Carli, Baffi e la lezione sulla spesa pubblica che nessuno ha ancora imparato

scritto da il 07 Luglio 2015

È chiaro che la politica in Italia è stata debole e non in grado di respingere le richieste dei gruppi di pressione, i quali fanno prevalere gli “interessi concentrati” rispetto agli “interessi diffusi”.

Se guardiamo ai dati storici (si veda grafico interattivo “I conti dello Stato” su ‘Info Data Blog’ del Sole 24Ore), dal 1960 al 2014 l’occupazione nelle amministrazioni pubbliche è più che raddoppiata passando da 1,6 a oltre 3,2 milioni di unità. Oltretutto la produttività della Pubblica amministrazione ha sempre lasciato a desiderare: il differente andamento rispetto al settore privato spiega il 70% dell’aumento della spesa per beni e servizi pubblici.

Quando l’allora ministro del Tesoro, Guido Carli, convinse i partiti (che non avevano ben presente quale fosse la posta in gioco) a firmare il Trattato di Maastricht nel febbraio 1992, mise in chiaro che era necessario cambiare i nostri comportamenti. Se il mantra nazionale porta a risolvere qualsiasi problema con una maggiore spesa pubblica, la conseguenza finale è l’aumento della pressione fiscale. Se la spesa corrente cresce a prescindere, nessun aumento del carico fiscale sarà mai sufficiente.

Torna attuale il monito del governatore Paolo Baffi, del 1978 (trentasette anni fa!): “Se si è convinti che la spesa pubblica corrente ha raggiunto valori insostenibili, che essa non risponde in modo appropriato alle esigenze sociali e che per di più ha in sé fattori di ulteriore deterioramento quantitativo e qualitativo, occorre intervenire senza ulteriori indugi e senza mezze misure”.

Carlo Cottarelli, ex commissario straordinario alla spending review, nel suo recente volume “La lista della spesa” (Feltrinelli, 2015) è convincente quando sostiene che ogni Paese non deve solo confrontarsi con i suoi peer, ma anche valutare “cosa ci si può permettere”, nelle condizioni in cui si è. Altrimenti la spesa pubblica diventa una variabile indipendente, e la pressione fiscale deve salire fino a coprire la spesa dell’amministrazione pubblica, che da sola non si sogna neppure di poter sopportare una qualche forma di rinuncia.

Twitter @beniapiccone

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Clicca qui per il grafico interattivo “I conti dello Stato” (Info Data Blog)