Starbucks a Milano. Sicuri che possiamo parlare di “globalismo”?

scritto da il 11 Settembre 2018

Era inevitabile che l’apertura del negozio Starbucks in centro a Milano attirasse l’attenzione di media e social network. Effettivamente, lo sbarco a Milano di un’altra multinazionale così nota si presta a molteplici reazioni, dopo la nascita di un Governo, quello “gialloverde”, che di certo fa del cosiddetto “globalismo” uno dei suoi bersagli preferiti.

E da questo punto di vista non sono tardate le frecciate sui social da parte di esponenti, a vario titolo, di quel vasto schieramento che da tempo contesta i concetti di globalizzazione, di crescita, di multiculturalismo, e che ha trovato una forte sponda nel governo in carica.

Diego Fusaro, filosofo e opinionista sicuramente schierato contro il globalismo (anzi “turbo-globalismo”, come ama definirlo lui), non ha tardato a farci sapere cosa ne pensa, con questo tweet:

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Giorgia Meloni, parlamentare di Fratelli d’Italia, apertamente sovranista, si chiede questo:

 

meloni

Anche Matteo Salvini non poteva esimersi di lasciarci il suo pensiero in proposito:

 

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Certamente, questo evento ha tutti gli ingredienti per dividere il pubblico in fazioni e per alimentare polemiche – già molto vive – su molti altri aspetti della nostra vita quotidiana: chiudere i negozi alla domenica? Dare meno spazio all’e-commerce ed ai colossi multinazionali della rete? Agevolare il piccolo commercio? Privilegiare le tradizioni italiane (come l’espresso)? Tutelare i produttori di eccellenze locali?

Tutte domande che si intrecciano a dibattiti e discussioni già in corso e che un caso come quello di Starbucks a Milano può contribuire ad alimentare. Abbiamo quindi chiesto a Stefania Romani di aiutarci a inserire questo evento nella giusta prospettiva; scopriremo che vi sono molti luoghi comuni nel dibattito in corso, visto che certo Starbucks non è venuto in Italia per “insegnare agli italiani cosa è l’espresso”. Le cediamo la parola.

Stefania Romani è giornalista e scrive di turismo, arte ed enogastronomia.

Certo Starbucks, catena con 25mila store in tutto il mondo, non sarà sbarcata proprio a Milano, dopo anni di trafile burocratiche, per mettersi in competizione con chi prepara, e anche molto bene, l’espresso italiano nel baretto sotto casa. E probabilmente nemmeno per insegnare a noi come si fa il caffè. Immagino che il marketing della multinazionale abbia voluto evitare l’effetto Michelle, quello dell’allora First Lady Obama, che nel 2015, a Milano per l’Expo, aveva spiegato, proprio nella patria del food, come fare gli spaghetti in 30 minuti nella pentola a pressione, senza peraltro suscitare l’indignazione generale del Bel Paese, che seguiva ammirato i suoi outfit e pendeva dalle sue labbra a prescindere.

Cosa aspettarsi allora da questa inaugurazione milanese? Alcuni must della catena, come l’opportunità di fermarsi, anche a lungo e senza consumare di continuo, in aree per studiare o lavorare, con wifi libero. Poi la regola dei “dieci minuti”, per cui il cliente può essere servito appena prima dell’orario di apertura e qualche minuto dopo quello ufficiale di chiusura. E poi dolci, stuzzichini salati e caffè. Ma con una lunga serie di distinguo.

Starbucks sull’Italia, partendo da Milano, ha investito molto. Finora, su migliaia di negozi a livello globale, ha solo quattro Reserve Roastery, ovvero locali “luxury” con torrefazione interna. E quello meneghino è il quinto Roastery nel mondo, unico nel Vecchio Continente, dopo Seattle, Shangai, Tokyo e New York. Entrando negli oltre 2300 metri di piazza Cordusio, in cui lavorano 300 persone, si può seguire il processo di tostatura del caffè, nel quale il chicco verde, ancora crudo, viene appunto tostato, poi macinato e quindi filtrato. E il sistema di torrefazione Scolari, con l’impianto in rame, vanta un impatto spettacolare sul piano estetico. Anche nel capoluogo lombardo, come nelle altre quattro caffetterie d’eccellenza, si può assaggiare un blend ad hoc, che nel caso milanese è il Pantheon, mix morbido con sentore di uvetta, cioccolato al latte e caramello. Costo? Un euro e 80 per la versione small, 2,70 euro per la large e 3,50 o 4,50 euro per l’americana, a seconda delle quantità. Beh, se poi qualcuno vuole per forza prendere la tazza da 4,50 e sollecitare l’indignazione social postando lo scontrino, libero, per carità, ma con meno di due euro il caffè da Starbucks lo assaggi.

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E veniamo al food: niente torte dai colori “artificiali” e prodotti dall’aspetto pompato e bisunto. La fornitura è stata affidata a Princi, storica panetteria milanese, sinonimo di qualità e Made in Italy, che by the way rifornisce anche gli altri quattro Roastery Starbucks nel mondo. Nel punto vendita a pochi passi dal Duomo, le focacce ripiene e le altre leccornie della casa vengono cotte nel forno a legna in funzione dietro il bancone. E viene preparato sul momento anche il Gelato affogato al caffè, altro cavallo di battaglia del primo negozio italiano. Già perché la multinazionale conta di aprire, sempre a Milano, altri store: in corso Garibaldi, l’arteria del fashion e della movida, e in piazza San Fedele, nel cuore cittadino, per poi sbarcare all’hub internazionale di Malpensa.

Altri segni particolari del nuovo punto? La sede, nello storico palazzo delle Poste in piazza Cordusio, scelta per sottolineare il legame con il cuore della città, mantiene i pavimenti in marmo e l’imponenza della struttura originaria, valorizzata da arredi di design e ampie vetrate. Al Princi bar di sera si serve l’aperitivo e fra i cocktail se ne possono scegliere al caffè. Quello da asporto non è con il classico contenitore bianco con la piccola sirena verde, ma con il bicchiere nero e la R in oro. Anche le tazze sono nere, prodotte per Milano con la data 2018, e sono altrettanto curati gli articoli del merchandising, che vanno dagli occhiali da sole Super alla cancelleria di Perpetua, che fa matite ecosostenibili, passando per le pochette di Clare V.

Urban Manufacturing”, grande attenzione al dettaglio, al gusto, forte caratterizzazione local; di certo un qualcosa di molto lontano dal “turbo-globalismo” e dalla produzione seriale.

Twitter @dorinileonardo @RomaniStefania