Le molestie sono inaccettabili. E fare carriera usando il sesso è legale?

scritto da il 05 Dicembre 2017

Negli ultimi mesi il mondo occidentale è stato investito da un’ondata di giusta indignazione su come il sesso sia stato abusato da alcuni al fine di indurre le vittime a prestazioni non volute. Sia che le vittime siano donne (il caso Weinstein) o uomini (il caso Spacey) azioni del genere sono criminali, e coloro che le perpetrano, se trovati colpevoli di fronte alla legge, sono da punire con le pene più severe.

Il sesso dovrebbe essere un atto che ha luogo tra persone egualmente consenzienti e che riguarda la sfera privata di ogni individuo.

Tuttavia nutro un crescente timore. Temo che una persona, in un ambito aziendale (mi riferisco a qualunque settore lavorativo sia esso una fabbrica di scarpe, un’agenzia di marketing, una startup o un unicorno), possa utilizzare il sesso per avere dei benefici, siano essi economici diretti (un aumento di stipendio), indiretti (benefit aziendali) oppure un avanzamento di carriera.

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VIDEO: Le molestie sono reato. E fare carriera usando il sesso è legale?

Sul tema esiste una bibliografia piuttosto scarsa. Sul fatto che avere una vita sessuale stabile aiuti la carriera ne discute la prestigiosa università dell’Oregon, tuttavia il tema è affrontato in ambito privato. Di fatto si dibatte se il dipendente abbia una personale vita sessuale e se essa lo aiuti nella crescita individuale in termini professionali (grazie, si legge, ad una stabilità emotiva e fisica migliore).

Per trovare analisi più o meno strutturate su come la strumentalizzazione del sesso come bene di scambio possa aiutare la carriera di un dipendente (che si tratti di impiegato, quadro, manager o stagista non fa differenza) si deve scendere di un gradino. Curiosamente non mi è stato possibile trovare tra le grandi testate nazionali o internazionali delle serie analisi su quanto il sesso possa essere un bene di scambio.

ThoughCatalog fa una dissertazione interessante su come cambi il far carriera grazie al sesso se si è uomo o donna. Non è mio interesse fare distinzioni. Ritengo che donne e uomini siano uguali e che come tali debbano avere pari opportunità, diritti e doveri, in ambito lavorativo (un credo, il mio, non ancora divenuto realtà in tutto il mondo, lo ammetto con grande rammarico).

Un’analisi più interessante (per quanto solo orientata al sesso femminile) della prestigiosa Harvard Business Review dibatte su come le donne in carriera a metà del loro percorso (una stima tutta da comprendere di HBR), necessitino uno “sponsor” maschile che possa dar loro la spinta per salire di grado e remunerazione. Ovviamente trovo questa analisi terribilmente maschilista, ma non posso esimermi dal considerare che non è stata scritta da qualche giornalino leggero, ma da una delle più prestigiose riviste di management del mondo occidentale.

Mancando materiale in rete con cui approfondire (o essendo inabile a trovarlo) ho pensato di strutturare due casi in cui, a mio avviso, il sesso può essere usato come un materiale di scambio.

Sia bene inteso non è mia intenzione suggerire che tale agire sia eticamente o legalmente corretto. Né voglio insinuare che azioni come quelle di cui dibatterò tra poco abbiano mai avuto luogo in alcuna azienda, istituzione, o ente di qualunque altra natura. Dopotutto leggendo i differenti disclaimer e le politiche aziendali non si scorge in nessun ambito che tali pratiche siano approvate e/o praticate.

In vero non vi è traccia, anche se riduciamo la ricerca all’Italia, che tali pratiche sessuali siano vietate, pur, a mio modesto avviso, iscrivendosi nella lista di azioni eticamente, se non legalmente, scorrette.

Veniamo al primo caso.

Vendita di prodotti o servizi da parte di un agente esterno.

Sia dato che il soggetto A (che vende prodotti o servizi di un’azienda ad un’altra azienda o istituzione che possa avere interesse ad acquistare) si trova in posizione di poter vendere al soggetto B (un buyer o facente funzioni con potere decisionale e budget per acquisto di beni e/o servizi) beni o servizi.

Se A, in aggiunta alla sua offerta legale e legittima, aggiunge una o più prestazioni sessuali totali o parziali (e/o altre e assimilabili) al fine di indurre il soggetto B all’accettazione dell’offerta (siano essi beni o servizi venduti dall’azienda che A rappresenta) si può parlare di corruzione sessuale?

Tale mercificazione dell’atto sessuale come incentivo alla decisione di acquisto di un buyer è soggetto di pena in ambito civile o penale?

Le aziende (siano esse pmi o multinazionali) tendono a vietare espressamente (tramite codice etico) che un buyer o altro soggetto assimilabile, possano accettare doni pecuniari o in natura (regalie, viaggi etc.) sopra una certa cifra (di solito 50-100 euro).

Una prestazione sessuale (totale o parziale) è assimilabile ad altri servizi o prodotti atti a corrompere il buyer e indurlo all’acquisto?

Nelle multinazionali esistono codici etici e regolamenti (che in ultima analisi implicano anche richiami e licenziamenti) per casi in cui buyer o assimilabili accettino forme di corruzione pecuniaria o in natura. La corruzione sessuale è contemplata e/o punita?

Non avendo una formazione legale adatta ho chiesto lumi all’avvocato (o avvocata se si deve seguire la scelta semantica della signora, nonché presidenta, Boldrini) Simona Cazzaniga, managing partner dello Studio Legale Sutti.

