Banche europee, lo Z-score rivela quanto Bruxelles sottovaluta il rischio di mercato

scritto da il 11 Aprile 2018

Ad ottobre 2017 la Commissione Europea ha comunicato la volontà di portare a conclusione la Banking Union entro il 2018. Diversi sono i piani di azione individuati come prioritari:

i) l’assicurazione sui depositi,

ii) il financial backstop per garantire adeguate coperture finanziarie al fondo unico di risoluzione bancaria qualora ve ne sia l’esigenza,

iii) il Sovereign Bond-Backed Securities (SBBS), ovvero la proposta di introduzione di un titolo sintetico che sia rappresentativo di un portafoglio diversificato di titoli governativi europei,

iv) i crediti deteriorati, tema sul quale la Commissione ha emanato una proposta volta ad aumentare gradualmente il tasso di copertura dei finanziamenti non performanti presenti nei bilanci delle banche europee.

Tra le priorità della Commissione non vi è invece traccia di un focus sul rischio di mercato, ed in particolare su level 3 asset e derivati, tipologie di attività finanziarie caratterizzate da una forte opacità. La Commissione, così come la Vigilanza unica della BCE, sembra focalizzarsi prevalentemente sul rischio di credito, valutando probabilmente quest’ultimo come il principale fattore di destabilizzazione dei mercati europei. Ma è realmente così?

Per rispondere al quesito appena sollevato è utile prendere a riferimento un ampio campione di banche europee quotate, istituti che tendenzialmente hanno un’ampia dimensione e che per tale motivo possono generare crisi di portata sistemica. Come periodo di riferimento è stato preso in esame sia quello precedente la crisi finanziaria internazionale (2001-2007) sia quello successivo (2008-2016). Nel complesso sono state esaminate oltre 200 banche appartenenti a 23 paesi europei membri dell’Unione.

Un indicatore considerato per valutare la robustezza delle banche è dato dal Tier 1 ratio, l’indice di patrimonializzazione calcolato sulla base delle regole di Basilea. Dal campione delle banche quotate emerge come questo indice sia andato aumentando dall’8% del 2006 al 14% del 2016.

Chi ha visto aumentare meno il Tier 1 ratio sono stati proprio i sistemi bancari più attivi nella tradizionale attività di erogazione del credito. Guardando infatti alla relazione tra gli impieghi al netto degli accantonamenti, in percentuale del totale attivo, e il Tier 1 ratio, nel periodo post-crisi e per la media delle nazioni considerate, si osserva una relazione a “U” rovesciata (grafico 1). In altri termini, le industrie bancarie più rivolte ai finanziamenti appaiono meno solide, un’evidenza che sembrerebbe in linea con l’interpretazione di Commissione Europea e BCE di prestare maggiore attenzione al rischio di credito.

Grafico 1. Relazione tra modello di business bancario e Tier 1 ratio
(valori medi in % relativi al periodo 2008-2016)

milani-gr1-impieghi-tier1ratioNote: valori ponderati in base al totale attivo.
Fonte: elaborazioni CER su dati Thomson-Reuters.

Ma è giusto misurare il rischio attraverso gli indici patrimoniali di Basilea? Sul punto l’evidenza empirica è abbastanza concorde nel ritenere che questi indicatori siano fortemente distorti dal basso peso assegnato al rischio di mercato e dalla manipolazione legata all’utilizzo dei modelli interni per la valutazione del rischio (si veda al riguardo CER, Rapporto Banche 2/2017). Anche altri indicatori, ad esempio quelli basati sull’incidenza dei crediti deteriorati o sul peso del capitale sul totale attivo, possono offrire indicazioni incomplete.

Un indicatore molto utilizzato nella letteratura economica per stimare il grado di rischio degli istituti di credito è il cosiddetto Z-score (quest’indice è ottenuto come il rapporto tra la somma del Return-on-Asset, Roa, e capitale/attivo e la deviazione standard del Roa calcolata su un determinato periodo di tempo). Quest’indice misura quanto una banca è distante dal default valutando quante e quali perdite di valore nelle sue attività bancarie un istituto si può permettere prima di erodere tutto il capitale a disposizione. Uno Z-score alto è quindi un’indicazione di maggiore stabilità finanziaria da parte di una banca/sistema bancario.

Tavola 1. Banche europee quotate
(distribuzione del rischio in base al modello di business)

milani-tab1-banche-quotate

Nota: cluster analysis basata su valori mediani.
Fonte: elaborazioni CER su dati Thomson-Reuters.

Raggruppando le banche in tre diversi gruppi, ovvero a basso, medio e alto grado di rischio in funzione del livello dello Z-score, si possono avere delle interessanti indicazioni (tavola 1). Emerge infatti che le banche a basso rischio hanno, sia nel periodo pre che post-crisi, una maggior concentrazione delle loro attività nel tradizionale business creditizio, mentre di converso hanno una minore incidenza delle attività finanziarie (titoli di Stato, obbligazioni private, azioni e partecipazioni, altri strumenti finanziari), tra cui anche quelle specificatamente detenute per finalità di trading. Queste banche hanno inoltre una maggiore dotazione di capitale, soprattutto se misurata come rapporto tra capitale e totale attivo.

Le banche con rischio medio sono invece quelle meno attive sul credito e più propense ad investire in attività finanziarie, anche con finalità di trading. Nel periodo pre-crisi queste banche avevano un rapporto capitale/attivo inferiore rispetto alle banche ad alto rischio, mentre il Tier 1 ratio era sostanzialmente allineato. Nel post-crisi le banche a rischio medio hanno però nettamente intensificato la dotazione di capitale.

Le banche ad alto rischio si situano a metà degli altri due gruppi per quanto riguarda la specializzazione sul mercato del credito e la dotazione del portafoglio finanziario. Rispetto agli altri due gruppi, però, l’incidenza dei non-performing loan è ben più elevata, sia nel periodo pre-crisi sia ancor più nel post-crisi.

Differenze si riscontrano anche in termini di ricorso ai depositi bancari come fonte di finanziamento, di redditività e di reazione dei mercati finanziari (per una trattazione completa si rimanda alla nota di aggiornamento al Rapporto Banche CER).

Conclusioni

In definitiva, dall’analisi effettuata sembra emergere come problemi sulla stabilità finanziaria delle banche possono nascere anche, e soprattutto, dal rischio di mercato, nonché da una bassa dotazione di capitale in percentuale dell’attivo, e non prevalentemente dal rischio di credito. Se quest’ultimo deve essere attentamente monitorato, soprattutto ponendo la giusta attenzione al problema degli NPL, vigilanza e regolatore europeo dovrebbero prestare un focus maggiore ai rischi connessi con i mercati finanziari. Questi rischi, al momento sottovalutati anche dagli operatori di mercato, potrebbero emergere in modo dirompente quando le politiche monetarie invertiranno definitivamente la loro tendenza.

Twitter @MilaniC