L’Italia è diversa da Venezuela, Turchia e Argentina?

scritto da il 31 Agosto 2018

Pubblichiamo un contributo di Guido Iodice, coautore di Keynes Blog –

Di fronte alle crisi di diversi paesi emergenti (Venezuela, Argentina, Turchia) in corso in questi mesi, assistiamo ad un poderoso esercizio di mirror climbing da parte dei noeuro. A chi fa notare che l’Italia, in mano loro e fuori dall’euro, farebbe la stessa fine, la risposta è sempre la stessa: l’Italia è diversa.

Ovviamente l’Italia è diversa. È un paese del G7 (ormai più per tradizione che per Pil), non un’economia emergente. Ma se applichiamo questa linea di ragionamento, allora non ha senso che i noeuro, ogni volta che si parla di debito pubblico, tirino fuori il Giappone: siamo forse paragonabili al Giappone, che è tra i principali esportatori di tecnologia del mondo, che ha colossi industriali in ogni branca della produzione con alto valore aggiunto e che gode di una valuta di riserva internazionale?

Il punto del paragone con gli emergenti è un altro: mettere in luce che l’assunto secondo cui il cambio flessibile e la sovranità monetaria proteggono dalle crisi è infondato.

Se sei un paese che emette le “pizze di fango” come valuta (per citare una famosa battuta in voga ai tempi della Lira, paragonata alla “Pizza di fango del Camerun” in uno sketch della Banda Dandini), non sei molto sovrano. Sei quella che tecnicamente si chiama small open economy, cioè un’economia che subisce i tassi di interesse internazionali e quindi ha una limitatissima autonomia nel determinare il proprio tasso di interesse e nell’utilizzare la sua valuta negli scambi internazionali. Questa è la situazione dei paesi che non abbiano una valuta di riserva, anche senza arrivare alla “pizza di fango”.

Le crisi dei tre emergenti, pur con gravità differenti, sono determinate proprio dalla sfiducia nella valuta. In Venezuela il governo a fine 2017 non è riuscito a pagare 200 milioni di dollari di coupon dei bond in dollari. Questo si è tradotto nella svalutazione del bolivar che ormai vale meno della carta igienica. E con la svalutazione è arrivata l’iperinflazione.

Il presidente argentino Mauricio Macri

Il presidente argentino Mauricio Macri

In Argentina, la richiesta al FMI di anticipare gli aiuti promessi ha confermato ai mercati che il governo è vicino al default. Questa settimana la banca centrale ha portato i tassi di interesse al 60% per provare ad evitare che il peso finisse nella spazzatura e controllare l’inflazione. Una cifra che fa accapponare la pelle. Mettiamola in un altro modo: con la moneta sovrana l’Argentina è costretta a portare i tassi di interesse al 60%, noi con la nostra moneta “non sovrana” godiamo di tassi allo 0% della BCE.

La situazione turca è un po’ differente perché lì il debito in valuta estera la cui solvibilità preoccupa gli investitori è principalmente privato. Ma il punto non cambia. E chi si era illuso per la ripresa della lira turca nelle ultime settimane ha avuto una cocente delusione.

La domanda è: perché tanti paesi si indebitano in valuta estera (anche a livello privato)? Ma perché solo pochi fessi (tra questi le banche spagnole) prestano euro o dollari a chi promette di restituire “pizze di fango”. Pretendono valuta forte e titoli emessi sotto diritto lussemburghese o britannico (ma neanche questo ovviamente li proteggerà dal default dei paesi emergenti).

Quando le cose vanno davvero male per una valuta, non è solo il debito estero il problema. La sfiducia nella lira turca è tale che persino gli stessi cittadini turchi mantengono i loro risparmi in altre valute o in oro, con grande disappunto del sultano Erdogan. Lo stesso accade in Argentina e in Venezuela.