“Tradizionalmente, la corruzione penalmente punibile era solo quella di un pubblico funzionario o incaricato di pubblico servizio. La corruzione tra privati era unicamente un illecito civile, e solo del corrotto, sotto forma più precisamente di un inadempimento contrattuale all’obbligo di fedeltà che rientra automaticamente tra gli obblighi del dipendente secondo l’art. 2105 del Codice Civile italiano. A certe condizioni il prezzo della corruzione era persino fiscalmente detraibile, come è ancora in alcuni paesi.

Nel 2002 è stato poi introdotto il reato di infedeltà degli amministratori, con sanzioni penali per entrambe le parti (art. 2635 cc, introdotto dal dlgs 61/2002), praticamente mai. Con il decreto legislativo 15 marzo 2017 n. 38 (“Attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato”), in vigore dal 14 aprile, la cosa è estesa a chiunque eserciti “funzioni direttive” (ovvero dirigenziali), di qualsiasi ente, indipendentemente se la corruzione abbia provocato un danno, e anche per interposta persona, e anche se si tratta di corruzione passiva, cioè sollecitata dal corrotto.

Sul fatto che la corruzione sessuale ricada in pieno, è pacifico per la giurisprudenza formatasi in relazione alla corruzione pubblica, dato che il reato viene descritto come “dazione o promessa di denaro O ALTRA UTILITÀ” in entrambi i casi.

Nella nostra esperienza, i codici etici adottati soprattutto in vista dell’esonero della società dalla responsabilità ex Legge 231/2001, e per settori particolari come quello bancario, vietano (ormai superfluamente) sia l’accettazione di favori che la loro elargizione ai buyer altrui, ma non dicono nulla sulla “fraternisation”, che resta ricompresa nei divieti in questione ma che diversamente (ovvero se “spontanea”) rientra probabilmente nella privacy del dipendente.”

Se ne evince che uno scenario del genere (seller che propone a buyer) resta in un’area grigia dove la “privacy del dipendente” potrebbe fare da scudo a pratiche illecite che possono danneggiare l’azienda (dove lavora il buyer “corrotto”).

Se questo scenario è complesso risulta ancora più problematico il secondo caso.

Per comodità dialettica lo si definisca prostituzione aziendale.

 

Sharon Stone in "Basic Instinct" (1992)

Sharon Stone in “Basic Instinct” (1992)

Il soggetto X (che sia uomo o donna non si fa differenza come già detto) in un ambito di organigramma aziendale (stagista, tirocinante, impiegato, quadro etc..) propone al soggetto Y, pari grado o superiore di grado (nella scala decisionale e nell’organigramma aziendale), una prestazione sessuale totale o parziale (una singola volta o ripetuta nel tempo) con lo scopo di: ricevere un aumento di stipendio, una promozione, un posizionamento su un progetto speciale dell’azienda, un benefit, o altre e assimilabili forme di beneficio erogate dall’azienda. Il soggetto X e il soggetto Y stanno violando un codice etico o amministrativo dell’azienda?

Nell’ambito delle aziende e multinazionali esiste (immagino) un codice che implica che non si possa corrompere un superiore con regalie, doni economici o di servizi e prodotti. Il sesso (consumato o promesso come ricompensa) rientra in tale categoria? È lecito, eticamente e legalmente corretto, che un soggetto subordinato proponga ad un superiore sesso in cambio di differenti benefici economici o avanzamento di carriera?

“Normalmente” continua Cazzaniga “le aziende italiane non hanno una policy esplicita sui rapporti interni tra dipendenti, anche per l’aspetto relativo al divieto di intromissione nella vita privata del dipendente. D’altronde, la corruzione non riguarda necessariamente un’altra azienda con cui la società ha rapporti commerciali e di concorrenza, ed è raffigurabile anche tra chi si trova a rappresentare o ad agire per l’azienda in una certa operazione e chi ne sia controparte contrattuale anche come dipendente, collaboratore, professionista, etc.

Naturalmente, esiste il problema di dimostrare – civilmente e/o penalmente – che l’elargizione di favori sessuali non rientri semplicemente in un captatio benevolentiae o manifestazione di gratitudine di cui è difficile dimostrare la “non spontaneità”,  ma sia un vero e proprio prezzo di una contropartita precisa”, conclude Cazzaniga.

Di fatto si può dire che tale agire, per quanto eticamente scorretto, non possa essere perseguito civilmente o penalmente.

E cosa si potrebbe dire se, sempre nella teoria, il soggetto che ha corrotto con il sesso riesca, nel tempo, ad assurgere a posizioni apicali all’interno dell’azienda? Se tale soggetto, la cui etica si può definire quanto meno ambigua, fosse in grado di fare scelte che non solo influenzano l’azienda ma addirittura la società civile.

Per comprendere bene facciamo l’esempio di un’azienda il cui primo decisore è stato riconosciuto come una persona che ha violato l’etica (e anche la legge): Enron.

Il caso Enron presenta un amministratore delegato che è stato riconosciuto colpevole di vari reati. Alla base del suo agire illegale si può supporre vi fosse un’etica completamente stravolta.

È quindi plausibile immaginare che un soggetto con un’etica scorretta (o completamente privo di etica) che scala, grazie al sesso, un azienda, possa creare danno per la società?

Bene inteso il caso di Enron non vede (per quanto mi è dato sapere) un soggetto che ha scalato l’organigramma aziendale grazie a favori sessuali. L’esempio di Enron è solo per dimostrare che una persona con un’etica discutibile (per essere gentile) può causare danno alla società.

Per giungere a una conclusione, resta una domanda a cui, in vero, né io né lo studio legale (e, a leggere l’articolo, nemmeno la prestigiosa Harvard Business Review), sappiamo dare una risposta.

Fare carriera usando il sesso è legale?

Twitter @EnricoVerga