Quando il leader diventa tossico

scritto da il 12 Settembre 2018

L’autore di questo post, Raffaele Perfetto, ha acquisito esperienza decennale in ambito Oil & Gas con una Major Oil Company. Ha conseguito un MBA in Oil & Gas Management nel 2016. Scrive preferibilmente di energia e geopolitica –

La leadership tossica non è solo una definizione da manuale ma un vero e proprio stile gestionale che potreste trovare nella vostra routine lavorativa e non solo. Per capire se il leader che avete davanti ne è affetto, fatevi le seguenti domande: non si preoccupa per il benessere dei suoi collaboratori? La sua personalità influisce negativamente sul clima? È motivato principalmente da interessi personali? Se avete risposto positivamente a queste domande allora ci sono alte possibilità che il vostro ‘amico’ leader ne soffra.

Il problema della toxic leadership è stato alla base del crack finanziario Enron. Qui non parliamo più di un singolo manager/capo o top manager ma di un sistema di valori condivisi dalla maggioranza del gruppo dirigente che era alla guida della compagnia. Enron era un gigante energetico americano con circa 100 miliardi di dollari di fatturato, 20 mila dipendenti che nel giro di 15 anni era cresciuto fino a divenire la settima società americana. C’era solo un problema: i numeri erano “un pochino” gonfiati.

Perché andò male? Provando a non semplificare troppo, non sbagliamo dicendo che alla base c’era la promozione di una cultura comune e la minimizzazione del dissenso. Come pubblicato sul Washington Post nel 2002, riportando alcune testimonianze interne, l’azienda pagava molto meglio dei concorrenti, i dipendenti viaggiavano in prima classe e soggiornavano in lussuosi hotel; nei garage aziendali era molto facile trovare Porsche, Ferrari e Bmw. Tutti facevano a gara per compiacere i capi e i capi dei capi; le perdite e le “bad news” in generale, non erano “gradite”.

Se Enron rappresenta in ambito finanziario il caso studio di quello che una leadership deviata può causare, la storia ci pone davanti a fatti ben più gravi. Andiamo un po’ più indietro: siamo nel 1945 a Norimberga.

Il processo di Norimberga non solo fu il primo nella storia a creare una Corte di Giustizia Internazionale, ad introdurre il Crimine Contro l’Umanità e quello di Genocidio. Ma fu soprattutto il primo ad introdurre la Responsabilità Giuridica dell’individuo. Il messaggio era chiaro:

Sei responsabile per quello che hai fatto anche se hai eseguito gli ordini dei tuoi superiori o dell’organizzazione di cui facevi parte.

Chi difendeva gli imputati, che si dichiararono tutti non colpevoli, infatti aveva incentrato la linea difensiva su due punti:

1. Si trattava «solo» di esecuzione degli ordini del leader.

2. In guerra tutto è permesso.

Celebre il discorso di chiusura del pubblico ministero Robert H. Jackson (interpretato da Alec Baldwin) prima del verdetto finale che vi riproponiamo in questo brevissimo video.

https://www.youtube.com/watch?v=klYhohQ6KdM%20

Quello che possiamo affermare considerando la linea difensiva del Processo di Norimberga e le testimonianze raccolte dallo scandalo Enron è che quanto più il leader è influente e potente, tanto più è alto il rischio di de-responsabilizzazione della catena di comando. Ogni individuo di questa catena ha in un certo senso rinunciato a parte della sua leadership trasferendola nella figura del leader (maximo o supremo… come più vi piace). Siamo nel sonno della ragione, sonno profondo!

