Algoritmi, tecnologia e milioni per colonizzare lo spazio. Cosa c’è dietro le stelle?

scritto da il 27 Aprile 2016

Questo post vuole offrire una panoramica su un nuovo, possibile, balzo in avanti in ambito aerospaziale.

20 luglio 1969. Apollo 11. Neil Armstrong e Buzz Aldrin, aiutati da Michael Collins rimasto in orbita, camminano per poco più di due ore sul suolo lunare, raccolgono 21,5 chili di materiale lunare e ripartono per la terra.

Quel giorno la storia è cambiata, spezzandosi in un prima e un dopo.

Un frastuono fortissimo, la sensazione di aver sconfitto il cielo, quel mantello di vuoto da sempre limite massimo dell’umanità, fonte di terrore e speranze, di vita e morte.

Per conquistare la luna c’è voluto il distillato del sapere di migliaia di persone che nei secoli hanno impiegato milioni di ore risolvendo equazioni, scrivendo algoritmi, capendo le leggi che regolano il mondo e costruendo macchinari in grado di manipolarlo.

Il tutto tenuto insieme dalla voglia di riuscire ad ogni costo che ci consente di essere la specie dominante sul pianeta.

Per millenni gli uomini prima di noi hanno alzato la testa ed hanno osservato. Disegni, costellazioni.

Poi la matematica, la fisica, l’ingegneria. Il primo aeroplano.

Appena un secolo dopo l’impresa dei fratelli Wright, eravamo lì, sul satellite bianco.

Oggi, a quasi 50 anni dallo sbarco sulla luna, un manipolo di imprenditori e appartenenti ad organizzazioni del settore aerospaziale sta gettando le basi per un nuovo balzo in avanti: passare dall’esplorazione, alla colonizzazione dello spazio.

Sembra difficile da credere, ed è normale che sia così quando si osserva un fenomeno a crescita esponenziale.

L’elemento di rottura alla base di questo nuovo “leap forward” è l’information technology, in particolare è lo sviluppo di machine learning e di intelligenza artificiale associati alla crescita esponenziale della capacità di calcolo.

Carlota Perez scrive: “Ogni rivoluzione tecnologica è il risultato di una interdipendenza sinergica di un gruppo di industrie con uno o più network infrastrutturali.”

Un esempio sono il ferro e il carbone. Seppur usati a lungo, è solo assieme al motore a vapore che diventano il cuore pulsante della “Age of Railways.”

Oggi il nuovo “motore a vapore” è il software e i nuovi ferro e carbone sono sensori ad infrarossi, motore a razzo, tecniche di estrazione ed estrusione: sono molte le tecnologie industriali attraversate da una profonda fase di trasformazione e, di conseguenza, le industrie in cui operano.

Sono tre gli ambiti che costituiscono il presupposto tecnologico alla base della futura colonizzazione dello spazio:

1/ Lo sviluppo di razzi orbitali riutilizzabili

2/ Il mining di risorse da asteroidi 

3/ I viaggi interstellari.

I razzi orbitali riutilizzabili

Il team di SpaceX, azienda guidata da Elon Musk, il 21 dicembre 2015 è riuscito a far atterrare un razzo in verticale, intatto, dopo averlo mandato in orbita. L’impatto di questo evento è storico: essere in grado di riutilizzare un razzo più volte significa far crollare il costo di un lancio orbitale che si aggira oggi attorno ai $100 milioni, a $10-$20 milioni circa (ne ho parlato in questo post).

Pochi giorni fa hanno replicato l’impresa, facendo atterrare il Falcon 9 su una piattaforma in mare aperto e non su terra ferma.

L’obiettivo dichiarato di SpaceX è colonizzare Marte ed è logico che il primo passo necessario sia quello di abbattere i costi di trasporto.

Tra l’altro poche ore fa sul profilo twitter dell’azienda è stato pubblicato questo tweet in cui hanno annunciato di mandare il loro Red Dragon su Marte nel 2018.

Come è possibile che dopo anni di tentativi falliti ora siano in grado di replicare l’atterraggio verticale addirittura in condizione di maggiore difficoltà?

Perché il software impara da ogni errore commesso ed una volta allenato a sufficienza è in grado di portare a termine il task.

L’enorme differenza rispetto al passato sta quindi nella quantità di decisioni in grado di essere prese autonomamente dal “computer di bordo” del Falcon 9 — decisioni che migliorano nel tempo e basate su uno stream di input provenienti da sensori che vengono continuamente rielaborate e che consentono al razzo di atterrare in posizione di equilibrio.

A questo si aggiunge una supply chain cortissima: Space X produce quasi tutto in house, minimizzando il rischio intrinseco dell’outsourcing, riducendo drasticamente i costi.

Riuscire a scalare questa soluzione significa poter mandare in orbita un razzo ad una frazione del costo in termini di tempo e risorse.

