Obbligazioni subordinate ahi ahi ahi. Così il risk management ci può salvare

scritto da il 18 Dicembre 2015

“Il pericolo è il mio mestiere” era una famosa serie tv degli anni ’90 con Robert Vaughn. Ogni volta che mi occupo di tematiche di rischio mi torna sempre in mente proprio quel titolo. In questi giorni si è acceso un fervido dibattito sulle modalità di salvataggio delle quattro piccole banche locali (Cariferrara, Carichieti, Banca Etruria e Banca Marche). Anche Econopoly ha ospitato diversi contributi, ad esempio sul salvabanche, o ancora sulla tipologia di strumenti finanziari, come le obbligazioni subordinate, maggiormente utilizzati dalle banche citate.

La discussione attualmente verte su due aspetti che sono naturalmente collegati: da una parte l’operatività effettuata dagli istituti bancari e direttamente riflessa nella qualità del proprio portafoglio crediti, e dall’altra il tema della complessità degli strumenti finanziari emessi e collocati ai risparmiatori. Questo secondo aspetto, che ha toccato le tasche di molti risparmiatori, tipicamente locali, ha sollevato non pochi dubbi. Chi ha investito nelle obbligazioni subordinate aveva compreso cosa inseriva nel proprio portafoglio?

Sicuramente ha ragione Maurizio Sgroi, nel suo ultimo intervento su Econopoly: rischio e rendimento sono la faccia della stessa medaglia. Probabilmente però, mentre il rendimento è il lato più semplice da comprendere, il rischio lo è un po’ meno.

Che cosa è il rischio?

Rispondere a questa domanda è tutt’altro che semplice. Se provassimo a fare questa domanda a un operatore in sala trading di una banca d’affari o piuttosto al responsabile di una catena di montaggio industriale, otterremmo sicuramente risposte molto differenti. Questo è dovuto principalmente al fatto che esiste una diversa percezione del rischio.

In questo ambito risulta interessante il significato associato al simbolo cinese usato per scrivere la parola “crisi”:

idiomacineseCrisi

Il primo simbolo significa “pericolo/minaccia”, il secondo significa “opportunità”. L’unione di questi due concetti viene utilizzata anche per definire appunto il concetto di “rischio”. In finanza il rischio ha sempre assunto tradizionalmente una connotazione negativa, riferendosi alla probabilità di subire delle perdite, misurato dal modello statistico noto come Value at Risk (VaR). Ma se cerchiamo di adottare una visione più completa, possiamo effettivamente pensare al “rischio” come al mix dei concetti di “pericolo” ed “opportunità” in un contesto di incertezza.

Se ci pensiamo bene non c’è impresa senza rischio. In effetti ogni attività economica (e finanziaria) ha in seno entrambi gli elementi e grande importanza ricopre la loro comprensione. Proprio in questo ambito le istituzioni sono richiamate a promuovere e garantire la tutela del risparmio, investendo risorse nel favorire una migliore comprensione per i risparmiatori e richiedendo una maggiore trasparenza degli operatori. Il Sole24Ore ha pubblicato un Manifesto in cinque semplici quanto chiari punti.

Soprattutto per quanto attiene gli investimenti finanziari dei propri risparmi personali come nel private equity o real estate per gli istituzionali, la regola aurea è sempre la stessa: investire solo se si capisce cosa si sta comprando. Il rischio maggiore nasce proprio dalla mancanza di comprensione su quello in cui stiamo investendo, come ama ripetere sovente Warren Buffett.

Risk comes from not knowing what you’re doing

Warren Buffett

Ripenso ai casi di alcuni risparmiatori che avevano allocato tutti i propri risparmi su obbligazioni subordinate emesse da una banca (è il caso di Banca Etruria) che aveva rifiutato il rating (BB+ speculative) assegnato da Fitch. È evidente che, probabilmente, da una parte alcuni di quei risparmiatori non avevano la minima cognizione del loro profilo di rischio assunto, dall’altra però la comunicazione effettuata agli investitori (potenziali ed attuali) da parte della banca forse non è stata pienamente trasparente ed esaustiva.

Sicuramente un sistema economico non può che reggersi sulla fiducia. D’altronde, come osservava J. Rawls (nella sua famosa “A Theory of Justice”), noi accettiamo di vivere in una società moderna perché abbiamo fiducia che il “contratto sociale” che regola le nostre vite sia giusto e sia osservato da tutti.

I sistemi economici moderni, inoltre, fondano il proprio funzionamento – oltre che sulla fiducia come detto – sul ruolo della banche, che rappresentano la cinghia di trasmissione tra l’economia reale e quella finanziaria.

Le banche sono vigilate da istituzioni indipendenti (ruolo assunto principalmente da Banca d’Italia e Consob) alle quali ci si riferisce spesso con il termine di “regulator” ossia di “regolatore”. Ma il ruolo del regulator deve essere inteso come regolatore appunto e non come creatore di carte e di burocrazia.

Se pensiamo ai documenti per l’offerta di sottoscrizione dei prodotti di investimento alternativo, questi non possono assumere le vesti di un “bugiardino” come quello che si trova nelle scatole dei medicinali. Qui il problema è di trasparenza e comunicazione all’investitore, che però si aggrava perché amplificato da una grave mancanza di cultura finanziaria del rischio, soprattutto fra la fascia più giovane del nostro Paese, come riportato dall’ultimo rapporto OECD:

educazione_finanziaria

Fonte: OECD, Database PISA 2012

L’alfabetizzazione finanziaria è una competenza diversa da quelle in matematica e lettura ed è la sola che può offrire una base per una buona cultura e comprensione del rischio.

L’informazione trasparente e diffusa porta a una migliore allocazione delle risorse. In un mondo di mercati perfetti, infatti, non si creano, infatti, situazioni di “moral hazard” che tipicamente emergono da asimmetrie informative (come nel caso della banca che offre obbligazioni subordinate al piccolo risparmiatore).

Oltre alla doverosa individuazione delle responsabilità legate alle recenti vicende delle quattro banche, la proposta che mi permetto di avanzare riguarda il problema di regolare gli incentivi di chi gestisce i nostri risparmi come di chi amministra importanti istituzioni quali banche o assicurazioni, evitando che si persegua una sovra esposizione al rischio rispetto a quanto dichiarato dall’intermediario.

Ecco che una maggiore attenzione alla politica sulle remunerazioni dei manager – penso soprattutto alle banche coinvolte, in cui certamente bisogna premiare le performance ottenute, tenendo in considerazione anche una componente di correzione per il rischio assunto – possa essere una scelta che va nella giusta direzione. Certamente la soluzione non sta “sotto il materasso”.

Non ci si può rifiutare di mangiare solo perché c’è il rischio di restare soffocato. [Proverbio cinese]

Twitter @pasqualemerella