Più recentemente, nel 2015, il World Economic Forum (WEF) ha proposto la mappa (qui in basso) del Global Leadership Index creato dalla Harvard Kennedy School. L’indice utilizza 37 indicatori per meglio cogliere le percezioni e le sfide che la leadership globale avrebbe affrontato all’epoca. Ci fornisce come risultato finale una classifica della leadership a livello nazionale e regionale oltre che per settore (governo, media, ong, corporations ecc..). Senza entrare troppo nei dettagli (per chi vuole, tutte le info sono disponibili a questo link), in sostanza più l’indice è alto, più c’è fiducia nella leadership. Lo studio del WEF diceva che << Mentre i cittadini perdono la fiducia nelle istituzioni democratiche e i conflitti geopolitici proliferano, è chiaro che la mancanza di leadership nel mondo contribuisce globalmente a una crisi di leadership>>. Se collochiamo poi queste parole nel quadro sociopolitico di quanto accaduto negli ultimi 3 anni possiamo immaginare molte cose…

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La “dispersione” della leadership
È giusto dissentire? Dipende. Come ogni cosa il giusto sta nel mezzo. È ovvio che se il processo decisionale fa capo ad un’unica figura o a pochissime figure, è più veloce e può sembrare anche più efficiente (nel breve periodo). Questo perché tutte le persone che prima partecipavano alla definizione delle linee e delle strategie non lo fanno più, non pensano più e “non si perde tempo” per mettersi d’accordo. A pensare e a decidere ci pensa il Leader! Tuttavia questo piano (d’azione) è sbilanciato e in quanto tale destinato a fallire.

Ma allora tutte le leadership di comando sono sbagliate? Dipende dal contesto. Nei corsi di leadership si fa un esempio molto pratico: supponiamo che vi troviate in una situazione di pericolo, ad esempio una nave che affonda, secondo voi il comandante avrà tanto tempo per condividere tutte le informazioni e decisioni, magari chiedendovi se preferite la scialuppa di salvataggio di prua o di poppa o i salvagenti rossi o arancioni? La risposta è ovvia.
Quindi diciamo che in condizioni di emergenza il leader con uno stile più autoritario di comando può essere giustificato. È chiaro che si tratta di una situazione temporanea: il tempo necessario a venire fuori dalla condizione di crisi. I rischi ci sono sempre, nessun sistema è perfetto e abusi vari sono noti e non ne parliamo qui.

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Come ti lavora la leadership dispersa? Viene diffusa all’interno di un’organizzazione piuttosto che ricadere unicamente su una figura (o poche). Tutti diventano leader, o meglio accrescono le loro competenze di leadership.

Il fattore C-ultura
Esistono ovviamente degli aspetti culturali da considerare che possono predisporre o meno un tipo di leadership e sue “disfunzioni”. Ma come si fa a considerare gli aspetti culturali? Ci hanno già pensato. A tal proposito vi proponiamo il modello del professor Geert Hofstede, uno dei pionieri in tal senso. Si è occupato di chiarire come le corporations e le organizzazioni sono influenzate dagli aspetti culturali. Pensate alle joint ventures, non poche volte tutto va a monte perché gli aspetti culturali che influenzano ad esempio l’approccio al rischio, l’aggressività, la visione a lungo termine delle due parti coinvolte si rivelano poi essere incompatibili.

Queste sono le sei dimensioni da guardare secondo Hofstede:

Power Distance. Riguarda la relazione superiore/subordinato: in pratica quanto percepite la distanza dai vostri capi e superiori…

Uncertainty Avoidance. Quanto avete bisogno di certezze e punti fissi?

Individualism versus Collectivism. Questa è facile: giocate da soli o in squadra?

Masculinity versus Femininity. Anche questa è facile, ci sono donne in posti di comando?

Long Term versus Short Term Orientation. Il tuo focus è rivolto a breve medio o lungo termine?

Indulgence versus Restraint. Riguarda la vostra capacità di controllare desideri o impulsi.

I dati del modello di Hofstede sono disponibili gratuitamente, qui riportiamo quelli dell’Italia di fianco a quelli UK. Ovviamente si tratta di un modello e come tale è una rappresentazione della realtà quindi può essere più o meno approssimativo. Ma è interessante a questo punto considerare questi aspetti in relazione ai nostri pensieri sulla leadership.

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Indeed it has been said that democracy is the worst form of Government except for all those other forms that have been tried from time to time – Winston Churchill

Twitter @Raff_Perf

L’autore ringrazia R. Melillo per il supporto ricevuto nell’analisi storica