Il mining di asteroidi

Portare una tonnellata d’acqua nello spazio oggi costa 50 milioni di dollari. Pur prevedendo lo sviluppo di razzi riutilizzabili il costo rimarrebbe di milioni di dollari per tonnellata.

È qui che entrano in gioco gli asteroidi: moltissimi infatti contengono acqua, ferro e molti altri tipi di commodities industriali.

Combinare la capacità di estrazione a quella di stoccaggio ed elaborazione, utilizzando ad esempio tecniche di stampa 3d, significherebbe avere virtualmente le capacità di creare delle stazioni di rifornimento spaziali.

Si potranno progettare viaggi estremamente più lunghi, con equipaggi più grandi, ad un costo finale ridotto.

Aziende come Planetary Resources e Deep Space Industries stanno lavorando a soluzioni pratiche per riuscire a minare asteroidi, ed il Senato degli Stati Uniti a novembre del 2015 ha approvato lo “Space act of 2015” che mira a favorire lo sviluppo di questo settore.

Planetary Resources sta progettando e lanciando in orbita satelliti dotati di un sistema di rilevamento ad infrarossi in grado di comprendere quali asteroidi contengono risorse e di determinarne il tipo.

È il primo passo necessario per poter pensare di costruire strutture in grado di attrarre e minare asteroidi in orbita.

Gli osservatori ipotizzano la prima estrazione da un asteroide nel 2025 e per ora i risultati sembrano lontani ed incerti ma appare chiaro che portare a termine questa impresa significherebbe aumentare esponenzialmente la nostra capacità esplorativa.

Lo sviluppo di questa tecnologia sarà centrale per gettare le basi per il trasporto di un gran numero di persone dalla terra ad un altro pianeta e per pianificare la costruzione di strutture orbitanti più grandi e complesse di quelle costruibili oggi.

I viaggi interstellari

Dei tre, quello che sembra essere più lontano nel tempo e che fino a pochi giorni fa sembrava solo una fantasia.

Il 12 aprile Yuri Milner e Stephen Hawking hanno annunciato “Breakthrough Starshot”, un piano a dir poco incredibile per spedire una flotta di robot ad Alpha Centauri e raccogliere informazioni.

La dotazione iniziale del progetto è di 100 milioni di dollari e fanno parte del board Milner, Hawking e Mark Zuckerberg ,  il fondatore e CEO di Facebook.

Alpha Centauri è un sistema solare triplo. In particolare Proxima Centauri, una delle tre stelle che lo compongono è la più vicina alla terra dopo il sole.

Si trova a 4,37 anni luce, ossia 41.344 miliardi di chilometri dalla terra. Un milione di volte il giro completo della terra.

Spedire una sonda a reperire informazioni su un altro sistema solare è oggi impossibile.

Il piano di Milner e Hawking è di mandare in orbita un razzo carico di “Starchip”, micro-computer dotati della grandezza di un francobollo.

Una volta in orbita l’idea è di spingere le Starchip tramite un raggio proveniente dalla terra verso Alpha Centauri, insistendo su delle vele enormi attaccate alle sonde chiamate Lightsail.

Le Starchips sarebbero in grado di viaggiare ad 1/5 della velocità della luce e sarebbero in grado di raggiungere destinazione in circa 20 anni.

L’obiettivo è farne arrivare intatta qualcuna, fare rilevamenti e misurazioni e far tornare i risultati sulla terra.

Questo è il video rilasciato dal canale youtube ufficiale di Breakthrough Starshot.

Il progetto è diretto da Pete Worden, ex direttore del Ames Research Center della NASA, ed è supportato da alcuni dei migliori scienziati a livello globale.

Per quanto non sia direttamente collegabile alla colonizzazione quanto il mining di asteroidi e lo sviluppo di razzi riutilizzabili, è plausibile pensare che le scoperte, il software e l’hardware che serviranno per portare a termine questa impresa torneranno utili in qualche modo alla causa.

Starshot però ha già raggiunto un risultato: spostare la “frontiera dell’impossibile” nell’immaginario collettivo.

Nessuno più penserà che sia assurdo voler colonizzare Marte o minare un asteroide quando c’è chi crede addirittura di poter far arrivare una sonda in un altro sistema stellare.

“Cosa c’è dietro le stelle?”

Tra qualche anno, con un pizzico di fortuna e una montagna di ambizione, saremo in grado di rispondere.

Ed un giorno, anche di andarlo a vedere con i nostri occhi.

 

Twitter @tobdea

Grazie a Raffaele Mauro, Lorenzo Casaccia, Guido Brescia e Mattia Montepara per i feedback.

  1. http://www.wired.co.uk/news/archive/2015-11/12/how-to-mine-asteroids-for-fun-and-profit
  2. http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2015/12/22/il-costo-di-una-t-shirt-e-la-banca-del-progresso-di-elon-musk/
  3. http://www.planetaryresources.com/2014/06/fuelspace/
  4. http://blogs.scientificamerican.com/life-unbounded/can-starshot-work/
  5. https://www.youtube.com/watch?v=c7VPHGjT8A4