Il Milanese Imbruttito, ovvero l’impresa va a lezione di cabaret (e viceversa)

scritto da il 08 Gennaio 2019

E pur mi disi che la Madonina a la mattina
senza fass vedè la spara on colp in aria
e la dà’l via.
E numm…’taccom a corr, compagn de quej
ch’hinn ‘dree a stabilì on record
o a fà ona corsa.
Walter Valdi

Questo è un pezzo rimasto nel cassetto stranamente per mesi.

La scorsa estate ho contattato Germano Lanzoni, che i più conoscono come il volto comico de “il Milanese Imbruttito”, per una intervista e ai primi di settembre ci siamo incontrati davanti ad un aperitivo, secondo il più classico rito meneghino.

Il personaggio è interessante ed ero curioso di saperne di più.

Lo dichiaro apertamente l’idea di intervistarlo si basa su una intuizione: sono convinto che chi fa impresa oggi abbia bisogno di contaminarsi e possa apprendere molto dall’economia della cultura.

Ho già avuto modo di scriverne su queste pagine, credo che l’economia della cultura sia una straordinaria palestra per la gestione dell’impresa che cambia perché ti costringe:

– a ragionare con risorse scarse;

– ad essere flessile lavorando in settori in perenne crisi;

– a cercare di valorizzare le competenze con nuovi prodotti/servizi perché la sola gestione ordinaria del core business non ti consente la sostenibilità del progetto;

– a investire in piccole “scialuppe” (non oso definirle startup) per tentare nuovi approcci, nuovi business model, spesso con l’obiettivo di ridefinire l’organizzazione e intaccare centri di potere che ingessano la struttura impedendole di cambiare.

Germano si è lasciato intervistare raccontandosi generosamente, ma, lo confesso, ho provato più volte a scriverne e più volte mi sono fermato davanti al foglio bianco.

Solo oggi dopo che sono uscite diverse interviste su di lui mi sento libero di raccontare ciò che più mi ha colpito senza riportare integralmente la sua biografia certo che il lettore più attento potrà soddisfare la sua curiosità semplicemente cercando su google e senza far torto all’intervistato.

Del resto non è facile trovare spazio per un comico sul Sole 24 Ore.

L’istinto però non mi ha tradito.

Germano un po’ intimidito (comprensibilmente, neanche a me infatti era chiaro cosa c’entrasse con Econopoly ma mi sono fidato dell’istinto e ne sono stato ripagato), un po’ protetto dalle battute del personaggio ha raccontato la sua storia come ha fatto più volte.

Questa sua versione “ufficiale” forse mi ha un po’ spiazzato perché le cose più interessanti le ha dette a bassa voce, quasi non dovessero interessarmi, quasi avesse timore di deludere le aspettative di chi cerca solo il giullare (come ama definirsi), di chi come me ha riso spesso al ritmo del suo “uè figa!”.

Sul suo sito, nella biografia leggiamo: “È un artista milanese, comico, cantautore, intrattenitore, attore, musicista, anchor man, scrittore. Conosciuto dai più per essere il volto del Milanese Imbruttito ma è anche lo speaker ufficiale del Milan a San Siro, quello che saluta con “Benvenuti nella casa deeeel Miiiilan!”.

“Cresciuto tra gli spazi off, teatri, locali di cabaret, centri sociali e ARCI, nella sua produzione artistica ha sempre posto una particolare attenzione alle contaminazioni tra i linguaggi. Lavora con jazzisti, danzatori, sciamani, dj ,artisti circensi;  sempre alla ricerca di testi contemporanei votati all ‘irriverenza, al superamento dei falsi moralismi, al tentativo di raccontare la realtà per quella che è”.

“Conduce in questi 21 anni di attività, diversi eventi nazionali (Gatorade Day, Maxi non tour, Tour Rds , Milan a.c. Tour) collabora con le più grandi aziende nelle fiere (11 Motorshow, 6 moto live) e allarga la sua esperienza non solo alla conduzione ma alla progettazione degli eventi stessi”.

