Vuoi usare i bitcoin? Ecco cosa ne pensa il Fisco in Italia e in Europa

scritto da il 01 Settembre 2015

La natura dirompente delle criptovalute, tra le quali il bitcoin, innesca una serie di interrogativi sul versante tributario per l’imprenditore che intende usarle nella propria impresa. Alcuni Paesi, tra i quali Stati Uniti, Canada, Francia, Regno Unito e Australia, hanno realizzato studi e riflessioni multidisciplinari sottolineandone l’utilità e la portata innovativa e le rispettive Autorità Tributarie hanno già dato indicazioni operative.

Il Governo e il Parlamento italiano finora non si sono espressi, lasciando le imprese nell’incertezza, dato che non ci sono né studi ufficiali né chiarimenti interpretativi, se non un’audizione a Montecitorio. Bankitalia ha chiarito come “in Italia l’acquisto, l’utilizzo e l’accettazione in pagamento delle valute virtuali debbono allo stato ritenersi attività lecite; le parti sono libere di obbligarsi a corrispondere somme anche non espresse in valute aventi corso legale”, ma è stato l’unico ente italiano a pronunciarsi.

Al momento, quindi, è il consulente tributario che si incarica di qualificare giuridicamente la criptovaluta in ogni normativa fiscale. A tal fine, sulla base di quanto indicato, affrontiamo le normative applicabili su IVA e Imposte Dirette.

IVA
I Paesi membri hanno preso posizioni difformi per le transazioni con i bitcoin: alcune propendono per l’esenzione IVA (Spagna, Regno Unito, Belgio, Finlandia), altri per l’imponibilità (Estonia, Polonia); gli altri non hanno espresso alcuna posizione. La Svezia ha sollevato una questione pregiudiziale (caso C-264/14) se il cambio tra valuta a corso legale e bitcoin costituisca prestazione di servizi e se sia imponibile a IVA.

Nel merito la Commissione Europea sta sostenendo l’esenzione IVA e lo ha descritto nel documento del Comitato IVA “VAT treatment of Bitcoin”. Anche l’Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia Europea, il 16 Luglio 2015, ha concluso per l’esenzione lVA assimilandola (ai soli fini IVA) a valute estere.

A livello italiano, invece, giace un interpello che propone l’esenzione IVA presso l’Agenzia delle Entrate in attesa di risposta.

Quindi, l’uso di Bitcoin in Unione Europea è – al momento – presumibilmente esente da IVA. L’imprenditore potrà accettarli e ricederli in esenzione IVA, fermo restando le ordinarie regole per le cessioni dei beni e servizi.

Per esemplificare, nella vendita di un bene con pagamento in bitcoin, il commerciante emetterà scontrino / fattura normalmente (esempio: euro 200 + 22% IVA) e accetterà in pagamento 1 bitcoin. Il commerciante potrà scambiare i bitcoin contro euro in esenzione IVA per il loro valore di mercato.

Imposte dirette – persone fisiche – IRPEF
Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi prevede la categoria dei redditi diversi da capitale all’art. 67 se c’è una differenza tra prezzo di acquisto e vendita di beni o titoli. In particolare, per i bitcoin, il differenziale sarà costituito dalla differenza tra il costo di acquisto (somma in euro pagata per ottenere criptovaluta) e il ricavato (somma ricevuta per la cessione di criptovaluta). Tali differenze dovranno essere dichiarate solo in UNICO persone fisiche nel quadro RT.

L’eventuale eccedenza può essere portata in deduzione, fino a concorrenza, dalle plusvalenze e dagli altri redditi simili dei periodi d’imposta successivi ma non oltre il quarto anno. Le minusvalenze sono deducibili da redditi della stessa natura. Il differenziale positivo delle plusvalenze e minusvalenze sarà tassato in dichiarazione annuale nella misura del 26 per cento. Il contribuente ha l’onere di predisporre idonea documentazione e comunque seguendo la regola di “cassa”, vale a dire che i differenziali sono realizzati al momento della cessione.

Per esemplificazione, nell’anno 2015 si acquista 1 bitcoin a 200 euro, si cede a 300, si riacquistano 2 bitcoin a 250, e se ne cede uno solo a 200 euro. In questo caso il reddito sarà di 100 (prima transazione) – 50 (seconda transazione) = 50 di reddito imponibile (da dichiarare e tassare al 26%), con 1 bitcoin residuo, con valore di carico a 250 euro.

Imprese – Imposte dirette
L’imprenditore deve inserire le operazioni in criptovalute nella propria contabilità e rappresentarle in bilancio. Anche in questo caso, con l’eccezione di Spagna e Finlandia, nessuno Stato ha indicato principi contabili. Occorre valutare caso per caso per individuare le soluzioni idonee al rispetto del principio della prevalenza della sostanza sulla forma.

Ogni azienda dovrà quindi rappresentare nella propria contabilità gli acquisti e le vendite di criptovaluta: chi le accetta in pagamento dovrà contabilizzare (similmente a valute estere) il differenziale da far confluire nel risultato di esercizio. Nel caso in cui il commerciante detenga criptovalute a fine anno, dovrà dare adeguata informazione nel bilancio, tenendo conto del fair value o valore corrente.

Per esemplificazione: nell’anno 2015 si acquistano 2 bitcoin a 250 euro, se ne vende uno solo a 300 euro e a fine anno la valutazione è di 220 euro. Il risultato economico del 2015 sarà: 50 (cessione) – 30 (svalutazione di fine anno non deducibile fiscalmente) = 20 euro. Invece, il reddito imponibile sarà di 50 euro, dato che i differenziali valgono solo quando realizzati. Il bitcoin avrà quindi valore fiscale di 250 euro (costo di acquisto) indipendentemente dalle valutazioni di fine anno.

Articolo realizzato in collaborazione con Stefano Capaccioli, autore di una monografia e di saggi in materia, dottore commercialista in Arezzo e co-fondatore di assob.it

Disclaimer
Come si evince, la materia è ancora soggetta a libera interpretazione. Riteniamo che siano necessari studi di approfondimento con emanazione di norme interpretative per dare un quadro giuridico stabile agli operatori.

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