Le tensioni Nord-Sud nel Governo e l’eredità di Benedetto Croce

scritto da il 01 Dicembre 2018

Non è passata inosservata l’intervista del presidente di Assolombarda, Carlo Bonomi, sulle tensioni territoriali fra Nord e Sud che si avvertono nella maggioranza. Dallo smaltimento dei rifiuti alle grandi opere pubbliche, dal reddito di cittadinanza alle chiusure domenicali. Ogni occasione sembra propizia per dar  risalto a quella cartina colorata vista dopo le elezioni politiche del 4 marzo.

Su Econopoly, prima e dopo la formazione del Governo, ipotizzavamo possibili conflitti di tipo territoriale all’interno della maggioranza.

Stanno emergendo, con sempre più chiarezza. Complice di ciò è un’economia che rallenta e che preoccupa molte imprese, tra cui quelle rappresentate da Bonomi. Nella citata intervista, Bonomi ha affermato che «(…) quello che non si vuole capire è che questo Paese ha bisogno di ricette economiche diverse per territori (…)» e che «(…) pensare a una ricetta unica per l’intera Italia è ormai anacronistico (…)».

Almeno l’impostazione di fondo rappresenta l’opposto di quanto contenuto nel “Contratto di Governo”. Recita quest’ultimo:: «(…) tutte le scelte politiche previste dal presente contratto (…) sono orientate dalla convinzione verso uno sviluppo economico omogeneo per il Paese, pur tenendo conto delle differenti esigenze territoriali con l’obiettivo di colmare il gap tra Nord e Sud».

Luca Bianchi, direttore generale della Svimez, ha commentato le dichiarazioni di Bonomi sulle colonne del Corriere del Mezzogiorno (21 novembre), sostenendo che «(…) è difficile riconoscere, oggi, un tratto di novità nella proposta di politiche specifiche per i territori, se vuol dire due strategie diverse per due aree del Paese. Altro è invece considerare l’urgenza di adattare le politiche nazionali alle specificità territoriali (…) Dunque specificità degli interventi all’interno di un quadro di sviluppo nazionale, basato su una riqualificazione della spesa pubblica e un rilancio degli investimenti (…)».

Nonostante l’apparente diversità di vedute, Bonomi e Bianchi sembrano implicitamente concordare su un fatto: le politiche economiche a validità erga omnes calate dall’alto sono destinate a produrre scarsi risultati.

Un secondo punto importante emerso nell’intervista riguarda l’integrazione economica tra le macro-regioni del Paese. Bonomi richiama il rischio di un Nord che potrebbe fare fatica a fungere da traino per la penisola. Tuttavia, come già evidenziato in un altro pezzo di Econopoly, sussiste un’interdipendenza importante tra le macro-aree italiane.

Il gap tra Nord e Sud è indiscutibilmente elevatissimo sotto tutti i punti di vista economici. Probabilmente però ci si è un po’ troppo appiattiti su un’idea di settentrione che, da solo, avrebbe ritmi analoghi a quelli delle grandi potenze europee e potrebbe riuscire, per l’appunto, a trainare l’intero Paese:

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I tassi di crescita molto allineati degli ultimi anni, dimostrano che la crescita stessa è necessaria in tutte le macro-aree.

Oltre ai tassi di crescita, l’interdipendenza economica si evince anche osservando i dati sulle “filiere lunghe” e sulle interdipendenze produttive:

 

 

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Riconoscere l’interdipendenza tra le aree del Paese, si pone alla base di qualsiasi obiettivo di coesione nazionale.

Una visione d’insieme da contrapporre a mere rivendicazioni campanilistiche. Queste ultime preoccupano in vista degli step successivi previsti per l’attuazione del regionalismo differenziato. È notizia recente che la Regione Lombardia ha inviato al Ministro degli Affari Regionali e delle Autonomie, Erika Stefani, il testo dell’Intesa che dovrebbe essere sottoscritta tra l’ente e il Governo, per poi essere sottoposta all’approvazione definitiva del Parlamento. Proseguono i lavori anche con il Veneto e l’Emilia-Romagna.

Si tratta di un passaggio importante, anche delicato, per tutti gli interrogativi che pone il tema. Benché l’argomento sia parte del Contratto di Governo, potrebbe alimentare nuovi scontri politici nella maggioranza. Si legga all’uopo l’articolo di Gianni Trovati a pagina 2 de Il Sole 24 Ore del 29 novembre.

Di certo, fino a quando prevarranno gli egoismi territoriali -fomentati dalla politica- si rischia unicamente di non produrre risultati soddisfacenti. Inoltre, si rischia di esacerbare gli animi, provocando le classiche lotte tra imbevuti di faziosità.

Anziché dare seguito a chi non perde occasione per lanciare accuse di stampo territoriale, sarebbe meglio rileggere Benedetto Croce. Il filosofo liberale, oltre un secolo fa, esprimeva magistralmente l’inconcludenza delle accuse reciproche tra settentrionali e meridionali:

«Più volte si sono udite querele e accuse contro il Mezzogiorno: che senz’esso l’Italia sarebbe stata più omogenea nella ricchezza e nel grado di civiltà; che avrebbe segnato una media più bassa nelle statistiche dell’analfabetismo; che i suoi governi non avrebbero potuto disporre di voti guadagnati con facile corrutela; che la monarchia vi avrebbe ceduto il luogo alla repubblica, o che si sarebbe potuto evitare l’eccessivo accentramento e servare o introdurre una sorta di autonomia regionale (…). Ai quali detti sono state opposte le difese e le controffese: che, senza l’Italia meridionale, quella del settentrione e media si sarebbe ristretta ad una vita angusta e piccina; che nel Mezzogiorno l’industria del settentrione ha trovato il suo mercato, mentre esso, con l’unità, ha visto sparire quanto possedeva d’industrie locali; che l’efficacia del robusto pensiero meridionale ha assi innalzato la scienza e gli studi italiani (…).

Accuse e difese che, in quanto tali, si dimostrano inconcludenti, perché è chiaro che in una unione si hanno sempre vantaggi e perdite reciproche, e che nondimeno il guadagno totale (e non s’intende solo di quello economico nel senso empirico e quantitativo, ma anche il guadagno spirituale e qualitativo) dev’essere assai superiore alle perdite particolari, se l’unione si è formata e se, invece di dissolversi o di allentarsi, dura e si rinsalda»[1].

Twitter @frabruno88

[1] Croce B., “Storia del Regno di Napoli”, citazione dalle pagine 244-245, Laterza