Volkswagen e la nostra “schadenfreude”: se l’alleato vacilla non c’è da stare allegri

scritto da il 22 Settembre 2015

In questi giorni assistiamo un po’ increduli al tornado che investe il gruppo Volkswagen per la violazione delle norme anti-smog negli Stati Uniti. Il titolo ha perso in borsa più del 30% del valore in due sedute per il rischio di una maximulta (seppur molto lontana dalla cifra record di 18 miliardi di dollari inizialmente ipotizzata) che il costruttore automobilistico tedesco potrebbe vedersi infliggere dalle autorità Usa. Un danno gigantesco, a cui si aggiunge l’indagine penale avviata dal Ministero della Giustizia americano.

La casa di Wolfsburg ha ammesso di avere alterato i test grazie a un software in grado di ridurre le emissioni in fase di omologazione. Volkswagen ha subito offerto “la massima collaborazione e trasparenza” alle autorità americane.

Altri Paesi stanno chiedendo verifiche e controlli a partire da Francia, Australia e Corea. C’è anche l’Italia, come ha annunciato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti. La bufera non si placa e, con ogni probabilità, ne vedremo ancora delle belle.

La reazione nel nostro Paese è stata duplice. Da una parte si è subito provato a disegnare scenari di un nuovo risiko nel settore automobilistico, cercando di prevedere le reazioni dello spodestato Ferdinand Piech e di un Marchionne costantemente alla ricerca di un alleato. Dall’altra abbiamo tutti sorriso di fronte alla dimostrazione di fallibilità dell’alleato tedesco.

Non nascondiamocelo, un po’ come Mussolini appena appresa la notizia dell’attentato ad Hitler, abbiamo provato quel sottile piacere nel non essere sempre noi gli ultimi della classe.

Attendo però con ansia che nel Paese emerga la stessa preoccupazione che colpì Mussolini subito dopo, quando si rese conto che vacillava il suo alleato più forte e con esso la possibilità di vincere la guerra.

Gli ultimi dati offrono segnali incoraggianti per l’export italiano, che vede in Germania e Francia i due maggiori mercati di sbocco (Il Made in Italy continua a crescere: a luglio export per oltre 40 miliardi, è la prima volta nella storia). E la filiera dell’auto ci vede fortemente interconnessi con la Germania: in media dentro una vettura tedesca l’8% del valore è costituito da componenti made in Italy.

Non dimentichiamo inoltre del ruolo giocato da Volkswagen nel sostenere la nostra industria di settore durante gli anni bui della crisi FIAT. Sempre del gruppo Volkswagen fanno parte Ducati e Lamborghini, due storici marchi del Made in Italy.

Rischiamo, come sempre, di dimenticare i fondamentali cercando facili scorciatoie consolatorie. Molto meglio sarebbe essere severi, a cominciare da noi stessi, pretendendo risultati dal sistema Italia e vigilando sul rispetto delle regole.

Twitter @commercialista