L’imposta sui turisti che si aggiunge a tutte le altre

scritto da il 10 Ottobre 2018

Pubblichiamo un post di Raffaello Zanini, fondatore del portale Planethotel.net. Laureato in urbanistica, assiste gli investitori del settore turistico alberghiero con studi di fattibilità, consulenza ai progettisti, selezione di opportunità –

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(dai giornali del 2018)

Recentemente ho voluto affrontare il tema dell’ Overtourism, legato al fenomeno AirBnB e della visita nei centri città di gruppi di turisti che affollano le aree monumentali apportando molto trambusto e reddito limitato.

In questo post vorrei scorrere i dati sull’imposta di soggiorno, giungendo ad una domanda conclusiva: ha senso far pagare l’imposta di soggiorno a quelli che già pagano  molte altre imposte (direttamente o indirettamente), e non piuttosto far pagare qualcosa a tutti quelli che creano trambusto in città?

La Banca d’Italia ha recentemente pubblicato questo paper, la cui sintesi è presto detta:
“I Comuni che nel 2016 avevano il tributo rappresentavano solo un nono del totale e un sesto di quelli che avevano la facoltà di istituirlo. Il 70 per cento delle presenze in Italia erano state comunque assoggettate a imposta. Il gettito è stato in media intorno al 4 per cento del complesso delle entrate tributarie da imposte degli Enti interessati (circa 20 euro per abitante). Roma, Milano, Firenze e Venezia erano le prime città per valore degli incassi: pur ospitando solo un settimo delle presenze totali, hanno incassato oltre la metà del gettito.”

La lettura delle due carte d’Italia pubblicate qui sotto, mostra il fatto elementare che la tassa di soggiorno viene effettivamente applicata solo nel 16% dei comuni “eleggibili” (cioè 973 comuni) i quali peraltro rappresentano ben il 76% delle presenze turistiche.

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Inoltre l’80% degli introiti sono stati ottenuti al centro nord, dove peraltro il turismo dà i risultati maggiori e più misurabili, con il 50% del gettito globale prodotto dalle quattro città leader Roma Milano Firenze e Venezia.

Much ado about nothing si potrebbe dire, visto che i 376 milioni di imposta del 2016 hanno rappresentato circa il 4% delle entrate tributarie dei comuni, con una media di circa 20€ per abitante, e di € 1,40 per pernottamento.

E’ pur vero che è stata istituita anche la tassa di sbarco (per chi vuole visitare alcune isole) e altre imposte come quella per l’accesso dei pullman turistici al centro delle città, ma in sintesi la tassa di soggiorno colpisce quasi esclusivamente i turisti più facoltosi, quelli che generano una domanda meno elastica, come i turisti business e internazionali.

Infatti l’aliquota media, e non potrebbe essere altrimenti, colpisce in misura crescente i turisti stranieri che dormono negli hotel a 4-5 stelle.

Le imposte dove non vi è corrispondenza tra contribuente ed elettore (come nel caso qui affrontato) fanno sì che chi paga non usufruisca appieno dei servizi che vengono pagati da tale imposta. Infatti tali servizi vengono utilizzati sia dai cittadini residenti (che non pagano l’imposta), ma anche da quei turisti che fanno solo un accesso giornaliero alla città, o che non la pagano perché semplicemente la evadono (come molti che dormono in case private).

Inoltre, trattandosi di un’imposta comunale, il comune limitrofo a quello “turistico” potrebbe decidere di non applicare alcuna imposta per attrarre parte del flusso turistico originariamente destinato nel comune principale.

Quale conclusione trarre allora dal Paper della Banca d’Italia?

Quest’imposta va a colpire i soliti noti, il turista business o straniero, che dimora nell’hotel 4-5 stelle, senza offrire un vero vantaggio a chi la incassa, vista l’esiguità degli importi in gioco e l’alta evasione.

Si dovrebbe invece trovare il modo di far pagare a tutti i turisti una imposta standard e limitata, meglio se aggiungendola ad un acquisto che tutti i turisti devono fare, come già capita a Venezia con il biglietto del vaporino, che ha prezzo diverso se lo compra un residente o un non residente.

Non è mio compito trovare soluzioni, ma così come è stata applicata quest’imposta non funziona. Ed il paper della Banca d’Italia conferma tutti i dubbi che gli addetti ai lavori hanno sempre espresso, fin dalla sua introduzione.

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