“Parallelamente all’ attività d intrattenimento, si diploma nella scuola di teatro Arsenale di Marina Spreafico, scoprendo l’Importanza del gioco teatrale”.

“Nel 2004 fonda insieme a Rafael Didoni, il gruppo comico Democomica, diventato negli anni un punto di riferimento per gli addetti ai lavori.”

La prima domanda la faccio a bruciapelo, un po’ per rompere la sua protettiva “versione ufficiale”, un po’ perché mi frulla in testa da tempo: “Germano il tuo Milanese imbruttito ha in qualche modo preso il posto dello Zampetti. Un personaggio simile nato nei favolosi anni 80 come fa a rinascere e rimanere attuale in questi anni di crisi?”.

E qui la maschera protettiva cade e mi guida in un mondo più complesso di quello che appare:

“Non ci ho mai riflettuto con attenzione ma non credo siano simili, il Milanese imbruttito ha più cose in comune con Fantozzi”.

Io che ho sempre trovato tremendamente triste il personaggio di Villaggio devo aver fatto una espressione sorpresa tanto da spingerlo a spiegare meglio:

“Il Dogui in fondo rappresenta la classe dominante, chi ha chiuso il suo percorso lavorativo. Zampetti è uno arrivato che si gode la vita tra Curma e Santa. Il Milanese imbruttito rappresenta invece la nostra dinamica quotidiana, è la rappresentazione della partita IVA che si sveglia tutti i giorni al grido “alzati e fattura!”. Il MI ha successo perché siamo noi, siamo noi a Milano come a Napoli. Poi è chiaro che chi gira intorno alla Città metropolitana si identifica di più ma non è solo un fenomeno locale”.

L’uso dell’inglese ritorna nella comicità del Milanese Imbruttito, così come in quella del Dogui, ma qui credo ci ritroviamo molto nell’uso distorto che se ne fa in azienda. E sottovoce fa scivolare una riflessione interessante.

“L’inglese a Milano (e non solo) ha in qualche modo preso il posto del dialetto che abbiamo colpevolmente dimenticato. L’inglese smette di essere lingua per diventare iperbole, è rafforzativo. Per questo diventa uno strumento per il comico”

Ecco, si è rotto il ghiaccio ed il filone è quello giusto. Mi confesso: “Germano non so bene perché io stia facendo proprio a te una intervista dovendo parlare di economia ma sono convinto che puoi insegnare qualcosa a chi fa impresa del resto l’attore ha sempre dovuto vivere in un mondo mutevole caratterizzato da risorse scarse e bisogno di sperimentare”.

È lo stesso Germano a confermarmelo:

“Io sono un artigiano tra gli attori e se vuoi un attore tra gli artigiani. Come tutti ho anche io la mia bella partita IVA, come tutti devo capire di impresa, gestire un team e pagare i conti. Oggi però è più facile scegliere di fare il mio mestiere – dice sorridendo – prima chi lavorava in azienda aveva tranquillità, certezze, il famoso posto fisso. Oggi siete tutti precari come noi artisti”.

“E non credere anche io come ogni imprenditore ricevo ogni tre mesi la telefonata del Commercialista che mi dice ”Germano questo mese meno selfie e più fatturato che c’è da pagare l’IVA”.

E ci scappa da ridere.

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Sperimentare
“Una parte della mia struttura serve a finanziare la struttura stessa e a permettermi di sperimentare.”

Identità
“Il brand del MI non è mio, metto al servizio di un prodotto la creatività del mio team, la mia arte, ossia la comicità. Lavoro molto sulla mia identità comica che deve essere funzionale al brand ma rispettosa di me. Ogni volta che mi avvicino ad un nuovo progetto mi pongo due domande: chi sei? Che cosa hai da dire?”.

