, ma non solo, in relazione al tema specifico della divisione fra azionisti e manager di un’azienda (di qualsiasi azienda); ed inoltre in relazione al concetto di azienda come “asset sociale” da preservare, al di là di chi siano i suoi azionisti.

Vediamo allora un attimo, per cominciare, la situazione azionaria di Autostrade, che è posseduta all’88,06% da Atlantia, al 6,94% da Allianz e al 5% da Silk Road Fund; Atlantia, quotata al mercato azionario italiano, è a propria volta posseduta dai fondi GIC e BlackRock, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino e dalla banca HSBC, che hanno nel complesso il 23% circa; Edizione Srl, riferibile alla famiglia Benetton, possiede una quota di Atlantia pari al 30,25%; il restante circa 45% è flottante in Borsa.

screenshot-2018-08-19-23-52-03Fonte: sito di Atlantia

Se prendiamo la capitalizzazione in Borsa alla chiusura di venerdì 17 agosto, pari a circa 15 miliardi, possiamo quindi affermare che vi sono Fondi di investimento e piccoli azionisti che posseggono poco meno di 7 miliardi di azioni Atlantia.

Per concludere questa disamina, possiamo infine riportare il novero di attività di Edizione, che tramite Sintonia è azionista di riferimento di Atlantia: esso spazia dalle infrastrutture, alla tradizionale attività nell’abbigliamento a partecipazioni rilevanti in alcune realtà finanziarie italiane.

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Fonte: dal profilo Twitter di Luciano Capone

Questa rassegna rapidissima dovrebbe farci capire che assimilare ASPI e “i Benetton” è già qualcosa di molto azzardato, essendo ASPI parte del più ampio Gruppo Atlantia dove, a propria volta, la famiglia trevigiana è presente con una quota senza dubbio rilevante, ma comunque in una società contendibile.

Fatta questa premessa, proviamo a tirare, se possibile, delle conclusioni; abbiamo sempre criticato il familismo dell’imprenditoria italiana, la tendenza dei gruppi di carattere famigliare a presidiare, con esponenti della famiglia, le più importanti cariche operative; si è sempre ritenuto che questa tendenza potesse, alla lunga, rappresentare un limite sollecitando la necessità di un processo di managerializzazione delle realtà imprenditoriali italiane – processo che la famiglia Benetton ha senz’altro messo in atto, negli ultimi anni.

E quindi perché, ora, si tende di nuovo a fare di tutt’erba un fascio? ASPI ed Atlantia hanno il loro management, che è responsabile dei risultati che porta; questo management ha avuto la fiducia degli azionisti avendo, si ritiene, portato a risultati soddisfacenti. E, naturalmente, su questo management ricadranno le responsabilità di quanto accaduto a Genova, una volta appurate.

Atlantia avrà il compito, rilevantissimo, di confermare o meno tale management e di sostenere ASPI in questa crisi su cui la concessionaria potrebbe giocarsi la propria stessa esistenza, dato che, al momento, il Governo pare intenzionato a revocargli la concessione, cioè l’asset su cui ASPI sopravvive e esegue le sue operations.

Questo ruolo, che riguarda anche Edizione con riferimento ad Atlantia, è  ancora diverso, poiché l’interesse di Edizione e degli altri azionisti, anche piccoli, di Atlantia sarà quello di fare il possibile per preservare il valore di un asset rilevantissimo: il che non ha a che vedere con le responsabilità di ASPI nella gestione delle manutenzioni (o di altre questioni correnti), ma si colloca su un piano diverso, di più ampio respiro.

Un’evoluzione, che tutti riteniamo auspicabile, del capitalismo italiano verso modelli più evoluti, deve passare anche per la capacità degli osservatori e degli analisti di discernerne i vari aspetti; se per caso Atlantia avesse avuto il classico assetto azionario di molte corporation americane, con nessun azionista rilevante, molti fondi, un azionariato diffuso, che tipo di commenti avremmo dovuto fare? Avremmo dovuto semplicemente considerare le azioni del management della Società, non i suoi azionisti (che hanno un ruolo diverso, come detto).

Di fronte a probabili responsabilità del concessionario, e a un atteggiamento del Governo che pare andare dritto verso una revoca della concessione, sicuramente l’attenzione dell’opinione pubblica dovrebbe dirigersi anche verso una serie di stakeholders che, certamente insieme ai “famigerati” Benetton, avrebbero tutto da perdere da questa situazione, dove la continuità aziendale della società, in caso di revoca della concessione, è senza dubbio da ritenersi in pericolo (anche se questo dipenderà da come il Governo intenderà organizzare la gestione delle Autostrade, una volta che la concessione dovesse effettivamente ritenersi revocata).

Infatti, dando uno sguardo alla semestrale al 30 giugno di ASPI – e limitandosi per ora a questa, troviamo i seguenti dati:

-passività correnti per circa 1,3 miliardi: si tratta di debiti verso fornitori e cioè verso aziende che hanno fornito beni e servizi (il cui credito sarebbe evidentemente in pericolo in caso di eventuale procedura concorsuale di ASPI);

-circa 13 miliardi di debito finanziario, fra cui 7,5 di prestiti obbligazionari (cioè obbligazioni sottoscritte – riteniamo – anche da fondi e individui);

-circa 5500 dipendenti, cui se ne aggiungono circa 1800 nelle società controllate a valle.

Siamo certi che il Governo, e gli osservatori, potranno senza dubbio considerare anche questi numeri nel prosieguo delle valutazioni delle prossime settimane; la speranza in un dibattito più sensato, non teso alla ricerva dei colpevoli – che però magari non sono quelli giusti – è l’ultima a morire!

Twitter @dorinileonardo