Milano è stanca di caricarsi il fardello Italia?

scritto da il 06 Dicembre 2016

Il referendum appena concluso ha dimostrato come lo stato dell’economia condizioni gli elettori. Infatti nelle cento città italiane con il maggior tasso di disoccupazione, il “no” ha vinto con il 65,8% dei voti. Nelle cento città con meno disoccupati, il “Sì” ha vinto con il 59% (via @you_trend). Il fatto che a Milano abbia vinto – sia pure di misura – il “Sì” fa pensare. L’impressione di alcuni è che Milano sia stufa di trainare l’Italia tutta, che voglia rimanere attaccata alle Alpi (Ugo La Malfa, cit.), senza caricarsi sulle spalle il fardello italiano, che ostacola qualsiasi piano di azione di lungo termine. La differenza di efficienza tra Milano e Roma è emblematica.

Nel consueto rapporto sull’economia regionale, la Banca d’Italia segnala – dopo il calo congiunturale del terzo trimestre – come la dinamica produttiva della Lombardia abbia ripreso vigore, sempre nel quadro di una crescita contenuta. Un “andamento lento” (Tullio de Piscopo, Sanremo, 1988), secondo le parole di Giuseppe Sopranzetti, brillante direttore della sede di Milano della Banca.

La nota più positiva è data dall’occupazione. Il numero di occupati nella regione è salito a oltre 4,3 milioni di lavoratori, superando il picco pre-crisi del secondo semestre 2008. Rispetto ai primi sei mesi del 2015, l’occupazione è cresciuta del 2,2%, contro l’1,5% del dato nazionale. Da segnalare che l’incremento occupazionale ha coinvolto anche i lavoratori autonomi.

Nei primi nove mesi del 2016 la produzione è cresciuta dell’1,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con un andamento eterogeneo tra settori. In calo alimentare e abbigliamento, in rafforzamento siderurgia, meccanica e gomma. Si fa un gran parlare di industria 4.0, ossia del processo che porterà ad una produzione industriale del tutto automatizzata e interconnessa. Secondo la Banca d’Italia, esiste una correlazione positiva tra investimenti digitali e il fatturato negli anni successivi.

Si conferma come l’esposizione ai mercati internazionali – anche in un contesto non così positivo come un anno fa – sia determinante. Gli ordini esteri infatti crescono a un tasso doppio rispetto all’Italia: 4,5% contro 2,1%. E’ continuato il recupero della redditività: il 77% degli operatori prevede di chiudere l’esercizio in utile (erano il 69% l’anno scorso). Le imprese dovrebbero agire sul lato dei costi e dei ricavi in modo strutturale, indipendentemente dal ciclo economico, così da essere pronte e in salute per reagire ai periodi avversi (che non sono più un eccezione).

Sebbene le compravendite nel settore immobiliare diano dei segnali di risveglio (+23,7% nei primi sei mesi del 2016), il settore delle costruzioni stenta a riprendersi. Con la fine del credito bancario facile – spesso e volentieri immeritato – ben il 41,6% delle aziende ha dichiarato un calo della produzione.

Nel settore dei servizi le indicazioni prospettiche sono positive, a maggior ragione a Milano dove il peso dei servizi è rilevante, ben superiore al dato regionale, dove la manifattura la fa da padrone. Nonostante la comparazione sia sfavorevole (Expo boom), gli arrivi in Lombardia nel primo semestre 2016 sono aumentati del 4,1% rispetto al 2015. Ha fatto bene Beppe Sala a gioire per il fatto che Milano abbia sempre più turisti.

Sui dodici mesi terminanti a giugno 2016, i prestiti al settore produttivo sono saliti dell’1,5%, a fronte di una sostanziale stagnazione a livello nazionale. Il dato deve comunque essere disaggregato poiché le differenze sono forti tra piccole (-3,5%) e grandi imprese (+2,4%). Le banche preferiscono finanziare le famiglie (+1,8%) rispetto alle PMI, che fanno sempre più fatica a rimanere sul mercato. E’ sempre più evidente la riduzione del credito a imprese considerate vulnerabili, con bassa redditività ed eccesso di indebitamento (che costringe a salti mortali per ripagare gli oneri finanziari).

Un ultimo dato. In Lombardia la ricchezza è notevole. Tra depositi bancari, titoli e fondi a custodia, il totale va oltre i 500 miliardi di euro. Solo se le imprese si manterranno competitive potremo considerare i lombardi, con le parole di Pierluigi Ciocca, “ricchi per sempre”.

Twitter @beniapiccone