Giustizia, o cara. Il conto salato della lentezza e la reinvenzione necessaria

scritto da il 19 Ottobre 2018

Pubblichiamo un post di Mari Miceli, analista giuridico. Mari svolge attività di ricerca in materia di dinamiche processuali penali. Autrice di pubblicazioni scientifiche, è membro del Comitato revisori di Cammino Diritto –  

La lentezza della giustizia in economia si traduce immediatamente in inefficienza del sistema impresa. Sono quasi 9 milioni i procedimenti pendenti e circa 7 milioni i nuovi processi aperti ogni anno nel nostro Paese. Secondo Banca d’Italia, il malfunzionamento della giustizia causa una perdita dell’1% del PIL, rallentando di conseguenza la crescita. La durata stimata dei processi ordinari in primo grado, infatti, supera i cinquecento giorni e colloca l’Italia al 157esimo posto su 183 paesi presi in considerazione, secondo la graduatoria stilata dalla Banca Mondiale. A ogni 10% in meno di durata dei processi corrisponde un 2% in più di dimensione delle imprese; la qual cosa significa, in termini economici, bassi investimenti: se in un anno nel Regno Unito gli investimenti stranieri arrivano a 45 miliardi, in Francia 30 e in Spagna 20, in Italia ci si ferma a 5 miliardi.

Operando un confronto dei dati della Commissione europea per l’efficacia della giustizia (CEPEJ) del Consiglio d’Europa, il sistema giudiziario italiano, in rapporto ad altri 45 impianti europei tra i quali Francia, Germania, Spagna e Polonia, risulta uno degli apparati più dispendiosi e lenti; il costo totale della giustizia italiana è di quasi 8 miliardi di euro per il 2016, pari a circa lo 0,4% del PIL (2015), mentre Paesi come la Polonia e la Spagna si attestano a costi che variano dai 2 ai 5 miliardi. A fronte di tale spesa, l’Italia si posiziona comunque tra i Paesi meno efficienti anche in termini di giusto processo. Il Consiglio d’Europa e la Corte dei Diritti Umani hanno più volte invitato l’Italia ad “assicurare una ragionevole durata dei procedimenti”, laddove gli ultimi dati Cepej indicano come un giudice mediamente impieghi 590 giorni prima di emettere una sentenza in una causa civile di primo grado.

All’interno dell’analisi sviluppata dal Cepej sono stati presi in considerazione altri elementi, quali ad esempio i motivi per cui si ricorre spesso alla giustizia. Il maggior numero di cause civili viene aperto per insolvenza; seguono le cause di divorzio, mentre in campo penalistico vengono in rilievo i reati di furto e omicidio: 2.318 processi pendenti alla fine dell’anno, con una durata media del processo di 180 giorni nel caso del reato di furto e di 243 giorni nel caso di omicidio. Quanto costa tutto questo costa ad ogni singolo cittadino? Il Cepej ha calcolato la ricaduta pro-capite delle risorse destinate da ogni singolo paese alla giustizia: se la media europea è di 35 euro a persona, in Italia giudici e pm ci costano 50 euro a testa. In compenso siamo tra i paesi dove si indaga di più: sono 1.900 i pubblici ministeri che lavorano nelle nostre procure e ognuno di essi ha avuto in mano 1811 inchieste, di cui concluse circa 1600 all’anno. Complessivamente, nel 2012, su più di 3 milioni di denunce presentate ai pm dagli italiani solo il 19,7% dei casi è giunto in un’aula di tribunale,mentre ben 1 milione 450 mila inchieste sono rimaste senza un colpevole identificato.

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I procedimenti avviati pendenti di fatto possono dividersi in due sottoinsiemi: le pendenze fisiologiche, ovvero i processi avviati da poco, e le pendenze patologiche, quelle cioè che non sono state risolte entro i termini previsti. A tal riguardo, al fine di arginare in modo deterrente il fenomeno, nel lontano marzo del 2001 è stata promulgata la legge n. 24, conosciuta come “Legge Pinto”. Il suo scopo è quello di prevedere un’equa riparazione per le lungaggini processuali a colui/coloro i quali abbiano subito un danno patrimoniale e non patrimoniale per effetto della violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in relazione al mancato rispetto del termine “ragionevole” di cui all’art. 6, paragrafo 1, della stessa Convenzione. In base alla Legge Pinto, qualora il processo superi una durata di tempo ragionevole (3 anni per il procedimento di primo grado, 2 anni per il secondo e 1 anno per la Cassazione), indipendentemente dall’esito della controversia, si ha diritto ad un risarcimento in denaro per ogni anno di eccessiva durata del processo pari a circa 1.000-1.500 euro; somma che può aumentare fino a 2.000 euro in casi di particolare importanza, quali ad esempio in tema di diritto di famiglia o che incidano sulla vita o sulla salute.

La ‘giustizia lumaca’ si traduce anche in termini di prescrizione giudiziaria: la Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è pronunciata sul cosiddetto abuso del processo, ovvero quell’abuso del diritto di azione che finisce per coincidere con l’abuso del potere. Dalla pronuncia del Supremo Collegio emerge che la prescrizione, oltre ad essere un’amnistia mascherata, comporta un ingente esborso da parte dello Stato, che si traduce in numeri in 500 prescrizioni al giorno,165mila prescrizioni annue che costano alle casse del Paese circa 84 milioni di euro l’anno. Emblematico fu il caso Bologna risalente al lontano 2008. Nel corso di una ispezione, peraltro ordinaria ordinata dal Ministero della Giustizia, furono ritrovati circa 3300 fascicoli di indagine chiusa e dimenticati. I reati contestati in quei procedimenti, tra cui furti, ricettazione, reati ambientali, sono oggi tutti caduti in prescrizione.

A poco è servita anche la riforma del diritto processuale civile in materia di contenzioso stragiudiziale con l’introduzione dell’Alternative Dispute Resolutions: nel marzo 2011, infatti, è entrata in vigore la riforma che introduce anche in Italia il sistema della Mediazione Civile; l’obiettivo principale della riforma è stato quello di ridurre il flusso delle cause impiantate in tribunale, offrendo di fatto uno strumento più celere per risolvere le controversie con tempi molto brevi (oggi, non oltre 3 mesi) e costi molto contenuti e certi. La mediazione è l’attività professionale svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa. In pratica, due o più parti, assistite dai rispettivi avvocati si incontrano presso un Organismo di Mediazione accreditato dal Ministero della Giustizia per cercare di trovare un accordo attraverso l’ausilio di un mediatore professionista.

La mediazione avrebbe dovuto costituire la miglior alternativa alle lunghe e costosissime cause in Tribunale, dove spesso, dopo anni di udienze, tutti si sentono sconfitti e nessuno vincitore. La lentezza dei tribunali non paga, gli effetti della cattiva gestione dei processi si traduce così in una flessione degli investimenti, una (ma non unica) causa della riduzione della crescita economica. Nel 2011 Confindustria ha stimato che tagliando del 10% la durata dei procedimenti giudiziari si avrebbe un aumento di circa lo 0,3% della dimensione media delle imprese.

Servirebbe ciò che in dottrina manageriale viene indicato come ‘business process reengineering’, ovvero una reinvenzione del modo di lavorare dei giudici ed una profonda riforma del sistema processuale per promuovere ed ottenere procedure interne che ne riducano i costi liberando i tempi di attesa e di emissione delle sentenze da parte dei magistrati. Un sistema, quindi, che possa limitare l’incidenza negativa dell’eccesso di domanda di giustizia da una parte, mentre dall’altra possa migliorare l’offerta della quantità di risorse a disposizione del sistema giudiziario italiano.

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