Cari noeuro, questo non è previsto nel vostro schema sovranista? Peccato, perché è così che funziona la moneta: sulla fiducia nel pubblico che l’emittente non la farà finire nella spazzatura dei mercati valutari e non tollererà troppa inflazione. Quando si parla di “moneta fiat” come alternativa dell’aggancio all’oro, spesso si dimentica che al posto dell’oro vi è un aggancio a un paniere di beni reali e l’impegno ad una inflazione moderata e prevedibile. Gli economisti discutono negli ultimi anni se è preferibile un’inflazione al 2%, al 4% o addirittura al 6%. Ma nessuno propone di lasciare che l’inflazione arrivi alle stelle.

L’altro mito riguarda il cambio flessibile. Le svalutazioni della lira turca, del peso argentino e del bolivar venezuelano non saranno un toccasana per le economie di quei paesi, e lo sappiamo con certezza perché tali valute si sono già svalutate negli scorsi anni e le cose non sono affatto migliorate (e a dirla tutta la svalutazione non ha aiutato granché i conti con l’estero neppure dei paesi avanzati come il Giappone e il Regno Unito). Più i capitali fuggono, più la moneta si svaluta, più altri capitali fuggono. Il tutto ha un costo enorme in termini di finanziamento per le imprese dei paesi emergenti, e molte falliranno perché incapaci di rifinanziare i propri debiti a tassi sopportabili. E la sovranità monetaria non serve a nulla in questi casi perché se stampi altre lire turche, o pesos, o bolivar per sostenere le tue imprese indebitate che li convertiranno in valuta estera, peggiori la situazione e finisci davvero come lo Zimbabwe o la Repubblica di Weimar.

Arriviamo quindi all’Italia. La nostra situazione è persino più pericolosa. Il nostro paese uscendo dall’euro sarebbe messo molto peggio della Turchia o dell’Argentina, perché sarebbe un paese di fatto in default su migliaia di miliardi di debito sia pubblico che privato. Infatti la ridenominazione da una valuta di riserva (l’euro) ad una nuova valuta, per di più senza un mercato all’istante zero, è considerata una forma di insolvenza. Su questo le agenzie di rating, le banche, gli operatori finanziari, ecc. hanno le idee chiarissime. Altro che lex monetae: il fatto di poter legalmente imporre un default non implica che non sia un default. E così lo tratterebbero i mercati e le agenzie di rating. Immaginiamo cosa questo potrebbe comportare non solo per lo stato, ma anche per le nostre banche (che sono piene di titoli di stato) e per le nostre imprese. Tagliati fuori dai mercati dei capitali, non potremmo finanziare le nostre importazioni, l’acquisto di materie prime, energia, tecnologia. L’Italia è un paese di trasformazione. Compra dall’estero, aggiunge valore, e rivende. I flussi di importazioni ed esportazioni procedono parallelamente.

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Nel caso di uscita dall’euro quindi l’economia collasserebbe e la svalutazione non sarebbe di grande aiuto. Basta che le esportazioni reagiscano con ritardo (e sicuramente sarebbe così perché l’uscita dell’Italia dall’euro provocherebbe una crisi europea con riflessi anche globali) e ci troveremmo in uno strettissimo vincolo esterno della bilancia dei pagamenti, senza più un sistema come il Target2 della BCE che ci rifornisce di valuta forte. In altri termini manderemmo in crisi, oltre a noi stessi, che ne pagheremmo le conseguenze più disastrose, proprio quelli a cui vogliamo esportare. Avremmo quindi minori spazi di manovra fiscale e monetaria, non di più! Non è una grande idea.

Tutto ciò ci insegna a non fidarci delle semplificazioni e delle approssimazioni della propaganda. Ci insegna anche che certi slogan come “cambio flessibile” e “sovranità monetaria” sono solo slogan e il mondo reale è molto più complesso. La sovranità monetaria non è una variabile binaria del tipo o ce l’hai o non ce l’hai. È una gerarchia che vede gli Stati Uniti al primo posto col dollaro, seguito dalle altre valute di riserva, e in fondo i paesi più poveri. In mezzo gli altri si barcamenano come possono. Quindi smettiamola di dire che l’Italia fuori dall’euro avrebbe una “moneta sovrana” come il Giappone. O forse qualcuno pensa che la Lira sarebbe un safe haven come lo yen? Non lo era ai bei tempi del miracolo economico, non lo sarebbe a maggior ragione ora.

Twitter @guiodic @Keynesblog