Codice appalti e legge di Bilancio, appello al Governo: si eviti di favorire le mafie

scritto da il 29 Dicembre 2018

Il codice appalti (Decreto legislativo n. 50/2016) non ha sicuramente soddisfatto le stazioni appaltanti e le imprese che intrattengono rapporti con la PA.

Da un lato ha cercato di limitare fenomeni di illegalità e di infiltrazioni criminali negli appalti. Dall’altro però, ha provocato numerosi problemi di ipertrofia burocratica. Problemi che si sono poi riflessi nella difficoltà per le stazioni appaltanti di spendere risorse già stanziate. Il tutto a danno degli investimenti pubblici, che hanno subito un rallentamento.

Se, quindi, non è da biasimare l’idea di ritocchi volti a semplificare alcune prescrizioni sovrabbondanti, ad esempio gli eccessivi oneri in materia di subappalto, sussistono molti dubbi sulla decisione transitoria contenuta nella Legge di Bilancio 2019, approvata dal Parlamento. La stessa prevede, all’articolo 1, comma 912, che: «Nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, fino al 31 dicembre 2019, le stazioni appaltanti, in deroga all’articolo 36, comma 2, del medesimo codice, possono procedere all’affidamento di lavori di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro mediante affidamento diretto previa consultazione, ove esistenti, di tre operatori economici (…)».

codice appalti

Cosa significa? Attualmente l’affidamento diretto, privo cioè di una procedura competitiva, è possibile solo per forniture, servizi o lavori di importo fino a 40 mila euro. Con la modifica di cui sopra, la soglia si alzerebbe fino a 150 mila euro per i lavori, con il solo limite di una consultazione di tre operatori. Nessun vincolo di pubblicità e trasparenza.

L’innalzamento della soglia potrebbe avere un impatto molto significativo. Il Sole 24 Ore del 27 dicembre (pag. 2) ha fornito le prime stime. Per gli appalti di lavori, il 40% sarebbe assegnato direttamente. Una percentuale altissima, sebbene il valore economico non sia elevatissimo (600 milioni di euro su 25 miliardi).

Ma perché tutto questo sarebbe un problema? Perché un Sindaco non può avere discrezionalità nella scelta di un contraente? Perché gli incentivi, nel settore pubblico, possono allontanarsi dai criteri di efficienza e di efficacia. Lo stipendio del Sindaco dipende molte volte dal calcolo del consenso piuttosto che da una sana gestione. Ecco perché il rischio di favorire logiche clientelari non va mai sottovalutato. L’ente avrebbe totale discrezionalità nella scelta delle imprese da consultare. Senza dimenticare inoltre la pressione della criminalità organizzata in materia di appalti pubblici.

Un recente working paper della Banca d’Italia fornisce supporto empirico sugli effetti negativi generati dalla discrezionalità nella scelta dei contraenti della pubblica amministrazione. Gli autori hanno utilizzato un dataset relativo a contratti di lavori pubblici appaltati dai comuni italiani tra il 2009 e il 2013. Secondo i risultati dello studio, all’aumentare della discrezionalità corrisponde una crescita delle imprese aggiudicatrici aventi legami politici e minore produttività. Ovviamente i dati mostrano correlazioni peggiori nei casi di istituzioni più deboli e meno qualificate. Ecco perché gli autori suggeriscono di valutare attentamente la concessione di poteri discrezionali alle stazioni appaltanti. L’eventuale discrezionalità andrebbe comunque contemperata con adeguate forme di trasparenza e di controllo.

Perché in Italia si oscilla sempre tra una brutale repressione da Stato di polizia a via libera indiscriminati? Si pensi al fisco ad esempio, dove si passa con disinvoltura da forme vessatorie e durissime a condoni generalizzati. Si pensi alla giustizia, dove il Ddl Bonafede ha scelto di inasprire le sanzioni interdittive ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001 (che, per alcuni reati contro la PA, passano dal massimo di due anni attuale ad una nuova forbice edittale che va dai quattro ai sette anni). Ben oltre la ratio e le finalità del cosiddetto Decreto 231.

Un inasprimento che rientra a pieno titolo nella logica perversa “severità estrema/liberi tutti“.e che,quindi, risulta in evidente imbarazzo di fronte alla norma transitoria di modifica del codice appalti, che sembra invece congeniale per corrotti e corruttori, nonché per possibili infiltrazioni mafiose.

Forse si è ancora in tempo per rimediare. Ma serve alzare la voce per arrivare a Palazzo Chigi ed evitare un errore grave.

Twitter @frabruno88

(Pubblicato in data 29 dicembre 2018, aggiornato dall’autore in data 30 dicembre 2018)