La scuola italiana: una finestra sul declino della nostra società

scritto da il 20 Gennaio 2019

L’autore di questo post è Corrado Griffa, manager bancario ed industriale (CFO, CEO), consulente aziendale in Italia e all’estero, giornalista pubblicista –

In modo inaspettato ci troviamo (con un incarico a termine) ad insegnare in un istituto superiore; è una esperienza nuova, dopo oltre 30 anni di industria e finanza; l’impatto con una realtà diversa, in tempi non facili e comunque molto mutati da quando eravamo prima liceali e poi universitari, provoca l’emergere di impressioni, sensazioni, considerazioni che non vogliamo lasciar passare come acqua sotto i ponti; ecco che cosa sta all’origine di queste rapide riflessioni sullo stato della scuola. Beninteso, ci sono scuole superiori e scuole superiori: i licei attraggono (rectius, dovrebbero attrarre) le migliori risorse ed i loro programmi non possono che tenere conto di questo orientamento; per differenza, gli istituti professionali vengono scelti da quanti, più o meno correttamente, risultano meno preparati e motivati, o che preferiscono avere un “passi” più immediato per il mondo del lavoro.

Se ci è concesso un paradosso, oggi la scuola è come una fabbrica di autovetture dove entrano materie prime e componenti spesso privi di controllo di qualità, spaiati per tipologia, ed in non pochi casi inadatti al compito richiesto; le procedure di produzione sono poco chiare, molto lunghe e prolisse, con involuti concetti, obiettivi e parametri che rendono il processo produttivo incerto e farraginoso, incapace di auto-regolarsi e correggere gli errori di processo e produzione; i capi reparto seguono ognuno logiche di produzione ed assemblaggio diverse, prive di adeguato coordinamento con le fasi a monte ed a valle; il risultato finale è che si producono autovetture in alcuni casi con componenti difettosi, od addirittura mancanti; il mercato si ritrova con una offerta di autovetture inadatte a tenere la strada, ma non ha alternative.

La scuola è malata; la sua malattia pervade la società e proviene allo stesso tempo dalla società stessa; senza una adeguata scuola un paese è destinato prima al declino, poi al disastro: l’istruzione è la linfa vitale di una nazione.

Le materie prime sono il materiale umano: gli studenti. Troppo spesso, ed in misura crescente negli anni, essi arrivano alle superiori senza possedere adeguati elementi di comprensione di concetti e schemi basilari per proseguire gli studi (concetti più complessi per i licei, più semplici per gli istituti professionali); il biennio delle superiori non riesce a metter mano e “tamponare” le lacune spesso accumulate in ben 8 anni di scuola dell’obbligo primario: assenza di disciplina; incapacità di scrivere e far di conto; fare collegamenti; insofferenza a programmi di preparazione ed orientamento; mancanza di “voglia di impegnarsi” oltre il modesto obiettivo della sopravvivenza (il terribile “6” dato a tutti per evitare scandali e problemi); scarsissima attenzione; incapacità di comprendere anche semplici schemi tabelle e processi. Il controllo di qualità, in altri termini, è carente, purtroppo talora inesistente; senza controllo di qualità ci si ritrova nella difficoltà, spesso impossibilità, di produrre quanto richiesto; le cause di questa carenza di controllo di qualità sono di origine lontana, ma gli effetti sono ben chiari: senza selezione, senza un processo costante e continuo che richiede la bocciatura quando questa è necessaria, la scuola è divenuta un luogo dove vige l’appiattimento sul più impreparato della classe, così privando i meritevoli (che sono tanti, e bravi) di stimoli per crescere, apprendere, migliorarsi. E gli effetti sono ben visibili ed ancora più visibili, e temiamo irrecuperabili, saranno nel prossimo e vicino futuro.

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In termini “forti”, la scuola si ritrova a sfornare troppi asini definiti cavalli, ma essi restano asini nonostante gli orpelli di chiamare “buona scuola” una “cattiva scuola”. Molti, troppi studenti non sanno più “sudare sui libri”: tanto c’è lo smartphone; ma come dice un vecchio adagio, “garbage in, garbage out”: non basta l’informazione, perché l’informazione è inutile se non viene elaborata, compresa, “metabolizzata”.