La sfida dell’identità e della coerenza è forse una delle più grandi che l’impresa si trova davanti. E su questo possiamo imparare molto dal teatro.

“Una delle più grandi lezioni l’ho appresa quando lavoravo ancora per gli eventi di RDS. Sul palco avevo avuto un successo straordinario ma il mio direttore artistico (che era uno che mi voleva bene, che mi aveva voluto con forza in squadra) mi attaccò letteralmente al muro perché durante un evento mi ero permesso di fare il mio show pur essendo in quel momento al servizio di un brand. All’inizio rimasi sconcertato ma da quel giorno ho capito la distinzione tra “ridere di…” e “ridere con…” creando una relazione costruttiva capace di coinvolgere il pubblico a tutela del marchio che rappresento.”

Non a caso sul suo sito leggiamo: “Surfo l’onda perché lascio l’ego sulla spiaggia”.

Il che per un attore non è poco. Pensiamo però quanto anche in azienda abbiamo bisogno di fuggire dalle trappole della vanità.

L’analisi della realtà
“Io sono un giullare, ho bisogno di monitorare continuamente la realtà. Il gioco teatrale si basa sull’osservazione e trasposizione della realtà”.

“Il giullare ha un solo compito osservare e poi raccontare”.

“Tieni conto che nella Silicon Valley i comici vengono presi nei team di sviluppo per avere un punto di vista oggettivo e professionale sulla creatività.”

Il cabaret è una scuola severa e meritocratica
“Il cabaret è estremamente meritocratico, storicamente svincolato dalla popolarità ma vincolato alla bravura. Sul palco sei solo e devi funzionare.”

Zelig, lo spartiacque
In realtà in questo lavoro c’è un prima e dopo Zelig. La televisione lo ha cambiato molto. Sia per una questione di tempi, sia per una questione di popolarità. Il cabaret è pensiero e confronto. In tv cerchi il coinvolgimento immediato, non hai tempo di rielaborare. L’irriverenza (che deve essere distruttiva per poi ricostruire) in tv non ha il suo tempo.

Inoltre come dicevo la TV ha introdotto il fattore popolarità: prima di Zelig si andava a vedere il cabaret, dopo Zelig si va a vedere il cabarettista.”

Ricordi personali
Nell’intervista Germano si è aperto anche a ricordi personali, dal papà operaio che sperava di avere un figlio laureato, al suo ruolo di padre. Di queste cose però abbiamo avuto poco tempo di parlare, le abbiamo solo sfiorate e vanno trattate con maggiore rispetto e non relegate a qualche riga a fondo pagina.

L’intervista ci ha preso un po’ la mano ed è continuata per strada mentre cercavo di raggiungere un convegno. Percorso interrotto di frequente dai numerosi fan dell’imbruttito.

Bellissimo lo sguardo di Germano che un po’ imbarazzato sapendo che ero di fretta mi chiede se può fare un selfie con un bimbo entusiasta per aver incontrato il suo eroe. Ed ecco che scompare il personaggio e torna la persona, timida e generosa.

Dopo il primo selfie se ne sono aggiunti molti altri ma al convegno mi hanno perdonato qualche minuto di ritardo. Per pagare pegno mi sono dovuto trattenere un po’ dopo i saluti per raccontare del mio incontro con il Milanese Imbruttito.

E mi scappa da ridere.

Ci siamo ripromessi di rivederci magari allo Spirit de Milan o alla trattoria Arlati per conoscere meglio il suo cabaret, per andare oltre al Milanese Imbruttito.

Soprattutto per approfondire che cosa il teatro può insegnare a chi fa impresa.

Perché identità, analisi oggettiva della realtà e fuga dalle trappole della vanità sono sfide di cui non sempre l’impresa è pienamente consapevole e che ha un bisogno urgente di affrontare.

Forse in futuro andremo a lezione di economia dal Milanese Imbruttito.

Twitter @commercialista