Il costante aumento del numero di studenti classificati come “HC” (portatori di handicap gravi per l’apprendimento) e “DSA” (portatori di difficoltà di lettura, scrittura, linguaggio e comprensione) è una ulteriore “cartina di tornasole” dello stato dell’istruzione nel paese. Con conseguenti effetti non secondari, sia sul fronte degli investimenti e dei costi sostenuti (si pensi agli insegnanti di sostegno assegnati agli studenti HC e DSA) che su quelli del successivo inserimento nel mondo del lavoro (quali competenze sono state sviluppate ed apprese? A quali compiti essi potranno essere assegnati? …).

Le procedure. La scuola, viene da dire, si ciba di carta e documenti in misura e caratteristiche tali da non rispondere ad una domanda banale ma essenziale: lo studente è preparato? Ha capito? È pronto per passare ad un livello superiore? È pronto ad entrare nel mondo del lavoro od iscriversi all’università? Va fermato per consentirgli un adeguato apprendimento od in alternativa va indirizzato ad altro percorso di studi? Noi siamo nati e cresciuti in un mondo in cui il voto era metro di giudizio sufficiente e razionale; oggi i voti sono un di più, sommersi da documenti di analisi, dettaglio, sintesi, progettualità e raccomandazioni il cui scopo formale è forse commendevole, ma alla fine risulta per quello che è: una “coperta di Linus” sotto cui nascondere e nascondersi, una sorta di auto-giustificazione dell’insegnante che potrà sempre dire di aver rispettato lo “spirito della norma” anche, e soprattutto, quando avesse promosso chi non meritava.

Si rinvia a chi arriverà dopo alla cattedra: “to kick the can down the road”. È impressionante osservare lo scoramento dei colleghi insegnanti, spesso de-potenziati da docenti ad assistenti sociali, sempre più costretti a sforbiciare, semplificare, ridurre i programmi di studio sull’altare del “diploma per tutti”. Ovviamente, come in ogni settore, ci sono bravi insegnanti ed insegnanti meno preparati; ma resta l’umore di fondo, orientato alla sopportazione di una condizione poco invitante per chi volesse migliorare e migliorarsi.

I capi reparto: sono gli insegnanti; troppo spesso ognuno segue il proprio programma di lavoro, con scarsi collegamenti con i programmi dei colleghi; la “consecutio temporum” dei programmi è sfasata fra le diverse materie, con risultati a volte paradossali: l’insegnante di diritto si trova a spiegare le diverse tipologie di società aggiungendo che queste hanno un bilancio, ma il bilancio non è ancora stato affrontato nel programma di economia; lo studente si trova quindi privo di elementi sufficienti per “razionalizzare” i concetti di società e di bilancio.

La struttura scolastica è per linee verticali o funzionali: si insegnano storia, letteratura, matematica, chimica e via via le altre materie ma non è previsto, e laddove fosse previsto risulta largamente infattibile, un collegamento orizzontale o trasversale fra le varie materie; si pensi, banalmente, al tema della schiavitù moderna sviluppatasi nei secoli XVI-XVIII; essa viene “toccata” durante le ore di storia, ma nessuno affronta il tema della schiavitù in modo coordinato e condiviso fra aree didattiche esaminandone gli aspetti geografici (gli schiavi erano prelevati in Africa occidentale e trasferiti nelle Americhe), produttivi (i campi di cotone del continente americano), economici (allo sviluppo delle produzioni nel continente americano fece da contraltare la caduta della produzione nel continente asiatico), logistici e tecnologici (il cotone viaggiava verso i porti inglesi diretto alle fabbriche locali, e per contro i relativi manufatti, prodotti su macchine e non più a mano, venivano esportati in tutto il mondo, il tutto a bordo di navi sempre più efficienti e moderne passando rapidamente da una locomozione a vela ad una a vapore), finanziari (lo sviluppo di contratti a termine, con Liverpool divenuta piazza finanziaria mondiale per contratti standardizzati).

Ci attendono ancora lunghi mesi per verificare, modificare, aggiungere considerazioni; e la scadenza dell’esame di stato probabilmente aggiungerà materiale ed esperienze per completare le impressioni così rapidamente descritte.

Il pensiero costante resta quello di come e che cosa dare agli studenti, avendo bene in mente che è il loro domani ad essere importante e prioritario; per questo studiare, da parte dell’insegnante, è un dovere altrettanto essenziale come il richiederlo agli studenti.

Arrivederci, allora, a fine giugno 2019.

Twitter @CorradoGriffa